Si udì un fruscio. Harris sobbalzò, portò la mano al fianco e cominciò a premere il dispositivo subsonico. Un animaletto peloso sbucò da un vicolo, lo guardò con occhi fosforescenti e miagolò.
Harris sorrise, rassicurato. L’hai scampata bella, micino. Un attimo ancora e non saresti più qui.
S’inginocchiò un attimo, accarezzò la pelliccia morbida della bestiola e tirò innanzi. Il suono dei suoi passi riecheggiava, sinistro, nelle strade vuote. La Luna terrestre, alta nel cielo, splendeva intensamente con il suo faccione bizzarro e butterato, che gli dava un’impressione come di disgusto.
Ora Harris era a un solo isolato dalla sede di Aragon Boulevard. E non era successo ancora niente. Attraversò la strada larga, camminando piano, con una mano sul fianco, poi entrò nell’edificio.
Salì.
L’ascensore protestò, scricchiolando, mentre sollevava il suo peso alla velocità di trenta metri ogni dieci secondi.
La tensione nervosa gli bloccava il cervello, l’apparato respiratorio, l’intestino. Sentiva i pori chiudersi, il sudore grondare sulla pelle sintetica. Un dolore sottile, a fitte, lo tormentava in fondo ai bulbi oculari.
La cabina si fermò. Lui uscì, pronto ad attivare il subsonico con una pressione dalla mano alla minima minaccia di pericolo. Il corridoio era vuoto. E scuro. Ma gli occhi di un darruuese, abituati a contemplare un mondo dove la luce solare diretta era una rarità, scrutavano facilmente nelle tenebre. Si diresse verso le stanze occupate dai cospiratori.
Le aveva quasi raggiunte, quando una figura uscì dall’ombra e lo chiamò per nome.
«Harris!»
Era Reynolds, il chirurgo. Il viso pallido luccicava di sudore. Harris lo squadrò, temendo che portasse un’arma, ma in mano non aveva niente.
«Salve, Reynolds.» Guardò perplesso il corpo grassoccio del chirurgo. «Che fate qui fuori?»
«Ero sceso per bere qualcosa. Ho sentito che la vostra missione è riuscita.»
«Cinque morti. Peccato che voi e gli altri non abbiate potuto aspettare.»
«Peccato. Be’, venite dentro con me, che vi estraggo il dispositivo subsonico dalla gamba…»
«Oh! Vorreste toglierlo?»
«Certo. Mica potete continuare a circolare con un congegno simile addosso, no?»
«E perché no?»
«È pericoloso. Lo si aziona troppo facilmente. Uno vi urta per sbaglio e voi…»
«Io sono schermato. Se non vi spiace, vorrei tenerlo. È un aggeggino utile. Non capisco perché tutti gli agenti non ne vengano dotati fin dall’inizio della missione.»
Reynolds lo guardò, allibito. «Non volete che ve lo tolga?»
«No.»
Le labbra dell’altro si mossero un attimo, senza emettere suoni. Poi, terrorizzato, Reynolds girò sui tacchi e attraversò con un balzo la soglia, sbattendosi la porta alle spalle.
Harris aspettò, non volendo seguirlo in un eventuale vicolo cieco. Il comportamento del medico era buffo: la trappola non aveva funzionato, e lui si era lasciato sopraffare dal panico. Un Servo dello Spirito pensò con scherno. La creatura più nobile dell’Universo.
«Harris?»
Era la voce di Carver, che risuonava al di là della porta chiusa.
«Harris, mi sentite?»
«Vi sento. Che c’è? Perché non mi fate entrare, Carver?»
«Reynolds dice che non volete lasciargli estrarre il subsonico.»
«È vero.»
«Il subsonico non fa parte dell’equipaggiamento normale di un agente. È stato installato su di voi per uno scopo preciso, che ora avete raggiunto. Dev’essere tolto subito. Capito?»
«Gli agenti Medlinesi non sono ancora tutti morti» disse Harris. «Cinque, su cento…»
«Il dispositivo deve essere estratto. È un ordine, Harris… Aar Khiilom! Sfidando questo ordine, sfidate lo Spinto stesso.»
«E va bene» replicò lui, con disinvoltura tinta d’ironia. «Mandate fuori Reynolds con i suoi ferri, che venga a toglierlo.»
Ci fu una lunga pausa. Ad Harris sembrò di sentirli confabulare. Certo i cinque si erano barricati oltre i dodici metri di portata del subsonico e ora Reynolds si rifiutava di avvicinarsi. La discussione si protrasse ancora per un po’. A tratti sentiva Carver imprecare rabbiosamente.
Poi Carver gridò: «Toglietevi il subsonico da solo. Non possiamo rischiare di perdere un uomo.»
«Mica sono un chirurgo.»
«Basta aprire lo sportello della coscia e staccare il dispositivo. Reynolds finirà il lavoro, quando avrete fatto questo.»
«Spiacente, ma la risposta è no, Carver.»
«Non vorrete sfidare lo Spirito!»
«Non voglio suicidarmi» replicò Harris. Sapeva che cosa sarebbe successo, una volta staccato il subsonico. Gli avrebbero bruciato il cervello con l’annientatore, dieci secondi dopo.
«È un ordine!» tuonò Carver.
«Non posso ubbidire a quest’ordine. E ora vengo dentro. Finiremo la conversazione faccia a faccia.»
«State fuori! Siamo armati!»
«Lo immagino.»
Si mosse. Avevano gli annientatori, ma la portata di quelle armi era di soli sei, sette metri. Lui poteva raggiungerli e tramortirli per primo. Probabilmente avevano anche le stordi-pistole, ma quelle perdevano la maggior parte della loro efficacia oltre i dodici metri.
Spalancò l’uscio.
Intravvide i cinque che se la davano a gambe, terrorizzati, in uno degli uffici interni. Si accinse a seguirli, ma una fiammata e uno spruzzo di metallo fuso contro lo stipite della porta, a pochi centimetri dalla sua testa, gli fecero cambiare idea.
Pistole e proiettili!
Pallottole!
Era buffo, in un certo senso, tornare ai rozzi proiettili in un momento tanto drammatico. Tuttavia bisognava ammettere che i proiettili avevano i loro vantaggi. Erano efficaci anche a grande distanza. E potevano causare danni gravi. Irreparabili, a volte.
Si gettò a terra, e una seconda pallottola andò a conficcarsi nella parete sopra di lui. Alzò la testa e calcolò la lunghezza del locale… nove metri abbondanti. E loro stavano nella stanza attigua, che era ancora più grande. Dunque avevano molto spazio per muoversi prima che lui arrivasse alla distanza giusta. E potevano colpirlo coi proiettili prima che lui riuscisse a tramortirli col subsonico.
Avanzò cautamente, strisciando sul pavimento. Si udì un’altra esplosione e un altro proiettile tagliò l’aria e andò a conficcarsi nel pavimento accanto a lui, in una nuvola di schegge.
«Questo è un sacrilegio, Harris» gridò Carver. «Vi ordino di fermarvi.»
Lui si morse un labbro. Una carica disperata pensò. È l’unica cosa da fare. Spero solo di non beccarmi una pallottola in pieno petto…
«Ve lo ordino in nome dello Spirito, Harris! Per tutto ciò che avete di sacro! Allontanatevi! Togliete quel subsonico! Aar Khiilom, state distruggendo la vostra anima! Farete appassire le radici dell’albero della vostra nascita! Mi sentite, Aar Khiilom?»
«Vi sento» rispose Harris.
«Obbedite!»
«Non posso» rispose lui, calmo. Si fermò un attimo, per raccogliere tutto il suo coraggio.
Poi balzò in piedi e caricò in un assalto disperato.
12
Si aspettava un proiettile in fronte da un momento all’altro. Partirono due colpi, mentre lui correva verso l’altra stanza. Li vedeva tutti e cinque, ora, ammucchiati dietro le scrivanie, come se quelle potessero proteggerli dal subsonico. Patterson impugnava la pistola.
Mentre Harris raggiungeva la soglia del locale, Patterson si alzò di scatto e sparò un colpo.
Fece centro.
La pallottola affondò nella spalla di Harris, a due centimetri dalla struttura ossea che sosteneva la testa. Lui sentì un dolore atroce. Le ossa si scheggiarono. La testa gli si piegò violentemente su un lato. Il braccio sinistro penzolò, inerte, mentre fitte dolorose lo percorrevano tutto. Harris inciampò e per poco non cadde.