— Vero — assentii, — ma la cosa non riguarda solo la sua vita. Il futuro della Terra è in qualche modo legato a quello che lui sta facendo.
— Non so nulla di cose del genere, Karagee. Io combatto per denaro. Non ho altri motivi.
— Sì, lo so.
Il fuoco s’era abbassato. Misi altra legna.
— Ti ricordi quella volta che abbiamo bombardato la Costa d’Oro, in Francia? — chiese.
— Ricordo.
— Oltre ai blu, abbiamo ucciso anche molta gente.
— Sì.
— E il futuro del pianeta non ne è stato cambiato, Karagee. Perché adesso siamo qui, a tanti anni di distanza da quel tempo, e nulla è diverso.
— Lo so.
— E ti ricordi quel giorno che ci siamo infilati in un buco sul fianco d’una collina che dominava dall’alto la baia del Pireo? A volte tu mi reggevi il caricatore e io sparavo sulle navi, e quando mi stancavo manovravi tu la mitragliatrice. Avevamo molte munizioni. Quel giorno la Guardia dell’Ufficio non atterrò, e nemmeno il giorno dopo. Non occuparono Atene, e non distrassero la Radpol. E intanto parlammo, quei due giorni e quella notte, mentre aspettavamo la sfera di fuoco, e tu mi dicesti della Forza nel Cielo.
— Ho dimenticato…
— Io no. Mi dicesti che ci sono uomini come noi che vivono in cielo, tra le stelle. E ci sono anche i blu. Alcuni uomini, dicesti, cercano i favori dei blu, e sarebbero disposti a vendergli la Terra per vederla trasformata in un museo. Altri, dicesti, non vogliono, e desiderano che la Terra rimanga com’è adesso: di loro proprietà, sotto la direzione dell’Ufficio. I blu si trovavano divisi su questa faccenda, perché non erano sicuri se fosse legale ed etico fare una cosa del genere. Ci fu un compromesso, e i blu ottennero certe aree vuote su cui costruirono le loro proprietà, ed ebbero il permesso di visitare il resto della Terra. Ma tu volevi che la Terra appartenesse solo alla gente. Dicevi che se davamo qualcosa ai blu, poi avrebbero voluto tutto. Volevi che gli uomini delle stelle tornassero indietro a ricostruire le città, seppellire i Posti Caldi, uccidere le bestie che assaltano gli uomini.
«Mentre stavamo lì ad aspettare la sfera di fuoco, dicesti che eravamo in guerra, non a causa di qualcosa che potessimo vedere o sentire o provare o fiutare, ma per colpa della Forza nel Cielo, che non ci aveva mai visti, e che noi non avremmo mai vista. Era stata la Forza nel Cielo a fare tutto, e per questo gli uomini sulla Terra dovevano morire. Dicesti che con la morte dei blu e della gente la Forza sarebbe tornata sulla Terra. Ma non c’è mai stato un ritorno. C’è stata solo morte.
«E fu la Forza nel Cielo che alla fine ci salvò, perché dovettero consultarla prima di lanciare la sfera di fuoco sopra Atene. Ed essa ricordò loro una vecchia legge, fatta dopo i Tre Giorni, che diceva che la sfera di fuoco non doveva bruciare mai più nei cieli della Terra. Tu pensavi che l’avrebbero lanciata ugualmente, ma non lo fecero. Fu per questo che li fermammo al Pireo. Io ho bruciato il Madagascar per te, Karagee, ma la Forza non è mai tornata sulla Terra. E quando la gente ha abbastanza soldi se ne va di qui, e non torna mai indietro. Nulla di quello che abbiamo fatto in quei giorni ha provocato un cambiamento».
— Ma proprio per quello che abbiamo fatto le cose sono rimaste com’erano, invece di peggiorare — gli feci notare.
— Cosa accadrà se questo blu muore?
— Non lo so. Le cose potrebbero peggiorare. Certo se lui sta osservando i luoghi che visitiamo solo con l’idea di trasformarli in tanti possedimenti per i vegani, allora siamo di nuovo da capo.
— E la Radpol combatterà di nuovo, li bombarderà?
— Penso di sì.
— Allora uccidiamolo adesso, prima che proceda, che veda di più.
— Forse non è così semplice; e poi dovrebbero solo mandarne un altro. Ci sarebbero delle ripercussioni: forse arresti in massa tra i membri della Radpol. La Radpol non è più sul chi vive come ai vecchi giorni. La gente non è pronta. Ha bisogno di tempo per prepararsi. Questo blu, per lo meno, lo tengo in mano. Posso osservarlo, scoprire i suoi piani. Se diventasse necessario, posso ucciderlo io stesso.
Hasan succhiava sempre la sua pipa. Annusai. Sentii un profumo come di legno di sandalo.
— Cosa stai fumando?
— Viene dalle mie parti. Ci ho fatto un salto recentemente. È una delle nuove piante che prima non crescevano. Provala.
Aspirai diverse boccate nei polmoni. Dapprima non successe nulla. Continuai a tirare, e dopo un minuto una progressiva sensazione di calma e tranquillità cominciò a penetrare nelle mie membra. Aveva un sapore amaro, ma rilassava. Gli restituii la pipa. La sensazione rimase, divenne più forte. Era molto piacevole. Non mi sentivo tanto calmo, tanto rilassato da diverse settimane. Il fuoco, le ombre, e il terreno attorno a noi divennero d’improvviso più reali, e l’aria della notte e la luna distante e il rumore dei passi di Dos Santos mi giungevano più chiaramente della vita stessa. Sul serio. La nostra battaglia sembrava così ridicola! Alla fine avremmo perso. Stava scritto che l’umanità fosse destinata a fare da cane e gatto e scimpanzé ammaestrati per l’unica vera razza, i vegani; e da un certo punto di vista non era poi un’idea tanto cattiva. Forse avevamo bisogno di qualcuno più saggio che ci sorvegliasse, che dirigesse le nostre vite. Avevamo fatto strage del nostro pianeta durante i Tre Giorni, e i vegani non avevano mai avuto una guerra atomica. Reggevano un governo interstellare perfettamente efficiente, controllando dozzine di pianeti. Tutto quello che facevano era esteticamente piacevole. Le loro stesse vite erano meccanismi ben regolati, allegri. Perché non lasciargli la Terra? Probabilmente se ne sarebbero serviti meglio di quanto avessimo fatto noi. E perché non essere i loro cuccioletti, anche? Non sarebbe stata una brutta vita. Dargli questa vecchia palla di fango, piena di piaghe radioattive e popolata da esseri menomati e deformi.
Perché no?
Accettai di nuovo la pipa e inalai altra pace. Era così piacevole non pensare per niente a cose del genere, comunque! Non pensare a nulla per cui non si potesse fare niente. Era abbastanza stare lì seduto e respirare l’aria notturna ed essere tutt’uno col fuoco e col vento. L’universo stava cantando il suo inno di cosmica unione. Perché aprire il vaso del caos proprio nella cattedrale?
Ma io avevo perso la mia Cassandra, la mia nera strega di Kos, per colpa delle forze insensate che governano la Terra e le acque. Nulla poteva uccidere il senso di perdita che provavo. Sembrava nascosto in fondo, isolato dietro pareti di vetro, ma era ancora dentro di me. Nessuna pipa orientale avrebbe potuto placarlo. Non volevo conoscere la pace. Volevo l’odio. Volevo strappare tutte le maschere dell’universo: la terra, l’acqua, il cielo, Taler, il Governo Terrestre, e l’Ufficio, per trovare dietro una di esse la forza che me l’aveva rubata, e combattere anche quella, provare un vero dolore. Non volevo conoscere la pace. Non volevo essere tutt’uno con le cose che avevano fatto del male a lei, che era mia per sangue e per amore. Per cinque minuti buoni desiderai essere nuovamente Karaghiosis, e osservare tutto quello da dietro il mirino d’un fucile.
Oh, Zeus, tu che reggi l’universo, pregai, concedimi di abbattere la Forza nel Cielo!
Tornai nuovamente alla pipa.
— Grazie, Hasan, ma non sono ancora pronto per il mondo dei sogni.
Mi rialzai e mi diressi verso la mia tenda.
— Mi spiace di doverti uccidere domattina — mi gridò dietro lui.
Sorseggiando birra in un rifugio di montagna sul pianeta Divbah, in compagnia d’un informatore vegano di nome Krim (che adesso è morto), avevo guardato attraverso una grande finestra la più alta montagna dell’universo conosciuto. Si chiama Kasla, e non è mai stata scalata. Ne parlo perché la mattina del duello provai l’improvviso rimorso di non aver mai tentato di violarla. È una di quelle cose pazzesche a cui ogni tanto pensate e vi promettete che un giorno o l’altro ci proverete, e poi una mattina vi svegliate e capite che probabilmente è troppo tardi: non lo farete mai.