«Va bene» disse, cauto. «Dunque voi siete occupatissimi ad allevare una nuova razza di Super-Terrestri e volete che io collabori.»
«Sì.»
«Come?»
«Ve l’abbiamo già detto» disse Beth. «Eliminando i vostri nove colleghi, prima che ci rendano le cose più difficili di quanto già sono.»
«In altre parole, voi mi state chiedendo apertamente di compiere un atto di alto tradimento contro la mia gente.»
«Sappiamo che tipo di… uomo siete» disse Beth, «e abbiamo… una nostra tecnica. Vi conosciamo a fondo, Aar Khiilom, abbastanza per sapere che non condividete gli ideali imperialistici dell’attuale consiglio che governa Darruu. Forse non ve ne accorgete, forse vi siete sottoposto a un autolavaggio del cervello per costringere voi stesso ad accettarli e non correre pericoli sul vostro pianeta, ma in realtà non approvate quegli ideali. Avete la stoffa del… traditore. E questo non è un insulto, ma il più alto complimento che si possa fare a un membro della vostra specie.»
Diamole un po’ di corda pensò Harris. Poi aggiunse, a voce alta: «Voi avete facoltà percettive talmente acute che mi fate paura, sapete?»
«Sarebbe a dire?»
«Avete una vista straordinaria. Io non riesco a scorgere i motivi che mi spingono ad agire, ma voi sì. Quando mi mandarono qui, ero perplesso riguardo alla validità della mia missione. Non capivo che cosa servisse a Darruu cattivarsi le simpatie della Terra. Sapevo soltanto che dovevo bloccare l’impeto dei Medlinesi. Una ragione oscura, poco convincente, per un viaggio tanto lungo. E ora… Ora non sono più tanto sicuro dei valori in cui ho creduto con fede cieca…»
«Volete unirvi a noi?» chiese Beth.
Harris esitò un attimo. «Tanto vale che lo ammetta» disse poi. «Avete ragione. Dapprima non avrei voluto accettare la missione sulla Terra, ma non avevo alternativa. Comincio a capire che sono dalla parte sbagliata. Che posso fare per aiutarvi?»
Coburn e Beth si scambiarono un’occhiata. Il «terrestre» Wrynn si limitò a sorridere.
Ho forse esagerato? si chiese Harris. Hanno capito che sto fingendo? Forse dovevo resistere un po’ più a lungo, prima di arrendermi così incondizionatamente.
«Sapevo che avreste collaborato, maggiore» disse Beth.
«Quale sarà il mio primo compito?»
«Obiettivo numero uno: l’uomo che si fa chiamare Carver. Una volta eliminato quello, gli altri agenti di Darruu resteranno senza il loro cervello e diventeranno una preda facile.»
«E come fate a essere certi che non vi tradirò, non appena mi avrete liberato?» chiese Harris.
«Abbiamo un buon sistema per tenervi d’occhio, maggiore» disse Coburn. Ma non si dilungò in particolari.
Harris annuì. «D’accordo» disse. «Andrò a trovare Carver, per primo. Mi metterò in contatto con voi appena me ne sarò sbarazzato.»
5
Lo fecero uscire dalla stanza e lo accompagnarono in un ascensore che saliva, invece di scendere. Su, sempre più su, emergendo da chissà quali profondità nascoste nel cuore della città. Ripensò alla «luce del Sole» che aveva visto entrare dalla finestra con l’inferriata, e capì che si era ingannato. La cabina filava verso l’alto, sicura… Infine si fermò con un brusco sobbalzo, la porta scorrevole si aprì e lui fu scaricato al livello principale di un enorme edificio adibito a uffici.
Rimase lì per un attimo nell’atrio affollato. Terrestri e alieni di ogni razza attraversavano frettolosamente il grande locale. Harris si avviò verso l’uscita più vicina e si ritrovò nella strada rumorosa. Erano le prime ore del mattino di una giornata calda e piena di luce.
C’era una carta stradale affissa a un muro, a mezzo isolato di distanza da dove lui era uscito. Si avvicinò e osservò la complicata mappa della città. Dapprima gli riuscì difficile orientarsi. Un cerchio rosso segnava il punto in cui si trovava in quel momento, ma nessuna delle strade all’intorno gli ricordava niente. Solo quando ebbe osservato la carta nel suo insieme, scoprì il quartiere dove si trovava l’albergo.
Lo avevano portato in un posto lontano parecchi chilometri. Infilò una monetina nella fessura, marcò le coordinate seguendo le istruzioni del cartello, e una striscia luminosa gli indicò il percorso per tornare allo Spaceways Hotel. Calcolò che ci voleva almeno un’ora di elicottero per arrivarci.
Proseguì a piedi. Poco lontano, le volute di una rampa pubblica per elitassì scintillavano, gialle, nella luce del mattino. Passando davanti ai tavolini di un bar il profumo di caffè e pane fresco gli attanagliò lo stomaco. Tuttavia, benché affamato, sapeva che non poteva permettersi di mangiare prima di essersi messo in contatto col suo capo e di avergli raccontato la sua storia. Un cameriere si affacciò sulla soglia del bar e gli sorrise, pieno di speranza, indicando un tavolino libero sul marciapiede. Harris scosse la testa e tirò dritto.
Ripensava a Beth Baldwin e alle sue parole.
Chiedevano davvero troppo alla sua credulità. Quella lunga tirata su superuomini e altruismo, su tenere razze mutanti che andavano vezzeggiate e protette dalle furie e dalla gelosia degli avi ormai sorpassati, era inverosimile!
Proprio un’assurdità. Quel poco che sapeva della psicologia medlinese non lo induceva a credere che gente simile si sarebbe schierata dalla parte di un progetto tanto insensato. Semmai, avrebbe fatto il possibile per soffocare all’inizio il sorgere di nuove facoltà, potenzialmente pericolose, tra i Terrestri. Come avrebbero fatto i Darruuesi, del resto, se avessero scoperto loro i sedicenti mutanti.
In fin dei conti, non si trattava che di istinto di conservazione. I superuomini rappresentavano un superpericolo. Allo stato attuale, l’equilibrio dell’Universo era già fin troppo precario e davvero non c’era ragione alcuna per favorire l’avvento di nuove razze. Quelle già esistenti erano riuscite a trovare un modus vivendi opponendo forza a forza e raggiungendo una fase di stasi, difficile, ma tutto sommato comoda. Soltanto degli incoscienti potevano permettere a un fattore X d’insinuarsi in questa situazione… e soltanto dei pazzi all’ultimo stadio potevano contribuire attivamente all’affermarsi di questo fattore.
No, non c’erano superuomini. Era un’idea assurda… La propaganda di Medlin seguiva vie molto tortuose e lui aveva ottime ragioni per diffidare.
E c’era un’altra cosa di cui diffidare: possibile che fossero così ingenui, Medlinesi e Super-Terrestri, da lasciarlo andare fidandosi unicamente della sua parola? I Medlinesi, quanto meno, sapevano perfettamente qual era la sua missione sulla Terra. Solo grazie a una specie di gioco di prestigio, Beth si era salvata da morte certa quella notte. Eppure lo avevano liberato alla prima blanda offerta di collaborare, dopo essere stati offesi e scherniti per mezz’ora. Nel caso di individui davvero altruisti, lo si sarebbe potuto capire, perché nel suo lessico «puro altruismo» e «pura stupidità» erano sinonimi. Ma conosceva troppo bene i Medlinesi per accettare l’idea che fossero stupidi a tal punto. Forse avevano deciso di servirsi di lui come di una pedina in un piano assai più vasto.
Be’, a questo ci avrebbe pensato Carver. Era compito suo decidere sulla strategia a cui attenersi per rispondere alle mosse dei Medlinesi.
Harris raggiunse la rampa degli elitassì. Uno era già pronto per il decollo, ma un cittadino grassoccio e rubizzo, che evidentemente si riteneva molto importante, gli sgattaiolò davanti e introdusse per primo la sua mole voluminosa nel veicolo. Harris si strinse nelle spalle e chiamò un altro elitassì. Questo salì lungo la rampa e lo sportello si aprì.