— Non appena avrò messo qualcosa sotto i denti.
— Lei è mussulmano? — c’interruppe Myshtigo.
— Sono di fede copta — replicò Rameses, senza sorridere.
— Oh, davvero? Era l’eresia Monofisita, no?
— Noi non ci consideriamo eretici — disse Rameses.
Dopo di che cominciai a chiedermi se noi greci avessimo fatto davvero bene a sguinzagliare la logica in un mondo talmente scalognato, mentre Myshtigo si lanciava in un divertente (per lui) catalogo delle eresie cristiane. In un accesso di rabbia per dover guidare un giro del genere, le registrai tutte nel Diario di Viaggio. Più tardi, Lorel mi disse che si trattava d’un documento interessante e ben tenuto. Il che dimostra appunto quanto devo essermi sentito arrabbiato in quel momento. Parlai persino dell’accidentale canonizzazione di Budda, scambiato per San Giosafat nel sedicesimo secolo. Alla fine, mentre Myshtigo se ne stava lì a farsi beffe di noi, capii che se non avessimo cambiato argomento gli sarei saltato addosso. Io non sono cristiano, e quindi la sua rassegna dei nostri grotteschi errori teologici non mi colpiva nel plesso religioso. Ma m’irritava vedere che un membro d’un’altra razza s’era preso la briga di fare tante ricerche solo per farci sembrare un mucchio d’idioti. Riconsiderando adesso la cosa, mi rendo conto di aver avuto torto. Il successo dei videonastri di cui m’occupavo a quell’epoca («il lavoro» cui aveva fatto allusione Rameses) mi ha portato a formulare una nuova ipotesi sui vegani. Erano così maledettamente annoiati di se stessi e noi costituivamo una tale novità che si sono gettati a corpo morto sui nostri problemi di perenne attualità e su quelli classici, nonché su quello costituito dalla nostra presente esistenza carnale. S’ingolfavano in vasti studi e speculazioni su chi avesse realmente scritto le tragedie di Shakespeare, se Napoleone fosse morto o no a S. Elena, chi fossero stati i primi europei a mettere piede in America, e se i libri di Charles Fort indicassero che la Terra era stata visitata da una razza intelligente sconosciuta anche a loro; e via di seguito. Le alte caste vegane si sono digerite anche le nostre dispute teologiche medievali. Divertente.
— A proposito del suo libro, Srin Shtigo… — intervenni.
Il titolo onorifico lo fermò.
— Sì? — rispose.
— La mia impressione — dissi, — è che adesso lei non ne voglia discutere affatto. Naturalmente rispetto questa volontà, ma la cosa mi mette in una posizione piuttosto imbarazzante, come capo della spedizione. — Sapevamo entrambi che avrei dovuto parlargliene in privato, specialmente dopo la sua risposta a Phil al nostro primo incontro, ma mi sentivo idrofobo e volevo che se ne accorgesse; e inoltre volevo dare un altro indirizzo alla discussione. Così dissi: — Sono curioso di sapere se sarà principalmeate una descrizione dei posti che visiteremo, o se lei ha bisogno di una mano per individuare particolari situazioni locali correnti di qualche tipo. Politiche, per esempio, o culturali.
— Il mio interesse principale è quello di scrivere un libro di viaggio, descrittivo — asserì, — ma gradirò qualsiasi suo commento. Pensavo che questo fosse proprio il suo compito, comunque. Ora come ora ho una certa conoscenza delle tradizioni terrestri e della situazione attuale, sicché la cosa non m’interessa troppo.
Dos Santos, che passeggiava fumando mentre ci preparavano il pranzo, si fermò d’improvviso e disse: — Srin Shtigo, quali sono i suoi sentimenti nei confronti del Movimento Ritornista? È d’accordo con le nostre richieste? O le considera un vicolo cieco?
— Risposta affermativa — replicò, — alla sua ultima frase. Io credo che quando uno è morto abbia l’unico dovere di obbedire al becchino. Rispetto le vostre richieste, ma non vedo come possiate sperare di realizzarle. Perché mai la vostra gente dovrebbe rinunciare alla sicurezza che attualmente possiede per ritornare a questo posto? Quasi tutti gli appartenenti alla nuova generazione non hanno mai visto la Terra, se non in film; e deve ammettere che non si tratta di pellicole propriamente incoraggianti.
— Non sono d’accordo con lei — disse Dos Santos, — e trovo troppo aristocratico il suo atteggiamento.
— Ma deve essere così — replicò Myshtigo.
George e il cibo arrivarono press’a poco nello stesso tempo.
I camerieri cominciarono a servirci.
— Preferirei mangiare da solo ad un tavolo piccolo — ordinò Dos Santos ad un cameriere.
— Sei qui perché hai chiesto di esserci — gli feci notare.
Si fermò a metà della fuga e gettò uno sguardo furtivo a Parrucca Rossa, che sedeva alla mia destra. Credo d’aver scorto un impercettibile movimento della sua testa, prima a sinistra, poi a destra.
Dos Santos si ricompose con un piccolo sorriso e s’inchinò lievemente.
— Perdoni il mio temperamento latino — osservò. — È stupido aspettarmi di convertire qualcuno al Ritornismo in cinque minuti, come mi è stato difficile nascondere i miei sentimenti.
— È abbastanza ovvio.
— Ho fame — dissi.
Sedette di fronte a noi, accanto a George.
— Osservate la Sfinge — disse Parrucca Rossa, gesticolando verso un’incisione sul muro, — che pronuncia i suoi discorsi tra un lungo periodo di silenzio e un indovinello gettato per caso. Vecchia come il tempo. Molto rispettata. Indubbiamente senile. Tiene chiusa la bocca ed aspetta. Cosa? Chi lo sa? I suoi gusti artistici tendono al monolitico, Srin Shtigo?
— Talora — replicò lui, dalla mia sinistra.
Dos Santos guardò una volta, rapidamente, dietro le spalle, poi di nuovo verso Diane. Non disse nulla.
Chiesi a Parrucca Rossa di passarmi il sale, e lei me lo passò. Avrei voluto rovesciarglielo addosso, per immobilizzarla e poterla studiare a mio piacimento; invece mi limitai ad usarlo sulle patate.
Osservate la Sfinge, proprio vero!
Sole alto, ombre corte, caldo: ecco com’era. Non volevo in giro ragni-della-sabbia o Lance a rovinare la scena, così costrinsi tutti a farsela a piedi. Non era molto distante, e scelsi un percorso lievemente circolare per ottenere l’effetto calcolato.
Camminammo per un chilometro, un po’ salendo, un po’ scendendo. Confiscai la rete per farfalle di George onde evitare pause irritanti, e oltrepassammo i diversi campi di trifoglio che incorniciavano il percorso.
Tornando indietro nel tempo, era proprio così: uccelli scintillanti che svanivano in un lampo (cra! cra!), e una coppia di cammelli che si stagliava contro l’orizzonte distante ogni volta che salivamo una piccola duna. (Profili di cammello, in effetti, schizzati a carboncino; ma era più che sufficiente. Chi se ne frega dell’espressione d’un cammello? Nemmeno gli altri cammelli, in realtà. Che bestie nauseanti…). Una piccola donna dalla pelle scura ci passò accanto, tenendo un’alta giara sulla testa. Myshtigo annotò questo fatto nel suo registratore tascabile. Io annuii alla donna e le feci un saluto. La donna restituì il saluto ma non annuì, naturalmente. Ellen, già tutta bagnata, continuava a farsi aria con un grande ventaglio verde a triangolo; Parrucca Rossa camminava altera, con le piccole gocce di sudore che le inumidivano il labbro superiore, gli occhi nascosti dietro un paio d’occhiali da sole neri quant’era possibile. Finalmente arrivammo. Salimmo l’ultima, bassa collina.
— Guardate — disse Rameses.
— Madre de Dios! - esclamò Dos Santos.
Hasan grugnì.
Parrucca Rossa si girò velocemente verso di me, poi dall’altra parte. Non potevo leggere la sua espressione a causa degli occhiali. Ellen continuò a farsi vento.
— Cosa stanno facendo? — chiese Myshtigo. Era la prima volta che lo vedevo genuinamente sorpreso.
— Cavolo, stanno smantellando la grande piramide di Cheope — dissi.
Dopo un po’ Parrucca Rossa lo chiese.
— Perché?
— Stammi a sentire — le spiegai — da queste parti sono a corto di materiale da costruzione, dato che la roba che viene da Vecchia Cairo è radioattiva; così si procurano il necessario mandando in pezzi questo vetusto esempio d’architettura geometrica.
— Stanno dissacrando un monumento alle glorie passate della razza umana! — esclamò lei.
— Nulla è più inutile delle glorie passate — osservai. — Adesso è il presente quello che c’interessa, e hanno bisogno di materiale da costruzione.
— Da quanto va avanti questa faccenda? — chiese Myshtigo, gettando fuori tutte le parole in un colpo.
— È stato tre giorni fa — rispose Rameses, — che abbiamo iniziato lo smantellamento.
— Cosa vi dà il diritto di fare una cosa del genere?
— È stata autorizzata dal Dipartimento per le Arti, Monumenti ed Archivi terrestri, Srin.
Myshtigo si girò verso di me, e i suoi occhi color ambra avevano uno strano lampo.
— Lei! — disse.
— Io — concessi, — sono effettivamente Commissario. È esatto.
— Perché nessun altro ha sentito parlare di questa sua azione?
— Perché c’è pochissima gente che viene ancora qui — spiegai. — Un’altra buona ragione per smantellare quell’accidente. Di questi tempi non è oggetto d’una grande attenzione. E io ho l’autorità per autorizzare azioni del genere.
— Sono venuto da un altro mondo per vederla!
— Be’, allora si sbrighi a darle un’occhiata — gli raccomandai. — Sta partendo in fretta.
Si girò a fissarla.
— Ovviamente lei non ha idea del suo valore intrinseco. O, se l’ha…
— Al contrario, so esattamente quanto vale.
— … E queste infelici creature che lei ha messo a lavorare qui — la sua voce s’alzò mentre studiava la scena, — sotto i raggi di questo sole implacabile… Lavorano nelle condizioni più primitive immaginabili! Non ha mai sentito parlare di macchine da trasporto?
— Naturalmente. Troppo care.
— E i guardiani hanno delle fruste! Come può trattare a questo modo la sua gente? È pura perversione!
— Tutti questi uomini si sono offerti volontari per il lavoro, con un salario simbolico; e l’Equità degli Attori non ci permetterebbe di usare le fruste, anche se gli uomini fossero d’accordo. Ci è permesso solo farle schioccare nell’aria vicino alle loro schiene.
— L’Equità degli Attori?
— Il loro sindacato. Vuol vedere un po’ di macchinari? — Gesticolai. — Guardi su quella collina.
Guardò.
— Cosa succede lassù?
— Stiamo registrando tutto su videonastro.
— A che scopo?
— Quando avremo finito metteremo in circolazione il film a velocità normale, ma proiettandolo dalla fine all’inizio. Lo chiameremo «La Costruzione della Grande Piramide». Dovrebbe servire a fare qualche risata, e un po’ di soldi. I vostri storici si sono messi a discutere su come avessimo fatto a costruirle dal primo giorno che ne hanno sentito parlare. Questo dovrebbe renderli un po’ più felici. Personalmente ho deciso che un’operazione F.B.I.M. sarebbe stata la soluzione migliore.
— F.B.I.M.?
— Forza Bruta e Ignoranza di Massa. Dia un’occhiata a come si danno da fare, per piacere. Seguono gli spostamenti delle telecamere, mostrando il viso e alzandosi appena s’accorgono d’essere inquadrati. A prodotto finito li mostreremo tutti quanti stramazzati al suolo. D’altra parte è il primo film terrestre dopo anni e anni. Sono proprio eccitati.
Dos Santos scrutò i denti serrati di Parrucca Rossa, e i muscoli tirati sotto i suoi occhi. Gettò un’occhiata alla piramide.
— Sei pazzo! — stabilì.
— No — replicai. — A modo suo, anche l’assenza d’un monumento può essere un monumento.
— Un monumento a Conrad Nomikos — affermò.
— No — disse allora Parrucca Rossa. — È indubbio che esiste un’arte distruttiva, come esiste un’arte costruttiva. Penso che stia tentando una cosa del genere. Recita la parte del Caligola. Forse posso addirittura capire perché.
— Grazie.
— Niente prego. Ho detto «forse». Un artista lo fa con amore.
— L’amore è una forma negativa d’odio.
— Sto morendo, Egitto, morendo — disse Ellen.
Myshtigo rise.
— Lei è più duro di quanto pensassi, Nomikos — osservò. — Ma non indispensabile.
— Provi a far licenziare un impiegato statale. Specialmente me.
— Potrebbe essere più facile di quanto lei pensi.
— Vedremo.
— Può essere.
Ci girammo verso il restante 90 per cento della grande piramide di Cheofe-Khufu. Myshtigo ricominciò a prendere note.
— Ho preferito che la vedeste da qui, per adesso — dissi. — La nostra presenza distruggerebbe la credibilità del film e farebbe sprecare metri e metri di pellicola. Siamo degli anacronismi. Potremo scendere durante la pausa per il caffè.
— Sono d’accordo — assentì Myshtigo, — e sono sicuro di saper riconoscere un anacronismo, quando ne vedo uno. Ma qui ho già visto tutto quello che m’interessa. Torniamo alla locanda. Voglio parlare con gli indigeni.
Dopo un momento disse, pensoso: — Allora vedrò Sakkara prima del previsto. Non ha ancora cominciato a smantellare tutti i monumenti di Luxor, Karnak e della Valle dei Re, spero.
— Non ancora, no.
— Bene. Allora li visiteremo in anticipo.
— Muoviamoci di qui — disse Ellen. — Il caldo è bestiale.
Così ritornammo.
— Credi davvero a tutto quello che dici? — mi chiese Diane mentre ripercorrevamo il cammino.
— A modo mio.
— Com’è che pensi a cose del genere?
— In greco, ovviamente. Poi le traduco in inglese. Sono un mago, per le traduzioni.
— Chi sei?
— Ozimandia. Considera le mie opere e dispera, o grande.
— Non sono grande.
— Mi chiedo… — dissi, e la lasciai con una buffa espressione sulla parte del suo viso che potevo vedere, mentre camminavamo.