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— Bruci un’offerta agli dèi — disse una voce vicino a me.

Non mi girai. Le parole erano giunte dalla mia sinistra, ma non mi girai perché conoscevo la voce.

— Forse — replicai.

— È passato lungo tempo da che tu hai calcato questa terra, questa Grecia.

— È vero.

— È perché non è mai esistita una Penelope immortale, paziente come le montagne, fiduciosa nel ritorno del suo Kallikanzaros, tessitrice, paziente come le colline?

— Sei diventato il cantastorie del villaggio, ultimamente?

Ridacchiò.

— Accudisco le pecore dalle molte gambe nei luoghi alti, dove le dita di Aurora giungono per prime a tingere di rosa il cielo.

— Sì, sei il cantastorie. Perché non te ne stai nei luoghi alti, a corrompere i giovani col tuo canto?

— Perché sogno.

— Già.

Mi girai a fissare quel viso antico: le sue rughe, alla luce della lampada morente, erano nere come reti da pescatore perse sul fondo dell’oceano; la barba bianca come la neve che scende precipitando dalle montagne; gli occhi del blu della fascia che gli cingeva le tempie. E s’appoggiava al bastone con la stessa forza d’un guerriero che s’appoggia alla lancia. Sapevo che aveva più di cento anni, e che non s’era mai sottoposto al trattamento S-S.

— Poco tempo fa ho sognato che stavo nel centro d’un nero tempio — mi raccontò, — e arrivò il Signore dell’Ade e mi si mise a fianco, e m’afferrò la spalla e mi comandò d’andare con lui. Ma io dissi «No» e mi svegliai. Questo mi preoccupa.

— Cos’avevi mangiato quella sera? Bacche del Posto Caldo?

— Non irridermi, ti prego. Poi, in una notte dipoi, ho sognato che mi trovavo in una terra di sabbia e oscurità. La forza degli antichi campioni era sopra di me, ed io combattei con Anteo, figlio della Terra, e lo distrussi. Poi di nuovo giunse da me il Signore dell’Ade, e presomi per il braccio disse «Vieni con me, adesso». Ma di nuovo non gli obbedii e mi svegliai. La Terra stava tremando.

— È tutto?

— No. Ancor più recentemente, e non di notte, ma mentre sedevo sotto un albero ad osservare il mio gregge, feci un sogno mentr’ero sveglio. Come Febo combattei col mostro Pitone, e quasi ne fui distrutto. Questa volta il Signore dell’Ade non venne, ma allorché mi guardai attorno Ermes, il suo staffiere, era lì e sorrideva e puntava i caducei come fucili nella mia direzione. Scossi la testa, ed egli li abbassò. Poi di nuovo li alzò in un gesto, ed io guardai dove m’aveva indicato.

«E lì davanti ai miei occhi si stendeva Atene, questo posto, questo Teatro, tu, e qui sedevano le antiche donne. Colei che misura il filo della vita era imbronciata, poiché aveva disteso il tuo all’orizzonte e gli occhi non ne scorgevano la fine. Ma colei che tesse lo aveva diviso in due fili assai sottili. L’uno si stendeva attraverso il mare e svaniva ancora alla mia vista. L’altro portava alle colline. Sulla prima collina stava l’Uomo Morto, che stringeva il tuo filo nelle sue bianche, bianche mani. Dietro di lui, sulla collina seguente, una roccia ardente bruciava il filo. E sulla collina dietro la roccia stava la Bestia Nera, e scuoteva e mordeva il tuo filo coi denti. E lungo tutto lo svolgersi del trefolo s’ergeva un grande guerriero straniero, e gialli erano i suoi occhi e nuda la lama nelle sue mani, ed egli levò più d’una volta la lama in gesto di minaccia.

«Così sono disceso ad Atene per incontrarti, qui, in questo luogo, per dirti di riattraversare i mari, per avvisarti di non salire la collina dove t’attende la morte. Perché seppi, quando Ermes sollevò i caducei, che i sogni non erano i miei, ma a te s’indirizzavano, o padre mio, e che dovevo trovarti qui e metterti in guardia. Vattene via adesso, mentre ancora lo puoi. Torna indietro. Ti prego».

Gli afferrai la spalla.

— Giasone, figlio mio, io non torno indietro. Mi assumo la piena responsabilità delle mie azioni, giuste o sbagliate che siano, e anche della mia morte, se così dev’essere. Ma questa volta debbo andare sulle colline, vicino al Posto Caldo. Grazie per il tuo avvertimento. La nostra famiglia ha sempre avuto qualcosa di particolare per i sogni, ma a volte ci ingannano. Anch’io ho sogni, sogni in cui vedo attraverso gli occhi di altre persone, talora chiaramente, talora no. Grazie per il tuo avvertimento. Mi spiace di non poterlo ascoltare.

— Allora tornerò al mio gregge.

— Torna con me al mio appartamento. Domani ti faremo volare sino a Lamia.

— No. Non dormo nei grandi edifici, e non volo.

— Allora è probabilmente tempo che tu riparta, ma voglio assecondarti. Possiamo accamparci qui per stanotte. Sono Commissario di questo monumento.

— Avevo sentito dire che hai un posto d’importanza nel Governo. Ci saranno altri delitti?

— Spero di no.

Trovammo un punto comodo e ci sdraiammo sul suo mantello.

— Come interpreti i sogni? — gli chiesi.

— I tuoi doni ci giungono con ogni nuova stagione, ma quand’è stata l’ultima volta che ci hai fatto visita?

— Circa diciannove anni fa — dissi.

— Allora non sai dell’Uomo Morto?

— No.

— È più grande di molti uomini, più alto e grosso, con la pelle del colore del ventre dei pesci, e denti come quelli d’un animale. Sono quindici anni da che hanno preso a parlarne. Esce solo la notte. Beve sangue. Ride d’un riso infantile, e percorre il paese cercando sangue: di gente o d’animali, per lui è lo stesso. Sorride attraverso le finestre delle camere da letto, quando la notte è fonda. Brucia le chiese. Fa cagliare il latte. Causa orribili smarrimenti col suo aspetto. Di giorno si dice che dorma in una bara, custodita dalla tribù dei Kourete.

— Sembra terribile come un kallikanzaros.

— Esiste realmente, padre. Qualche tempo fa, qualcosa uccise le mie pecore. Qualunque cosa fosse aveva mangiato parte della loro carne, e bevuto molto del loro sangue. Così mi scavai un nascondiglio e lo ricopersi di frasche. Quella notte restai a vegliare. Dopo molte ore giunse, ed ero troppo spaventato per scagliare una pietra con la fionda; poiché è come lo hanno descritto: grande, anche più grande di te, e gonfio, e del colore d’un corpo appena interrato. Spezzò il collo della pecora con le mani, e bevve il sangue dalla sua gola. Fremetti a quella vista, ma tremavo all’idea di fare qualcosa. Il giorno seguente spostai il gregge, e non ebbi altre preoccupazioni. Ora uso questa storia per spaventare i miei pro-pronipoti, i tuoi pro-pro-pronipoti, quando si comportano male… E lui è là che aspetta, sulle colline.

— Mm, sì… Se dici d’averlo visto, dev’essere vero. E strane cose nascono dai Posti Caldi. Noi lo sappiamo.

— …Dove Prometeo versò troppo fuoco della creazione.

— No, dove qualche bastardo sganciò una bomba al cobalto e ragazzi e ragazze urlarono al fallout. E la Bestia Nera?

— Anch’essa è reale, ne sono certo. Non l’ho mai vista, comunque. Grande come un elefante, e molto veloce; mangiatrice di carne, dicono. Infesta le pianure. Forse un giorno s’incontrerà con l’Uomo Morto, e i mostri si distruggeranno l’un l’altro.

— Di solito non va a questo modo, ma è una bella idea. E non ne sai nient’altro?

— No. Nessuno le ha gettato più d’un’occhiata.

— Be’, cercherò di evitare anche di darle un’occhiata.

— … E poi devo dirti di Bortan.

— Bortan? Il nome mi è familiare.

— Il tuo cane. Ero solito correre seduto sulla sua schiena quand’ero un bimbo, e battere con le gambe sui suoi grandi fianchi corazzati. Allora egli si scrollava e mi mordeva il piede, ma gentilmente.