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— Stammi a sentire — le spiegai — da queste parti sono a corto di materiale da costruzione, dato che la roba che viene da Vecchia Cairo è radioattiva; così si procurano il necessario mandando in pezzi questo vetusto esempio d’architettura geometrica.

— Stanno dissacrando un monumento alle glorie passate della razza umana! — esclamò lei.

— Nulla è più inutile delle glorie passate — osservai. — Adesso è il presente quello che c’interessa, e hanno bisogno di materiale da costruzione.

— Da quanto va avanti questa faccenda? — chiese Myshtigo, gettando fuori tutte le parole in un colpo.

— È stato tre giorni fa — rispose Rameses, — che abbiamo iniziato lo smantellamento.

— Cosa vi dà il diritto di fare una cosa del genere?

— È stata autorizzata dal Dipartimento per le Arti, Monumenti ed Archivi terrestri, Srin.

Myshtigo si girò verso di me, e i suoi occhi color ambra avevano uno strano lampo.

— Lei! — disse.

— Io — concessi, — sono effettivamente Commissario. È esatto.

— Perché nessun altro ha sentito parlare di questa sua azione?

— Perché c’è pochissima gente che viene ancora qui — spiegai. — Un’altra buona ragione per smantellare quell’accidente. Di questi tempi non è oggetto d’una grande attenzione. E io ho l’autorità per autorizzare azioni del genere.

— Sono venuto da un altro mondo per vederla!

— Be’, allora si sbrighi a darle un’occhiata — gli raccomandai. — Sta partendo in fretta.

Si girò a fissarla.

— Ovviamente lei non ha idea del suo valore intrinseco. O, se l’ha…

— Al contrario, so esattamente quanto vale.

— … E queste infelici creature che lei ha messo a lavorare qui — la sua voce s’alzò mentre studiava la scena, — sotto i raggi di questo sole implacabile… Lavorano nelle condizioni più primitive immaginabili! Non ha mai sentito parlare di macchine da trasporto?

— Naturalmente. Troppo care.

— E i guardiani hanno delle fruste! Come può trattare a questo modo la sua gente? È pura perversione!

— Tutti questi uomini si sono offerti volontari per il lavoro, con un salario simbolico; e l’Equità degli Attori non ci permetterebbe di usare le fruste, anche se gli uomini fossero d’accordo. Ci è permesso solo farle schioccare nell’aria vicino alle loro schiene.

— L’Equità degli Attori?

— Il loro sindacato. Vuol vedere un po’ di macchinari? — Gesticolai. — Guardi su quella collina.

Guardò.

— Cosa succede lassù?

— Stiamo registrando tutto su videonastro.

— A che scopo?

— Quando avremo finito metteremo in circolazione il film a velocità normale, ma proiettandolo dalla fine all’inizio. Lo chiameremo «La Costruzione della Grande Piramide». Dovrebbe servire a fare qualche risata, e un po’ di soldi. I vostri storici si sono messi a discutere su come avessimo fatto a costruirle dal primo giorno che ne hanno sentito parlare. Questo dovrebbe renderli un po’ più felici. Personalmente ho deciso che un’operazione F.B.I.M. sarebbe stata la soluzione migliore.

— F.B.I.M.?

— Forza Bruta e Ignoranza di Massa. Dia un’occhiata a come si danno da fare, per piacere. Seguono gli spostamenti delle telecamere, mostrando il viso e alzandosi appena s’accorgono d’essere inquadrati. A prodotto finito li mostreremo tutti quanti stramazzati al suolo. D’altra parte è il primo film terrestre dopo anni e anni. Sono proprio eccitati.

Dos Santos scrutò i denti serrati di Parrucca Rossa, e i muscoli tirati sotto i suoi occhi. Gettò un’occhiata alla piramide.

— Sei pazzo! — stabilì.

— No — replicai. — A modo suo, anche l’assenza d’un monumento può essere un monumento.

— Un monumento a Conrad Nomikos — affermò.

— No — disse allora Parrucca Rossa. — È indubbio che esiste un’arte distruttiva, come esiste un’arte costruttiva. Penso che stia tentando una cosa del genere. Recita la parte del Caligola. Forse posso addirittura capire perché.

— Grazie.

— Niente prego. Ho detto «forse». Un artista lo fa con amore.

— L’amore è una forma negativa d’odio.

— Sto morendo, Egitto, morendo — disse Ellen.

Myshtigo rise.

— Lei è più duro di quanto pensassi, Nomikos — osservò. — Ma non indispensabile.

— Provi a far licenziare un impiegato statale. Specialmente me.

— Potrebbe essere più facile di quanto lei pensi.

— Vedremo.

— Può essere.

Ci girammo verso il restante 90 per cento della grande piramide di Cheofe-Khufu. Myshtigo ricominciò a prendere note.

— Ho preferito che la vedeste da qui, per adesso — dissi. — La nostra presenza distruggerebbe la credibilità del film e farebbe sprecare metri e metri di pellicola. Siamo degli anacronismi. Potremo scendere durante la pausa per il caffè.

— Sono d’accordo — assentì Myshtigo, — e sono sicuro di saper riconoscere un anacronismo, quando ne vedo uno. Ma qui ho già visto tutto quello che m’interessa. Torniamo alla locanda. Voglio parlare con gli indigeni.

Dopo un momento disse, pensoso: — Allora vedrò Sakkara prima del previsto. Non ha ancora cominciato a smantellare tutti i monumenti di Luxor, Karnak e della Valle dei Re, spero.

— Non ancora, no.

— Bene. Allora li visiteremo in anticipo.

— Muoviamoci di qui — disse Ellen. — Il caldo è bestiale.

Così ritornammo.

— Credi davvero a tutto quello che dici? — mi chiese Diane mentre ripercorrevamo il cammino.

— A modo mio.

— Com’è che pensi a cose del genere?

— In greco, ovviamente. Poi le traduco in inglese. Sono un mago, per le traduzioni.

— Chi sei?

— Ozimandia. Considera le mie opere e dispera, o grande.

— Non sono grande.

— Mi chiedo… — dissi, e la lasciai con una buffa espressione sulla parte del suo viso che potevo vedere, mentre camminavamo.

— Mi lasci parlare del boadrillo — dissi.

La nostra feluca si muoveva lentamente sull’abbagliante sentiero d’acqua che si snoda di fronte ai grandi colonnati grigi di Luxor. Myshtigo mi dava la schiena. Fissava le colonne, dettando a tratti le sue impressioni.

— Quando prenderemo terra? — mi chiese.

— Tra circa un miglio, in linea retta. Forse è meglio che le dica qualcosa del boadrillo.

— So cos’è un boadrillo. Le ho spiegato che ho studiato il vostro mondo.

— Uh-huh. Una cosa è leggerne…

— Ho anche visto dei boadrilli. Ce ne sono quattro nel Giardino Terrestre di Taler.

— … e un’altra cosa è vederli dal vivo.

— Tra lei e Hasan siamo un vero arsenale ambulante. Vedo tre granate nella sua cintura, e quattro in quella di Hasan.

— Le granate non si possono usare quando quelle bestie sono troppo vicine; si rischia di finire spappolati. E se sono distanti, non si riesce a colpirli. Si muovono troppo in fretta.

Finalmente si girò.

— Cosa usa, allora?

Frugai nel mio mantello (m’ero vestito da indigeno) ed estrassi l’arma che cerco sempre d’aver sottomano quando vengo da queste parti.

Lui l’esaminò.

— Che roba è?

— Un mitra. Spara proiettili al meta-cianuro, con un impatto di una tonnellata a carica. Non è molto preciso nel tiro, ma non è necessario. È costruito sul modello d’una pistola-mitragliatrice del ventesimo secolo, la Schmeisser.

— Piuttosto ingombrante. Può fermare un boadrillo?

— Con un po’ di fortuna. Ne ho un altro paio in una delle casse. Ne vuole uno?

— No, grazie. — Fece una pausa. — Ma può dirmi ancora qualcosa dei boadrilli. Quel giorno gli ho dato solo un’occhiata, ed erano ben nascosti sott’acqua.