Выбрать главу

Be’, esiste un modo per far abbandonare la presa a qualsiasi tipo di constrictor, almeno per un momento. Gli acchiappai la testa, che s’era abbassata appena d’un’idea a contemplare la futura colazione, e riuscii a infilare le dita oltre le creste scagliose che si trovavano sui lati della testa.

Gli ficcai i pollici negli occhi con tutta la forza possibile. Poi un gigante spastico mi colpì con una frusta grigioverde. Mi rimisi in piedi, e mi ritrovai ad un tre metri di distanza dal punto dov’ero prima. Myshtigo era stato scagliato più in là sulla riva. Si stava giusto raddrizzando quando la cosa tornò all’attacco.

Solo che attaccava me, non lui.

Ergendosi in tutta la sua altezza a più di due metri dal suolo, si scagliò vacillando contro di me. Rotolai di fianco e quella testa grande e piatta mi mancò di pochi centimetri, e l’impatto del colpo mi ricoprì di polvere e sassi.

Rotolai ancora un po’ e feci per rialzarmi, ma arrivò la coda a sbattermi giù di nuovo. Cercai di tirarmi indietro, ma era troppo tardi per sfuggire alla stretta di quelle spire. Mi si arrotolò attorno ai fianchi, e ricaddi indietro.

Poi un paio di braccia blu s’avvinghiarono attorno alla cosa che mi stringeva il corpo, ma riuscirono a fare presa solo per pochi secondi. Poi ci trovammo tutti e due uniti da nodi insolubili.

Cercai di muovermi, ma come si fa a liberarsi da un enorme cavo corazzato rivestito d’una sostanza viscida, con un’infinità di piccole zampe che ti strappano la carne? Ormai il mio braccio destro era incollato al fianco, e non potevo muovere la mano sinistra tanto da consentirmi qualche presa valida. Le spire si chiusero più strettamente. La testa si mosse verso di me, e allora mirai al corpo della bestia. Lo percossi e lo artigliai, e riuscii finalmente a liberare il braccio destro, perdendo un po’ di pelle nella manovra.

Tesi verso l’alto la mano destra, mentre la testa scendeva. Incontrai la mascella inferiore, l’afferrai, la tenni ferma in quella posizione, impedendo alla testa d’avanzare ulteriormente. La morsa delle spire si chiuse attorno alla mia vita, più potente ancora della stretta del golem. Poi la bestia spostò la testa di lato, lontano dalla mia mano, e la fece di nuovo scendere a mascelle spalancate.

I colpi di Myshtigo dovevano averlo irritato e reso un po’ più lento, fornendomi l’occasione per un’ultima difesa.

Gli ficcai le mani in bocca, impedendogli di chiudere le mascelle.

L’interno della bocca era viscido e il mio palmo cominciò a scivolarvi, lentamente. Feci pressione verso il basso sulla mascella inferiore, con tutta la forza possibile. La bocca s’apri d’un altro paio di centimetri, e sembrò essere giunta al massimo delle sue possibilità.

Allora la cosa cercò di tirarsi indietro, per farmi mollare la presa, ma le spire con cui mi avvolgeva erano troppo strette per darle spazio sufficiente.

Così si srotolò un poco, allentando lievemente la presa, e tirando indietro la testa. Riuscii a mettermi in ginocchio. Myshtigo era accovacciato su se stesso ad un paio di metri da me.

La mia destra scivolò ancora un po’, e ormai stavo per perdere del tutto l’equilibrio.

Poi sentii un grande urlo.

Il brivido nella bestia arrivò quasi simultaneamente. Mi liberai le braccia, sentendo che per un secondo la stretta della cosa era diminuita. Ci fu uno spaventoso richiudersi di denti, e un ultimo tentativo di soffocarmi. Mi tirai indietro appena in tempo.

Poi mi ritrovai libero, e riuscii a districarmi. La levigata lancia di legno che s’era piantata nel boadrillo gli stava togliendo la vita, e i suoi movimenti divennero improvvisamente spasmodici, non più aggressivi.

Fui sbattuto a terra due volte dal suo agitarsi, ma ce la feci a liberare Myshtigo, e ci allontanammo d’una quindicina di metri a guardarlo morire. Ci volle un bel po’ di tempo.

Hasan stava fermo, il viso privo d’espressione. L’assagai con cui s’era allenato tanto a lungo aveva fatto il suo lavoro. Quando più tardi George dissezionò la bestia scoprimmo che la lancia si era piantata a pochi centimetri dal cuore, spezzando la grande arteria. Se volete saperlo, aveva due dozzine di zampe, distribuite equamente sui due fianchi, come era logico aspettarsi.

Dos Santos stava a fianco di Hasan e Diane stava a fianco di Dos Santos. C’erano anche tutti gli altri.

— Bella mira — dissi. — Colpo eccellente. Grazie.

— Non è niente — replicò Hasan.

Non è niente, aveva detto. Niente, solo un colpo mortale alla mia idea che Hasan avesse manomesso il golem. Se aveva tentato di uccidermi allora, perché mai avrebbe dovuto salvarmi dal boadrillo?

A meno che quello che mi aveva raccontato al Porto fosse la verità sputata: che era stato assunto per proteggere il vegano. Se quello era il suo compito principale, e uccidermi solo un lavoro secondario, allora aveva dovuto salvare anche me solo per salvare la vita del vegano.

Ma allora…

Oh, all’inferno. Basta.

Scagliai una pietra il più lontano possibile, e un’altra. Le Lance sarebbero arrivate al nostro accampamento il giorno dopo e ci saremmo messi in volo per Atene, fermandoci solo a Nuova Cairo per depositare Rameses e gli altri tre. Ero contento di lasciare l’Egitto, con tutta la sua muffa e la sua sabbia e le sue divinità morte e semi-animalesche. Ero già nauseato di quel posto.

Poi arrivò una chiamata di Phil dal Porto, e Rameses mi condusse nella tenda radio.

— Sì? — dissi, alla radio.

— Conrad, sono Phil. Ho appena finito di scrivere la sua elegia, e mi piacerebbe leggertela. Anche se non l’ho mai incontrata ne ho sentito parlare da te e ho visto la sua fotografia, così penso d’aver fatto un lavoro abbastanza buono…

— Per piacere, Phil. In questo momento non me ne importa niente del potere consolatorio della poesia. Qualche altra volta, magari…

— Non è una di quelle elegie da completare all’ultimo momento. So che a te non piacciono, e in un certo senso non ti do torto.

La mia mano giocherellò col comando per interrompere la trasmissione, si fermò, e afferrò invece una delle sigarette di Rameses.

— Avanti, leggi. Ascolto.

E lui lesse, e non era nemmeno un brutto lavoro. Non ne ricordo molto. Ricordo soltanto quelle parole incisive, chiare, che mi arrivavano da una distanza di mezzo globo, e io che stavo lì ad ascoltarle, ammaccato di dentro e di fuori. Descrisse le virtù della Ninfa che Poseidone aveva cercato di salvare, ma aveva perso e abbandonato a suo fratello Ade. Invocò un lutto generale tra gli elementi. E mentre lui parlava la mia mente percorse a ritroso il tempo sino a quei due mesi felici a Kos, e tutto quello che era successo dopo scomparve; ed eravamo di nuovo a bordo della Vanitie, diretti verso il nostro isolotto da picnic col suo boschetto semi-sacro, e facevamo il bagno insieme, e giacevamo insieme sotto il sole, stringendoci le mani senza dir nulla, semplicemente assaporando i raggi del sole, che come una cascata splendente e asciutta e gentile, scendevano sulle nostre anime rosa e nude, là su quella spiaggia interminabile che circondava all’infinito il nostro piccolo regno per poi tornare sempre a noi.

E lui finì e si schiarì la gola un paio di volte, e la mia isola scomparve alla vista dei miei occhi portandosi via una parte di me, perché ormai quel tempo era morto.

— Grazie, Phil — dissi. — Era molto bella.

— Sono contento che tu la trovi adatta — fece lui. Poi: — Nel pomeriggio volerò ad Atene. Mi piacerebbe unirmi a voi in questa parte del viaggio, se non hai nulla in contrario.

— Senz’altro — replicai. — Ma posso chiederti perché?

— Ho deciso che voglio vedere la Grecia ancora una volta. Dato che ci sarai anche tu, sembrerà un po’ di più come ai vecchi tempi. Mi piacerebbe dare un’ultima occhiata a qualcuno dei Vecchi Posti.