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«I mostri della mente» disse lei, tranquilla. «Le metafore dell’anima di John Carver. Le avete tradotte automaticamente in immagini.»

Lui rabbrividì. «Siamo… siamo tutti così?» chiese. «Tutti i Darruuesi? Anch’io? Anch’io ho quelle cose orribili dentro?»

«No» disse Beth. «Non… nel profondo, almeno. Voi avete solo il rivestimento superficiale di odio di ogni darruuese… e di ogni medlinese, per essere sinceri. Ma il vostro fondo è buono. In voi non ci sono ancora mostri come quelli. Carver è completamente guasto. La sua mente è una fogna. E lo stesso può dirsi degli altri agenti di Darruu che si trovano sulla Terra.»

«Io non sono così?»

«Non ancora.»

Rimase lì rannicchiato per un poco, poi si alzò in piedi con difficoltà.

Si sentiva scosso come mai gli era capitato prima. Il ricordo della comunione con la mente delicata di Beth era sopraffatto dagli orrori che aveva visto nella mente di Carver, e la fronte gli martellava dolorosamente per l’urto di quelle due esperienze contrastanti.

«Le nostre razze lottano da secoli» disse Coburn. «È stato un errore di entrambe le parti, che si è solidificato in un odio sanguinario. È venuto il momento di smetterla.»

«Ma come?» chiese Harris. «Come possiamo tornare indietro e colmare l’abisso che ci divide da tanto tempo?»

«Ha ragione» disse un altro medlinese. «È impossibile. Siamo troppo lontani, ormai. Non si può guarire la ferita. Dovremmo sottoporre l’intero popolo darruuese… e buona parte ancora di quello medlinese a una psicoterapia, per riuscirci.»

Questo forse non sarebbe impossibile dichiarò la voce tranquilla del feto.

Harris reagì a quell’idea. Il pensiero dell’intera popolazione di Darruu sottoposta al lavaggio del cervello da parte di quei mutanti…

Per un attimo gli antichi sentimenti insorsero, con ardore. Poi ricordò quello che aveva visto nella mente di Carver. Solo un malato rifiuta di ammettere di essere malato pensò, calmandosi.

«Come posso collaborare?» chiese.

«Cercate i vostri colleghi darruuesi» disse Beth.

«E poi?»

«Devono morire.» La sua voce era ferma.

«Ma non si possono cancellare migliaia di anni di odio con un nuovo spargimento di sangue!» mormorò Harris.

«È vero» replicò Beth «ma non abbiamo tempo per curare i vostri amici. Sono troppo incalliti nell’odio. Bisogna eliminarli. Se non ce ne liberiamo presto, ci ostacoleranno in modo irreparabile.»

«E volete che sia io a ucciderli?»

Beth annuì, in silenzio.

Harris non rispose. Fissava nel vuoto. I cinque che lo aspettavano nella strada erano Servi dello Spirito, come lui, appartenevano alla casta più elevata della civiltà di Darruu. Sono gli esseri più nobili di tutto il Creato: così gli avevano insegnato fin da piccolo.

Uccidere un Servo dello Spirito equivaleva a rinunciare a Darruu per sempre. Tutti gli sarebbero stati contro. Impossibile nascondere tanta vergogna, tanto tradimento.

«Ebbene?» chiese Beth.

«Il mio… condizionamento ha radici profonde» disse lui. «Se io li colpissi, non potrei mai più tornare sul mio pianeta.»

«Vorreste davvero tornarci?»

«Ma certo!» esclamò lui, sorpreso.

«Davvero? Anche ora che avete letto nella mente di un vostro compatriota? Il vostro futuro è qui, non lo capite? Con noi.»

Harris considerò la cosa. Pensò all’eventualità di essere stato ingannato, poi scartò l’idea. La sua natura sospettosa di darruuese non aveva requie. Ma ora non poteva più credere che quella fosse una messinscena di Medlin. Aveva visto. Sapeva.

Dopo un attimo interminabile annuì. «Bene» disse. «Ridatemi la pistola. Farò quello che volete.»

«Avete già promesso una volta» disse Beth. «E allora sapevamo che ci mentivate.»

«E adesso?»

Lei sorrise e fece un cenno a Coburn, che gli allungò l’annientatore che aveva lasciato cadere. Harris afferrò il calcio dell’arma, lo strinse e disse: «Potrei uccidervi ora. Impieghereste come minimo una frazione di secondo per fermarmi. Quanto basta per schiacciare il grilletto… almeno una volta.»

«Non lo farete» disse Beth.

«Avete ragione» dichiarò lui, fissandola.

10

Prese l’ascensore e uscì al livello stradale, nell’atrio d’ingresso del grande edificio. Era meno affollato, adesso. Lui era sceso nella sede dei Medlinesi a metà giornata, ma le ore erano inspiegabilmente passate. Si era fatto molto buio, e la luce delle lampade stradali illuminava la strada. Si chiese se gli altri lo avessero aspettato lì per tutto quel tempo o se fossero tornati a casa.

C’erano un’infinità di stelle, adesso. Harris si fermò davanti all’edificio e guardò verso il cielo. Là, in un punto imprecisato, c’era Darruu, invisibile all’occhio ma ugualmente presente in uno di quegli ammassi scintillanti. Forse era già la stagione dell’Accoppiamento delle Lune, il tempo della suprema bellezza, a cui nessun essere vivente poteva restare insensibile.

Non importa pensò. Non importa più, ormai.

Raggiunse l’angolo dove aveva lasciato i colleghi. I Terrestri gli passavano accanto in fretta, diretti a casa. Harris si guardò intorno e dapprima non vide nessuno. Poi scorse Carver, appoggiato con aria noncurante a un lampione, la faccia dai lineamenti taglienti: una maschera d’impazienza rattenuta.

«Ci avete messo troppo» disse, quando Harris si avvicinò. «Com’è andata?»

Lui lo fissò e pensò ai viscidi fantasmi che gli si annidavano nel cervello, come serpenti velenosi.

«Tutti morti» rispose. «Non avete ricevuto il mio messaggio?»

«Certo, che l’abbiamo ricevuto. Ma non eravamo tranquilli.»

«Dove sono gli altri?»

«Li ho mandati via. Troppo pericoloso restare qui intorno tutto il giorno. Perché ci avete messo tanto?»

«Erano sparsi dappertutto. Ho aspettato, per farne fuori il più possibile in una volta sola. Ci voleva tempo.»

«Ore?»

«Ore» disse secco Harris.

Intanto pensava: Questo è un Servo dello Spirito, un cittadino di Darruu. Un uomo che pensa soltanto a imporre l’egemonia darruuese nella galassia, un uomo che odia, spia e uccide, un uomo che nasconde, annidate dentro la mente, le mostruosità più ripugnanti che si possano immaginare.

«Quanti ne avete beccati?» chiese Carver.

«Cinque.»

L’altro sembrò deluso. «Solo cinque? In tutto questo tempo?»

Harris si strinse nelle spalle. «L’appartamento era vuoto. Ho aspettato molto, ma nessuno veniva. Almeno quelli li ho fatti fuori. Cinque su cento. Mica male, no?»

«Be’, tanto per cominciare» disse Carver, brusco. Si portò una mano alla fronte, la premette forte e imprecò.

«Qualcosa che non va?» chiese Harris.

«Mal di testa. M’ha colpito all’improvviso. È come se mi avessero bastonato.»

Harris guardò da un’altra parte e rise. «Sarà la gravità» disse. «Fa strani scherzi.» Si accorse che stava menando il can per l’aia, che gli ripugnava fare quello che doveva fare.

Una voce silenziosa disse dentro di lui: Ci tradirete ancora? O manterrete fede alla promessa, questa volta?

La strada era troppo affollata, anche adesso, al buio. Non poteva agire lì. Se avesse azionato il subsonico, la gente sarebbe caduta a terra come mosche per dodici metri all’intorno. Doveva colpire soltanto Carver.

Lui gli stava parlando. Se ne accorse all’improvviso. Non l’aveva sentito. «Vi ho chiesto… se c’erano documenti importanti, là dentro» ripeté Carver.

«No.»

Un vento freddo soffiava dal fiume. Harris rabbrividì. «Sentite» disse. «Andiamo a bere qualcosa. Mi sento stremato. Farà bene a me e farà bene anche a voi. Possiamo brindare. Abbiamo ucciso… i primi cinque agenti di Medlin.»