— Mio padre era un uomo molto buono e gentile e religioso — disse. — Adorava Malak Tawus, che gli ottusi Sciti chiamano Iblis, o Shaitan, o Satana, ed era sempre devoto ad Hallâj e agli altri dèi Sandjaq. Era molto conosciuto per la sua devozione, per la sua grande bontà.
«Io lo amavo, ma da bambino avevo dentro un diavolo. Ero ateo. Non credevo nel Demonio. Ed ero un bambino malvagio, perché mi procurai un pulcino morto e lo infilzai su un bastone e lo chiamai l’Angelo della Vanità, e lo colpii con pietre e gli strappai le piume. Uno degli altri ragazzi si spaventò e lo raccontò a mio padre. Allora mio padre mi scudisciò per le strade, e mi disse che ero nato per essere scorticato vivo e fatto a pezzi a causa della mia irreligiosità. Mi fece salire sul Monte Sindjar a pregare per ottenere il perdono, e io andai; ma il diavolo era ancora dentro di me, nonostante le scudisciate, e non credevo alle preghiere che recitavo.
«Adesso che sono più vecchio il diavolo è sparito, ma anche mio padre se n’è andato molti anni fa, e non posso dirgli: mi spiace d’aver deriso l’Angelo della Vanità. Invecchiando sento il bisogno della religione. Spero che il Diavolo, nella sua grande saggezza e misericordia, mi capisca e mi perdoni».
— Hasan, è difficile insultarti per bene — dissi. — Ma ti avviso: il blu non deve essere toccato.
— Sono solo un’umile guardia del corpo.
— Ah! Tu sei strisciante e velenoso come un serpente. Sei falso e traditore. E anche maligno.
— No, Karagee. Grazie, ma non è vero. Mi faccio un punto d’orgoglio di eseguire gli incarichi che mi sono affidati. Questo è tutto. Questa è la legge per cui vivo. E poi è inutile che tu cerchi d’insultarmi perché ti sfidi a duello, lasciando a te la scelta delle armi: mani nude o pugnali o sciabole. No. Non mi sento offeso.
— Allora attento — l’avvisai. — La tua prima mossa contro il vegano sarà anche l’ultima.
— Se così sta scritto, Karagee…
— E chiamami Conrad!
Mi allontanai, pensando pensieri cattivi.
Il giorno dopo, visto che eravamo ancora tutti vivi, levammo il campo e ci muovemmo, macinando circa otto chilometri prima dell’interruzione seguente.
— Sembra il pianto d’un bambino — disse Phil.
— Hai ragione.
— Da dove viene?
— Dalla sinistra, laggiù.
Attraversammo alcuni cespugli, giungemmo ad un corso d’acqua in secca, lo seguimmo attorno a una svolta.
Il bambino giaceva tra le rocce, mezzo avvolto in una coperta lurida. Il viso e le mani erano già bruciati dal sole, e dunque doveva trovarsi lì almeno dal giorno prima. Sul piccolo volto bagnato aveva i segni delle punture di diversi insetti.
M’inginocchiai, sistemando la coperta in modo che lo coprisse meglio.
Ellen gettò un piccolo urlo quando la coperta si aprì sul davanti e lasciò vedere il petto del bambino: c’era una fistola, e qualcosa si muoveva nel suo interno.
Parrucca Rossa gridò, si girò, e cominciò a piangere.
— Che cos’è? — chiese Myshtigo.
— Uno degli abbandonati — dissi. — Uno dei marchiati.
— È spaventoso! — esclamò Parrucca Rossa.
— Il suo aspetto? O il fatto che l’abbiano abbandonato? — chiesi.
— Tutte e due le cose!
— Datelo a me — disse Ellen.
— Non toccatelo — avvertì George, chinandosi. — Chiamate una Lancia — ordinò. — Dobbiamo portarlo subito in un ospedale. Qui non ho gli strumenti per operare. Ellen, aiutami.
Lei gli andò a fianco, e si dettero da fare entrambi con la cassetta del pronto soccorso.
— Scrivi quello che faccio e attacca il foglio su una coperta pulita. Così i medici d’Atene saranno subito informati.
Dos Santos stava già telefonando a Lamia, per far arrivare una delle nostre Lance.
E poi Ellen preparava iniezioni per George e disinfettava le ferite e spalmava pomate sulle bruciature e scriveva tutto. Riempirono il bambino di vitamine, antibiotici, reattivi generici, e un’altra mezza dozzina di cose. Dopo un po’ persi il conto. Gli fasciarono il petto con della garza, lo spruzzarono di qualcosa, lo avvolsero in una coperta pulita, e ci attaccarono il foglio con le annotazioni.
— Che cosa spaventosa! — disse Dos Santos. — Abbandonare un figlio deforme, lasciarlo morire in quel modo!
— Qui lo fanno piuttosto spesso — gli spiegai, — specialmente attorno ai Posti Caldi. In Grecia è sempre esistita una certa tendenza all’infanticidio. Io stesso sono rimasto esposto sulla cima d’una collina il giorno che nacqui. E ci ho passato anche la notte.
Stava accendendosi una sigaretta, ma si fermò a fissarmi.
— Tu? Perché?
Risi, e lanciai un’occhiata ai miei piedi.
— È una storia complicata. Porto uno stivale speciale perché questa gamba è più corta dell’altra. E inoltre, mi dicono che come infante fossi piuttosto peloso; e poi ho gli occhi scompagnati. Immagino che avrei anche potuto farcela se questo fosse stato tutto, ma sono nato il giorno di Natale, e ciò confermava un po’ tutti gli altri fattori.
— Cosa c’è che non va a nascere di Natale?
— Gli dèi, secondo le credenze locali, lo ritengono un gesto un tantino presuntuoso. Per queste ragioni i bambini che nascono a Natale non sono di sangue umano. Sono della razza dei distruttori, dei provocatori di disgrazie, terrorizzano gli uomini. Li chiamano Kallikanzaroi. Teoricamente, dovrebbero avere lo stesso aspetto di quei tipi con corna e zoccoli, ma non è necessario. Possono anche avere il mio aspetto, decisero i miei genitori, ammesso che lo fossero. E così m’hanno piantato sulla cima d’una collina, per essere rispedito indietro.
— E poi cos’è successo?
— C’era un vecchio prete ortodosso nel villaggio. Gli giunse notizia della cosa, e andò a parlare con loro. Gli disse che era un peccato mortale compiere un’azione de! genere, e che avrebbero fatto meglio a riprendersi il bambino, in fretta, e portarlo a battezzare il giorno dopo.
— Ah! E così sei stato salvato e battezzato?
— Be’, più o meno. — Presi una delle sue sigarette. — Tornarono indietro con me, d’accordo, ma insistettero a dire che non ero lo stesso bambino che avevano abbandonato. Avevano lasciato giù un ambiguo mutante e si ritrovarono un sostituto ancor più ambiguo, dissero. Il primo era anche più brutto, affermavano: era un satiro. S’immaginarono che qualche creatura Calda avesse avuto un figlio semi-umano e l’avesse abbandonato come loro, facendo un cambio, per così dire. Nessun altro m’aveva visto prima, sicché non fu possibile controllare la loro storia. Comunque il prete non volle nemmeno sentirne parlare, e disse loro che dovevano tenermi. D’altronde si dimostrarono molto gentili, una volta accettata la situazione. Più crescevo e più diventavo grosso, ed ero molto forte per la mia età. Questo a loro faceva piacere.
— E sei stato battezzato…
— Be’, ho avuto un mezzo battesimo.
— Mezzo battesimo?
— Al prete venne un colpo mentre mi bagnava. Morì poco dopo. Era l’unico disponibile nei dintorni, così non so se la cerimonia fu eseguita alla perfezione.
— Una sola goccia dovrebbe essere sufficiente.
— Immagino di sì. Ma non so che cosa accadde con esattezza.
— Forse sarebbe meglio che tu lo rifacessi. Tanto per essere sicuro.
— No. Se il cielo non mi ha voluto allora, non ho intenzione di presentare un’altra domanda.
Approntammo un segnale luminoso nella radura vicina, e aspettammo la Lancia.
Facemmo un’altra dozzina circa di chilometri quel giorno: una bella andatura, considerata la sosta. Il bambino era stato raccolto e portato direttamente ad Atene. Quando la Lancia era atterrata, avevo chiesto a voce alta se qualcun altro desiderava un biglietto di ritorno. Non c’erano stati acquirenti, comunque.