Ma non potevo. Continuò a piegarsi sinché la testa gli toccò il suolo, e io non potei schiacciarlo più oltre.
Non è possibile che la schiena di qualcuno si pieghi a quel modo senza spezzarsi, ma la sua lo fece.
Poi ritirai il ginocchio e lo lasciai andare, e lui mi fu di nuovo addosso. Immediatamente.
Così tentai di strangolarlo. Le mie braccia erano molto più lunghe delle sue. Lo afferrai per la gola con entrambe le mani, mentre i pollici gli premevano contro quella che doveva essere la trachea. Ma lui riuscì ugualmente a far scivolare le sue braccia tra le mie, fino al gomito e più in dentro, e cominciò a spingere in avanti. Io continuai a stringere, aspettando che la faccia gli diventasse nera e gli occhi gli schizzassero dalle orbite. I miei gomiti cominciarono a cedere sotto la sua inarrestabile pressione.
Poi le sue braccia ebbero partita vinta, e lui mi afferrò per la gola.
E restammo lì a soffocarci l’un l’altro. Solo che era impossibile strangolare lui.
I suoi pollici erano come dei chiodi che mi penetrassero nei muscoli della gola. Sentii che il viso s’infiammava. Le tempie cominciarono a rombarmi.
Molto in distanza udii un grido:
— Fermalo, Hasan! Non dovrebbe fare così!
Sembrava la voce di Parrucca Rossa. Comunque, quello è il nome che mi venne in testa: Parrucca Rossa. Il che significava che Dos Santos era da qualche parte nelle vicinanze. E lei aveva detto: «Hasan», un nome scolpito in un’altra immagine che divenne improvvisamente chiara.
Tutto ciò significava che io ero Conrad e mi trovavo in Egitto, e la faccia priva d’espressione che mi ballonzolava davanti era quella del lottatore-robot. Rolem, una creatura che poteva essere programmata sul quintuplo della forza umana e probabilmente lo era. Una creatura che poteva avere i riflessi d’un gatto pieno d’adrenalina, e senza dubbio li stava usando a dovere.
Solo che un golem non avrebbe dovuto uccidere, incidenti a parte, e Rolem stava tentando d’uccidermi.
Il che significava che il suo regolatore interno non funzionava.
Abbandonai la presa, visto che non serviva, e piazzai il palmo della mano sinistra sotto il suo gomito destro. Poi raggiunsi l’estremità delle sue braccia e gli afferrai il polso destro con l’altra mano, e mi abbassai più che potevo e diedi uno strattone in su spingendolo per il gomito e tirandolo per il polso.
Quello perse l’equilibrio e precipitò verso destra, mollando la presa sulla mia gola. Sempre tenendolo per il polso, gli feci girare il braccio in modo che il gomito si trovasse rivolto in alto. Poi con la mano, dopo aver chiamato a raccolta tutte le mie forze, cercai di spezzargli il braccio, portandogli il polso ad angolo retto col gomito.
Niente. Non ci fu alcun rumore di frattura interna. Il suo braccio cedette semplicemente e assunse un’angolatura innaturale.
Gli lasciai il polso e lui cadde in ginocchio. Poi si rialzò in piedi, velocissimo, e il braccio gli si raddrizzò e tornò in posizione normale.
Se capivo davvero qualcosa di Hasan, Rolem era stato regolato sul massimo di tempo: due ore. Un periodo piuttosto lungo, tutto considerato.
Ma questa volta sapevo chi ero e cosa stavo facendo. E sapevo in che modo erano strutturati i golem. Questo qui era un robot lottatore. Di conseguenza non poteva boxare.
Gettai una veloce occhiata alle mie spalle, nel posto dove mi trovavo quando tutta la faccenda era cominciata: la tenda della radio era distante una quindicina di metri.
In quel momento ci mancò poco che mi finisse. Durante quello schifoso secondo in cui avevo rivolto altrove la mia attenzione, quello era balzato avanti e mi aveva afferrato dietro il collo con una mano e sotto il mento con l’altra.
Sarebbe anche riuscito a spezzarmi il collo se avesse potuto finire, ma proprio in quel momento arrivò un altro scossone del terreno (piuttosto duro, che ci fece finire tutti e due a terra), e mi liberai anche di quella stretta.
Qualche secondo dopo balzai in piedi, mentre la terra continuava a tremare. Anche Rolem era di nuovo in piedi, e mi stava di fronte.
Eravamo come due marinai ubriachi che combattevano su una nave scossa dalla tempesta…
Mi balzò incontro e io lo aspettai.
Lo colpii con un pugno di sinistro, e mentre lui s’attaccava al mio braccio gliene tirai un altro nello stomaco. Poi indietreggiai.
Tornò all’attacco, e io continuai a mollargli pugni. Per lui la boxe era come la quarta dimensione per me: non poteva vederla. Continuò ad avanzare, assorbendo i miei pugni, e io continuai a ritirarmi in direzione della tenda della radio, e il terreno seguitò a sussultare e da qualche parte una donna stava gridando, e sentii urlare un «Olé!» quando gli tirai un destro sotto la cintura, nella speranza di danneggiargli un po’ il cervello. Poi ci arrivammo, e vidi quello che volevo: il grande sasso che prima intendevo scaraventare sulla radio. Feci una finta di sinistro, poi afferrai Rolem tenendolo ben stretto, e lo sollevai in alto sopra la mia testa.
Mi sporsi in avanti, tesi i muscoli, e lo scagliai sul sasso. Lo prese nello stomaco.
Cominciò di nuovo a rialzarsi, ma più lentamente di prima, e allora lo colpii nello stomaco, tre volte, col mio stivale destro rinforzato, e lo vidi ricadere all’indietro.
Uno strano ronzio cominciò a provenire dalla parte centrale del suo corpo.
Il terreno si mosse di nuovo. Rolem si ripiegò su se stesso, poi si distese, e gli unici segni di movimento erano nelle dita della sua mano sinistra. Continuavano ad aprirsi e chiudersi, ricordandomi, stranamente, le mani di Hasan quella notte all’hounfor.
Allora mi voltai lentamente, ed erano tutti lì: Myshtigo ed Ellen, e Dos Santos con una guancia gonfia, Parrucca Rossa, George, Rameses e Hasan, e i tre egiziani tutti incerottati. Feci un passo verso di loro e cominciarono di nuovo a ritirarsi, i visi pieni di paura. Ma io scossi la testa.
— No, adesso sono a posto — dissi, — ma lasciatemi solo. Vado al fiume a fare un bagno. — Mossi diversi passi, e poi qualcuno deve aver levato il tappo, perché gorgogliai, tutto prese a vorticare, e il mondo fu risucchiato nel tubo di scarico.
I giorni che seguirono furono cenere, e le notti furono ferro. Lo spirito che m’avevano strappato dall’anima era sepolto più in fondo di qualsiasi mummia che giacesse sotto quella sabbia. Si dice che i morti dimentichino i vivi nella casa dell’Ade, Cassandra, ma io speravo che non fosse così. Avevo ancora il compito di guidare la spedizione e continuai ad occuparmene. Lorel suggerì che trovassi qualcuno per portarla a termine e mi prendessi una vacanza. Non potevo.
Cosa avrei fatto? Dovevo restarmene a rimuginare in qualche Vecchio Posto, vivendo sulle spalle degli incauti viaggiatori? No. In circostanze del genere è sempre essenziale avere qualcosa da fare; qualcosa che abbia una forma, e abbia la possibilità di sviluppare col tempo anche un contenuto. Così continuai con la spedizione, rivolgendo la mia attenzione ai piccoli misteri che aveva generato.
Mi portai via Rolem e studiai il suo regolatore interno. Era stato rotto, naturalmente; il che significava che l’avevo fatto io nelle prime fasi del nostro combattimento, oppure l’aveva fatto Hasan con l’intento di ridurmi a pezzettini. Se era stato Hasan, allora non voleva vedermi solo sconfitto, ma morto. Se le cose stavano così, la domanda era: perché? Mi chiesi se il suo mandante sapeva che un tempo io ero stato Karaghiosis. Ma se lo sapeva, perché avrebbe dovuto voler uccidere il fondatore e primo Segretario del suo Partito? L’uomo che aveva giurato che non si sarebbe lasciato portar via la Terra sotto gli occhi per vederla ridotta ad un campo sportivo da un branco di alieni blu, non senza combattere, per lo meno; l’uomo che aveva organizzato un sistema terroristico che riduceva automaticamente a zero il valore di qualsiasi proprietà vegana sulla Terra, ed era giunto al punto di bombardare gli opulenti uffici dell’Immobiliare Talenta nel Madagascar; l’uomo di cui aveva sposato apertamente gli ideali, anche se ormai erano incanalati in una forma più pacifica e legale di difesa della proprietà; perché doveva voler morto quell’uomo?