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Finalmente, la porta si aprì.

«Entrate» disse Carver.

Harris entrò. C’erano altre quattro persone, nella stanza, oltre a lui stesso e al capo degli agenti di Darruu.

«Questo è il maggiore Abner Harris, signori» disse Carver, parlando in terrestre, chiaramente deciso a non ricorrere in nessun modo al suo passato darruuese.

Gli altri quattro si presentarono, uno alla volta: Reynolds, un tipo grassoccio e calvo. Tompkins, un giovanotto sorridente. McDermott, basso di statura e dallo sguardo gelido. E Patterson, un individuo magro e dinoccolato, che parlava strascicando la erre. Ciascuno, pronunciando il proprio nome, faceva anche il segno di riconoscimento darruuese, a cui Harris rispondeva.

«Gli altri quattro agenti si trovavano nell’emisfero orientale della Terra» disse Carver. «Ma noi sei dovremmo riuscire a controllare la situazione.»

Harris lanciò un’occhiata ai cinque colleghi. Avevano tutti un aspetto comune, pacifico. A un osservatore estraneo sarebbe sembrato che l’unico del gruppo capace di dominare una situazione qualsiasi fosse lui, Harris, con la sua impeccabile uniforme e il suo portamento marziale.

Ma quella sarebbe stata una valutazione superficiale. Quei cinque erano stati appositamente progettati in modo da sembrare comuni e per niente speciali. Sotto l’aspetto esteriore terrestre, tutti erano Servi dello Spirito e capaci di comportarsi degnamente nei momenti difficili.

«Che progetti avete?» chiese Harris.

«Quelli di cui abbiamo parlato ieri. Attaccheremo gli agenti Medlinesi, naturalmente. Dobbiamo eliminarli tutti, fino all’ultimo.»

Harris annuì. Ma con sua stessa sorpresa si sentì turbato e sgomento. L’immagine di Beth Baldwin uccisa per sua mano gli attraversò la mente. Aggrottò la fronte e cercò di scacciare quei pensieri pericolosi. Prima era stato sinceramente convinto della necessità di eliminare i Medlinesi, tuttavia ora gli sembrava che avessero agito in buona fede liberandolo.

Sapeva che ciò era assurdo e allontanò quell’idea dalla mente.

«Come li faremo fuori?» chiese.

«Si fidano di voi» disse Carver. «Siete uno dei loro agenti, ora. Almeno così credono.»

«Sì.»

«Tornerete da loro e gli direte che vi siete sbarazzato di me, come vi avevano ordinato, e che siete in attesa di un nuovo compito. Solo che porterete un dispositivo subsonico con voi. Ve lo inseriremo ora. Una volta entrato nella loro sede, azionerete il dispositivo e li tramortirete.»

«E io?»

«Voi sarete completamente schermato.»

«Capisco» disse Harris. «Allora dovrei… ammazzarli mentre sono privi di sensi?»

«Proprio così» dichiarò Carver.

Reynolds, il tipo grasso, disse lentamente: «Mi sembra di vedere una sfumatura di riluttanza nell’espressione del maggiore. O sbaglio?»

Harris lottò per dare ai suoi lineamenti ribelli una espressione seria e patriottica, come si conveniva.

«Forse il maggiore conserva ancora qualche legame sentimentale residuo nei confronti di uno dei Medlinesi?» insinuò McDermott.

Harris lo fulminò con un’occhiata furibonda. Era proprio così trasparente? Riuscivano tutti a leggergli nel pensiero?

«Qualcosa vi turba, maggiore?» chiese Carver.

«No.»

«Siete disposto a portare a termine la missione che vi è stata assegnata?»

«Sono un Servo dello Spirito» disse Harris, rigido.

Carver annuì. «Proprio così. Non avremmo mai dovuto permetterci di dubitare delle vostre intenzioni, neanche indirettamente.» Harris pensò che c’era una buona dose d’ironia nella sua voce. «Non si può essere pietosi con i Medlinesi, Harris, sapete» continuò Carver. «È un assioma, direi. Sarebbe come essere pietosi con i vampiri o i serpenti.»

Harris si sentì tremare le gambe. Cinque paia di occhi darruuesi erano fissi minacciosamente su di lui.

Che cosa stanno pensando? Sospettano qualcosa? Forse credono davvero che mi sia venduto a Medlin?

«Aspetteremo fuori del quartier generale nemico fino a che il vostro segnale non ci avviserà che avete terminato il vostro compito» disse McDermott. «Se vi occorre aiuto, fatecelo sapere.»

«Che ve ne sembra del piano?» chiese Carver.

Harris si passò la lingua sulle labbra e cercò di prendere un’aria più marziale. Quell’improvviso accesso di vigliaccheria lo turbava e sgomentava. Mai aveva reagito così prima di allora, neppure in situazioni assai più gravi. «Mi sembra che dovrebbe funzionare» disse, con un filo di voce. «Mi sembra buono.»

«Benissimo» replicò Carver, secco. «Sono lieto che lo abbiate approvato. Reynolds, inserite il dispositivo subsonico.»

Impassibile, Harris guardò l’uomo calvo prendere una pallottolina di metallo non più grande di un fagiolo, da cui sporgevano tre filamenti di tantalio. Il suo corpo, ormai, era un ammasso di congegni inseriti chirurgicamente, e lui era stoicamente pronto a ospitarne uno di più.

«I pantaloni, maggiore…»

Harris se li sfilò. Reynolds estrasse un bisturi da un astuccio che si era levato di tasca e, inginocchiatosi accanto alla coscia sinistra del collega, sollevò il brandello di carne senza nervi che serviva da sportello per accedere alla rete di dispositivi sottostante.

Guardando in giù con curiosità, Harris sbirciò negli oscuri recessi della sua gamba e vide gli avvolgimenti e i fili che ci stavano dentro. Reynolds inserì due dita e svolse un rotolino di filo di ferro.

Lui sbatté le palpebre e si controllò con uno sforzo immane, mentre un’ondata dolorosa e bruciante lo faceva barcollare.

«Scusate, maggiore» disse Reynolds, con disinvoltura, sistemando i fili. «Ho colpito i centri corticali questa volta, eh? Non succederà più.»

Harris non rispose. Il dolore diminuiva lentamente, lasciando tutto uno strascico di indolenzimenti, ma lui non volle lamentarsi. Non doveva. Continuò a guardare, mentre l’altro con dita svelte e sicure assicurava la pallina ai fili già sistemati nella gamba, chiudendo poi la ferita col mastice. Harris si rivestì. Sentiva solo un lieve prurito nel punto in cui era stata compiuta l’operazione.

«Lo attiverete premendo contro la giunzione neurale del fianco sinistro» disse Carver. «Il dispositivo è autoschermante per un raggio di un metro tutto intorno a voi, perciò assicuratevi che nessuna delle vostre vittime sia troppo vicina. Per esempio… non funzionerebbe durante un abbraccio.»

Harris incassò l’allusione, impassibile.

«Come potrete constatare, emette onde subsoniche piuttosto potenti» continuò Carver. «Chiunque si trovi entro un raggio di dodici metri, sarà messo in condizioni di non nuocere.»

«È mortale?»

«Per gli organismi complessi, no. Però ucciderebbe qualsiasi essere inferiore a un primate.»

«E se i Medlinesi fossero schermati contro le onde subsoniche?»

Carver rise, con sicurezza. «Questo è un trasmettitore a ciclo variabile, maggiore. Se quelli possiedono qualcosa in grado di schermarli da un’onda così irregolare, possiamo tornarcene tutti a casa, e subito.»

«Hanno dimostrato di avere altre abilità sorprendenti» osservò Harris.

«Sono propenso a credere che non siano in grado di difendersi da questo dispositivo» dichiarò Reynolds. «Occorrerebbe una tecnologia ad altissimo livello, un livello addirittura impensabile, per mettere a punto un sistema di difesa qualsiasi contro un dispositivo subsonico. La semplicità stessa del congegno rende impossibile neutralizzarne l’azione. Volete una dimostrazione pratica?»

«Meglio di sì» disse Carver.

Reynolds fece un gesto, e Tompkins e Patterson scomparvero in una delle stanze, tornando poi con tre gabbie piene di piccoli mammiferi terrestri. Harris non era in grado di riconoscerli, ma alcuni sembravano notevolmente intelligenti.

«Noi andiamo in fondo al corridoio» disse Carver. «Vi faremo un segnale quando saremo fuori portata. Così vedrete come funziona.»