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Sostò un attimo fuori della parola, poi diede un colpetto al congegno di avviso.

Nessuno rispose. Lui aggrottò la fronte e ritentò. Questa volta sentì il ronzio di un dispositivo di controllo sopra la sua testa e capì che la ragazza era sveglia e proprio dietro l’uscio.

«Sono io, Abner» disse lui. «Devo vedervi, Beth.»

«È tardi. È notte inoltrata.»

«Mi spiace avervi svegliato, ma devo parlarvi. È importante.»

«Aspettate» rispose la voce assonnata dall’interno. «Mi metto addosso qualcosa.»

Lui attese. Un momento dopo, la porta scorreva, aprendosi silenziosamente. Beth gli sorrise con cordialità. Si era messa addosso qualcosa, indubbiamente, ma quel «qualcosa» non era certo molto. Una vestaglia leggerissima che nascondeva la figura come un velo trasparente.

Ma in quel momento ad Harris non interessavano le sue forme, per quanto attraenti. Fissava invece la piccola arma scintillante che lei impugnava, decisa, tenendola puntata in direzione del suo cranio.

Riconobbe l’arma.

Era la versione medlinese della pistola a raggio annientatore.

Aveva avuto la conferma che desiderava, ma non si era aspettato di ottenerla in quel modo.

«Entrate, Abner» disse lei, con voce calma e fredda, con un movimento della pistola.

Lui ubbidì, troppo allibito per poter parlare. La porta si richiuse alle sue spalle. Beth indicò una sedia.

«Sedetevi lì.»

Lui si passò la lingua sulle labbra. «Cos’è questa storia, Beth?»

«Sapete già la risposta, non c’è bisogno che sia io a darvela. Volete sedervi?»

Harris si sedette.

«Ora che siete stato da Carver» disse lei, «sapete esattamente chi sono.»

«Ha detto che siete un agente di Medlin. Io ero scettico, ma…» Lanciò un’occhiata all’arma.

Difficile crederci, ma la prova era lì, minacciosa. Lui guardò la bella ragazza che se ne stava in piedi a pochi metri di distanza, con l’annientatore puntato verso il suo cervello. A giudicare dalle apparenze, i chirurgo-plastici di Medlin erano abili quanto quelli di Darruu; forse di più, perché i Medlinesi — sottili e con la pelle ruvida, rugosa — erano ancora meno umanoidi dei Darruuesi. Eppure sarebbe stato pronto a giurare sull’albero della sua nascita che quei seni, quei fianchi e quelle gambe ben tornite erano assolutamente genuini e non un prodotto della chirurgia plastica.

Sembravano autentici.

Autentici in modo sconcertante.

Il medlinese — o la medlinese? — che si faceva chiamare Beth Baldwin disse: «Abbiamo ricevuto informazioni complete su di voi nel momento stesso in cui siete entrato nell’orbita terrestre, Abner… o meglio, Aar Khiilom.»

Lui sobbalzò per la sorpresa. Sentire pronunciare il suo nome sulla Terra gli fece lo stesso effetto di un secchio d’acqua gelata in faccia.

«Come fate a sapere questo nome?»

Lei sorrise allegramente. «L’ho saputo nello stesso modo in cui ho saputo la vostra provenienza da Darruu e il momento esatto in cui uscivate dalla vostra stanza, un attimo prima che ci scontrassimo.»

«Dunque anche questo era stato previsto?»

«Certo.»

«E sapete anche che io sono venuto qui per uccidervi?»

Lei annuì.

Harris aggrottò la fronte e considerò la situazione. «I Medlinesi non hanno facoltà telepatiche» disse, cocciuto. «Non esiste nessuna specie di telepatia nella galassia.»

«Nessuna che conosciate voi, perlomeno» replicò lei, con una luce scherzosa negli occhi.

«Che volete dire?» chiese Harris, teso.

«Niente. Lasciamo perdere.»

Lui scacciò il pensiero che lo aveva colpito. Evidentemente la rete spionistica di Medlin era organizzata in modo formidabile, e forse usufruiva delle informazioni di un paio di traditori sullo stesso Darruu. Tutti quegli accenni alla telepatia erano un falso miraggio con cui Beth cercava di metterlo su una pista sbagliata. Tuttavia l’unico fatto su cui non esistevano dubbi…

«Sono venuto qui per uccidervi» disse. «Ho fatto fiasco. Mi avete intrappolato. Immagino che ora avrete intenzione di eliminare me? O sbaglio?»

«Sbagliate. Voglio solo parlarvi.»

Lui la guardò, pensoso, e cominciò a rilassarsi un poco. «Se volete parlare» disse con voce incolore che nascondeva l’ira di vedersi trattato come un topo dal gatto, «siate tanto cortese da mettervi addosso qualcosa. Vedervi davanti quasi completamente svestita, disturba la mia capacità di conversare.»

«Ah, sì?» disse Beth, con una risata argentina. «Volete dire che questo mio corpo artificiale suscita delle reazioni nel vostro corpo, altrettanto artificiale? Strano! Interessante!» Senza voltargli le spalle, né abbassare l’annientatore, prese un abito dall’armadio e se lo infilò sopra la vestaglia trasparente.

«Ecco» disse. «Va meglio così per il vostro equilibrio ghiandolare?»

«Un poco.»

«Non vorrei proprio mettervi a disagio.»

Il darruuese cominciò a sentirsi ancora più irritato. Quella stava gingillandosi con lui. Lo sfotteva. Più ripensava alla loro conversazione precedente, alla propria sdolcinata, quasi piagnucolosa chiacchierata sulla solitudine e sulla nostalgia, più detestava Beth che si era presa gioco di lui in quel modo… anche se doveva ammettere con se stesso che neppure le sue intenzioni erano state, per così dire, cristalline.

Adesso era profondamente turbato. Non poteva azionare il segnale d’emergenza senza muovere le mani, e ogni movimento improvviso gli sarebbe stato fatale fin tanto che Beth teneva quella pistola puntata. Rimase lì seduto, immobile, col sudore che gli scorreva sulla pelle innestata.

«Dunque mi avete catturato» disse. «Che cosa volete da me? Perché non mi uccidete e la fate finita?»

«Dovete credermi terribilmente crudele.»

«Siete di Medlin.»

«Questo è vero. Ma le parole medlinese e crudele sono forse sinonimi, nel vostro vocabolario, Abner?»

«I nostri mondi sono nemici da secoli. Vi aspettate forse che io ammiri la nobiltà dei Medlinesi? La loro eccelsa intelligenza? La loro bellezza fisica? Il vostro è un mondo di sciacalli e di assassini!» esclamò, furente.

«Come siete gentile, Abner!»

«Tirate il grilletto e fatela finita, dunque!» incalzò lui. «Non accetto di essere provocato in questo modo.»

Lei si strinse nelle spalle. «Vi ho detto che preferisco parlare.»

«E parlate, allora.»

«Benissimo» fece Beth. «Vi dirò quello che so su di voi. Siete uno dei dieci agenti Darruuesi presenti sulla Terra. Altri agenti stanno arrivando da Darruu, ma per ora qui ce ne sono solo tre. Correggetemi, se sbaglio.»

«Perché dovrei farlo?» replicò Harris, asciutto.

«È una domanda giusta» convenne lei. «Voi non siete affatto obbligato a tradire la vostra gente. Ma vi assicuro che abbiamo tutte le informazioni necessarie, dunque non è il caso che inventiate niente per amore di patria. Non forzate la vostra fantasia. Andiamo avanti: voi e i vostri compatrioti siete venuti qui con lo scopo di cattivarvi la simpatia dei Terrestri e di guadagnare la Terra alla causa di Darruu.»

«Non lo nego affatto» replicò lui. «Ma voi di Medlin siete qui suppergiù per lo stesso motivo: per assicurarvi il controllo della Terra.»

«Ecco dove sbagliate» disse la ragazza, brusca. «Noi siamo venuti per aiutare i Terrestri, non per dominarli.»

«Naturale!»

«Voi motivi del genere non li capite, vero?» chiese lei, con tono sprezzante.

«Riesco a capire abbastanza bene l’altruismo» rispose Harris, disinvolto. «Solo che mi riesce difficile crederci, quando è predicato dagli abitanti di Medlin.»

Beth si rabbuiò. «Certo voi penserete che si tratti di semplice propaganda, se vi dico che noi non vogliamo la violenza, quando è possibile raggiungere i nostri scopi con mezzi pacifici…»