— No — dissi in fretta, — penso proprio di no. Non cambierebbe nulla. E cosa gli direbbe, comunque?
Una pausa. Poi: — Capisco cosa vuol dire. Anche a me è venuto da pensare che forse Dos Santos non è così moderato come credevo… Ma se questo è il caso…
— Già — dissi. — Vuole tornare?
— Non posso.
— Allora okay, amico blu, lei dovrà avere fiducia in me. Può cominciare col dirmi qualcosa di più su questa sua visita…
— No! Non so quanto lei sappia e quanto lei non sappia. È chiaro che sta cercando di strapparmi altre informazioni, sicché non penso che lei sappia poi molto. Quello che sto facendo è ancora di natura confidenziale.
— Sto cercando di proteggerla — replicai, — per cui voglio tutte le informazioni che posso ottenere.
— Allora protegga il mio corpo, e lasci che sia io a preoccuparmi dei miei motivi e dei miei pensieri. In futuro la mia mente le sarà chiusa. Non vale la pena che lei si dia da fare per metterla alla prova.
Gli tesi un’automatica.
— Le suggerisco di portarsi dietro quest’arma per tutta la durata del viaggio. Per proteggere i suoi motivi.
— Molto bene.
La pistola svanì sotto la sua tonaca fluttuante.
Puff — puff — puff, faceva il vegano.
Maledizione-maledizione-maledizione, facevano i miei pensieri.
— Vada a prepararsi — dissi. — Partiamo tra poco.
Mentre tornavo all’accampamento, seguendo un altro percorso, presi ad analizzare i miei motivi. Un libro, da solo, non poteva mandare in pezzi la Terra, la Radpol, il Ritornismo. Non c’era riuscito nemmeno Il Richiamo della Terra di Phil. Ma quest’accidente di Myshtigo sarebbe stato qualcosa di più d’un libro. Un’ispezione? Cosa poteva essere? Una spinta in quale direzione? Non lo sapevo e dovevo saperlo. Perché Myshtigo non doveva vivere, se quella cosa ci avrebbe distrutti; ma non potevo nemmeno permettere che lo uccidessero, se la sua missione poteva essere di aiuto. Il che era possibile.
Di conseguenza bisognava aspettare finché non fossimo completamente sicuri.
Mi avevano tirato per il guinzaglio. Potevo solo obbedire alla spinta.
— Diane — dissi, mentre eravamo fermi all’ombra della sua Lancia, — mi hai detto che significo qualcosa per te, come Karaghiosis.
— Credo proprio di sì.
— Allora ascoltami. Io credo che potreste sbagliarvi per quanto riguarda il vegano. Non ne sono sicuro, ma se voi vi sbagliate sarebbe un errore enorme ucciderlo. Per questa semplice ragione non posso permetterlo. Abbandonate tutti i progetti finché non raggiungeremo Atene. Poi chiedete una chiarificazione di quel messaggio della Radpol.
Mi fissò in entrambi gli occhi, poi disse: — Va bene.
— E Hasan?
— Aspetterà.
— È lui che sceglie il momento e il posto, non è vero? Aspetta solo l’opportunità di colpire.
— Sì.
— Allora bisogna dirgli di stare calmo finché non siamo sicuri.
— Molto bene.
— Glielo dirai?
— Gli sarà detto.
— Bene.
Mi voltai, cominciai ad allontanarmi.
— E quando arriverà di nuovo il messaggio — disse lei, — se ripeterà la stessa cosa… Che faremo?
— Vedremo — replicai, senza girarmi.
La lasciai lì vicino alla sua Lancia, e ritornai alla mia. Sapevo che mi sarei trovato con più guai tra le mani, se il messaggio fosse arrivato per la seconda volta dicendo le cose che pensavo. E per questo avevo già preso la mia decisione.
Molto a sud-est da noi, certe zone del Madagascar aggredivano ancora i contatori geiger con le loro urla di dolore radioattivo: un tributo all’abilità di uno di noi. Hasan, ne ero sicuro, poteva ancora affrontare qualsiasi barriera senza strizzare quei suoi occhi gialli, essiccati dal sole, abituati alla morte…
Sarebbe stato difficile fermarlo.
Giù. Sotto di noi.
Morte, caldo, un mare striato di lava, nuove linee di spiaggia…
Fenomeni vulcanici a Chio, Samo, Icaria, Nasso…
Alicarnasso spazzata via…
La parte occidentale di Kos ancora visibile, ma cosa importava?
… Morte, caldo, un mare striato di lava.
Nuove linee di spiaggia…
Avevo fatto deviare tutto il convoglio dal percorso previsto per osservare la scena. Myshtigo prendeva note, e faceva fotografie.
Lorel aveva detto: — Vai avanti con il viaggio. I danni alle proprietà non sono stati troppo ingenti, perché il Mediterraneo era pieno di baracche e rifiuti. I danni alle persone sono stati fatali, oppure sono già sotto controllo. Per cui proseguite.
Sorvolai lentamente quel che rimaneva di Kos: l’estremità occidentale dell’isola. Era un terreno scabro, vulcanico, e adesso c’erano nuovi crateri, alcuni dei quali fumanti; e nuovi, scintillanti corsi d’acqua che si muovevano a zig-zag sulla superficie. Un tempo lì si trovava l’antica capitale di Astipalia. Tucidide dice che fu distrutta da un gigantesco terremoto. Avrebbe dovuto vedere questo. La città più a nord di Kos era stata abitata sin dal 366 a.C. Adesso era sparito tutto, tranne l’umidità e il caldo. Non c’erano sopravvissuti; e il platano di Ippocrate e la moschea della Loggia e il castello dei Cavalieri di Rodi, e le fontane, e il mio cottage, e mia moglie, tutto era stato sepolto da un’onda d’acqua o risucchiato in un gorgo marino, non lo so… Tutto aveva percorso la stessa strada del defunto Teocrito, l’uomo che tanti anni fa aveva fatto del suo meglio per rendere immortale quel posto. Tutto sparito. Via. Lontano… Tutte cose immortali per me, anche se morte. Più a est spuntavano ancora dall’acqua alcune cime dell’alta catena montuosa che interrompeva a nord la pianura costiera, prima del terremoto. C’era il grande picco di Dikaios (detto anche Cristo il Giusto), che sovrastava i villaggi posti sul fianco nord della catena montuosa. Adesso era solo un isolotto, e nessuno aveva fatto in tempo ad arrampicarsi fin sulla cima.
Deve essere stato così, tanti anni fa, quando le acque del mare vicino alla mia terra natia, circondate dalla penisola calcidica, si erano alzate a sommergere la terraferma; quando le acque del mare interno si erano aperte a forza uno sbocco attraverso la gola di Tempe, provocando uno scuotimento tale da far vacillare anche l’Olimpo; quando gli unici superstiti furono il signore e la signora Deucalione, salvati dagli dèi per creare un mito e generare qualche figlio cui raccontarlo.
— Lei viveva qui — disse Myshtigo.
Annuii.
— Ma è nato nel villaggio di Makrynitsa, nelle colline della Tessaglia?
— Sì.
— Però aveva fissato qui la sua dimora?
— Per un po’.
— «Avere una casa» è un concetto universale — disse. — Lo apprezzo.
— Grazie.
Continuai a fissare in giù, sentendomi triste, malato, pazzo; e poi più nulla.
Dopo un periodo d’assenza Atene mi torna davanti con un’improvvisa familiarità che mi rinfresca sempre, spesso mi cambia; a volte mi incita. Una volta Phil mi ha letto qualche pezzo di uno degli ultimi grandi poeti greci, George Seferis, sostenendo che si riferiva alla mia Grecia quando diceva: «… Un paese che non è più nostro, e nemmeno vostro», una chiara allusione ai vegani. Quando gli ho fatto notare che non c’erano vegani in circolazione al tempo in cui visse Seferis, Phil ha ribattuto che la poesia esiste indipendentemente dallo spazio e dal tempo, e che significa qualunque cosa significhi per il lettore. A parte che non ho mai creduto che la licenza poetica vada bene anche per viaggiare nel tempo, avevo altre ragioni per trovarmi in disaccordo con lui; per non leggere quel brano come un’affermazione particolare.