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La Grecia è il nostro paese. I Goti, gli Unni, i Bulgari, i Serbi, i Franchi, i Turchi, e più recentemente i Vegani, non sono mai riusciti a strapparcela. Di gente ne ho vista morire parecchia. Atene ed io, invece, siamo cambiati insieme. Il continente greco, comunque, è il continente greco, e per me non cambia. Provatevi a portarcelo via, chiunque voi siate, e i miei guerriglieri riempiranno le colline, come le furie vendicatrici del tempo. Voi passerete, ma le colline della Grecia rimarranno, intatte, con l’odore dei femori di capra che bruciano, con quel loro miscuglio di sangue e vino, un sapore di mandorle dolci, un vento freddo di notte, e cieli azzurri e chiari come gli occhi d’un dio di giorno. Toccatele, se avete coraggio.

È per questo che mi sento rinfrescato ogni volta che torno: perché adesso che sono un uomo con molti anni dietro le spalle, provo queste stesse sensazioni per tutta la Terra. È per questo che ho combattuto, e ucciso e bombardato; per questo che ho tentato ogni trucco legale per impedire ai vegani di comperare la Terra, pezzo per pezzo, dal governo in esilio di Taler. È per questo che mi sono fatto strada, con un altro nome, nella grande macchina statale che manda avanti il pianeta ed in particolare nella sezione riguardante le Arti, i Monumenti e gli Archivi. Lì posso lottare per conservare quello che resta, in attesa degli sviluppi della situazione.

La vendetta della Radpol aveva spaventato sia i vegani che gli emigrati terrestri. Non riuscivano a capire, poverini, che i discendenti dei sopravvissuti ai Tre Giorni non avevano voglia di cedere ai vegani i loro appezzamenti costieri migliori per vederci costruire alberghi e cose del genere, e allevare i loro figli e figlie per metterli a lavorare in quei posti; e nemmeno che non si sarebbero prestati a fare da guida ai vegani nelle rovine delle loro città, indicandogli i punti di maggior interesse per il loro divertimento. Per questo l’Ufficio è soprattutto un centro di relazioni con l’estero.

Avevamo chiesto il ritorno dei discendenti dei coloni marziani e titaniani, e il ritorno non s’era verificato. S’erano infiacchiti, succhiando come sanguisughe le risorse d’una civiltà avanzata rispetto alla nostra. Avevano perso la propria identità. Ci avevano abbandonati.

Tuttavia, erano il Governo Terrestre, de jure, legalmente eletto dalla maggioranza assente; e probabilmente anche de facto, se si fosse mai giunti ai ferri corti. Probabilmente. Speravo solo che non si dovesse giungere a quel punto.

Per oltre mezzo secolo s’era mantenuta una situazione di stallo: niente nuove costruzioni vegane, niente azioni violente della Radpol. Ma niente ritorno, nemmeno. Presto ci sarebbe stato un nuovo sviluppo. Era nell’aria, ammesso che Myshtigo fosse davvero in visita d’ispezione.

E così tornai ad Atene in una giornata squallida, sotto una pioggia fredda e continua; un’Atene sconvolta dai recenti scuotimenti della Terra, e nella mia mente c’era una domanda e ferite sul mio corpo, ma mi sentii rinfrescato. Il Museo Nazionale era ancora lì, tra Tossitsa e Vasileos Irakliou, l’Acropoli era ancora più rovinata di quanto ricordassi, e il Garden Altar (un tempo il vecchio Palazzo Reale) si trovava sempre sul lato nord-ovest del Parco Nazionale, di fronte a Piazza Syndagma. Il terremoto gli aveva dato una bella scrollata, ma era aperto lo stesso.

Entrammo, e ci facemmo registrare.

Come Commissario delle Arti, Monumenti ed Archivi, ebbi particolari attenzioni. Ottenni l’Appartamento: il Numero 19.

Non era esattamente come l’avevo lasciato io. Era ordinato e pulito.

La placchetta metallica sulla porta diceva:

Quest’appartamento è servito da quartier generale a Konstantin Karaghiosis durante la fondazione della Radpol e quasi tutta la Ribellione Ritornista.

Dentro, c’era una placca ai piedi del letto che diceva:

Konstantin Karaghiosis ha dormito in questo letto.

Ne trovai un’altra sul muro opposto della stanza d’ingresso, lunga e stretta. Diceva:

La macchia su questo muro è stata prodotta da una bottiglia di liquore, scagliata attraverso la stanza da Konstantin Karaghiosis, a celebrazione del bombardamento del Madagascar.

Credeteci, se volete.

Konstantin Karaghiosis s’è seduto su questa poltrona, insisteva un’altra.

Ormai avevo paura d’entrare nel bagno.

Quella stessa notte, più tardi, mentre percorrevo le umide strade pietrose della mia città quasi deserta, i vecchi ricordi e i pensieri correnti si mescolavano nella mia testa come due fiumi confluenti. Avevo lasciato gli altri all’albergo, e, discesa l’ampia scalinata dell’Altar, mi ero fermato a leggere un’iscrizione tratta da una delle orazioni funebri di Pericle («La Terra intera è la tomba dei grandi uomini») sul fianco del Monumento al Milite Ignoto; mi ero fermato ad osservare gli arti muscolosi di quell’antico guerriero, disteso con tutte le sue armi sul letto funebre, tutto marmo e bassorilievi, eppure ancora caldo, perché la notte diventa ad un certo punto tutt’uno con Atene; e poi avevo tirato diritto, oltrepassando Leoforos Amalias.

Era stata una cena eccellente: ouzo, giuvetsi, Kokkineli, yaourti, Metaxa, litri di caffè nero, e Phil che discuteva con George dell’evoluzione.

— Non credi che qui si stia verificando una convergenza tra vita e mito, negli ultimi giorni di vita sul pianeta?

— Cosa vuoi dire? — aveva chiesto George, finendo un piatto di narantzi e aggiustandosi gli occhiali per vedere meglio.

— Voglio dire che quando l’umanità è giunta alla luce s’è portata dietro leggende e miti e memorie di creature favolose. Adesso stiamo scendendo di nuovo nell’oscurità originaria. La Forza Vitale sta diventando debole e instabile, e c’è un ritorno a quelle forme archetipali che per tanto tempo sono esistite solo come oscure memorie di razza…

— Sciocchezze, Phil. Forza Vitale? In che secolo credi di essere? Parli come se tutte le forme di vita fossero un’unica entità senziente.

— Lo sono.

— Allora dimostramelo, per favore.

— Nel tuo museo hai gli scheletri di tre satiri, e fotografie di altri vivi. Li puoi trovare nelle colline di questo paese. Inoltre qui sono stati visti dei centauri; ed esistono fiori vampiri, e cavalli con vestigia di ali. In ogni mare si trovano serpenti di mare. I pipiragni riempiono i nostri cieli. Certe persone hanno persino giurato d’aver visto la Bestia Nera della Tessaglia, una creatura che mangia uomini, ossa, e ogni sorta di cose. Insomma, tutte le leggende si stanno dimostrando reali.

George aveva sospirato.

— Tutto quello che hai detto sinora prova soltanto che tra le infinite forme di vita possibili tutte possono realizzarsi, se esistono i necessari fattori costituzionali e un ambiente adatto. Le cose che hai menzionato, tranne i pipiragni che non sono terrestri, sono soltanto mutazioni, creature nate vicino ai vari Posti Caldi un po’ in tutto il mondo. Le colline della Tessaglia offrono le condizioni necessarie. Se in questo momento la Bestia Nera sfondasse quella porta tenendosi un satiro sulle spalle, non metterebbe in forse le mie opinioni, né proverebbe nemmeno le tue.

In quel momento avevo guardato la porta, sperando che entrasse non la Bestia Nera, ma un vecchiettino fragile e dall’aria innocua che ci passasse a fianco, inciampasse, e sparisse; oppure un cameriere che portasse a Diane un drink inatteso, con un messaggio nascosto nel tovagliolo.

Ma nessuna di queste cose era accaduta. Mentre oltrepassavo Leoforos Amalias, l’Arco d’Adriano e l’Olympieion, non sapevo ancora quale sarebbe stata la parola d’ordine. Diane aveva preso contatto con la Radpol, ma non era ancora giunta la risposta.

Tra trentasei ore saremmo volati da Atene a Lamia; e poi ci saremmo addentrati a piedi in zone coperte di strani, nuovi alberi, con foglie lunghe e pallide e venate di rosso, e viti rampicanti, e cose che crescono e s’attaccano da tutte le parti, e i germogli e le radici mobili dello strige-fleur; e poi sempre avanti, per pianure inaridite dal sole, su per tortuosi sentieri di capre, attraverso montagne aspre e alte, e giù per profondi burroni, con monasteri in rovina disseminati intorno. Era un’idea pazzesca; ma Myshtigo (sempre lui!) voleva che così fosse. Soltanto perché ero nato da quelle parti, credeva di essere al sicuro. Avevo cercato di parlargli delle belve feroci, delle tribù cannibali che vagabondavano nei dintorni. Ma lui voleva fare come Pausania, e vedere tutto a piedi. E così sia: se non lo beccava la Radpol, ci avrebbe pensato la fauna locale.