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Quella mattina tutti i visi erano privi d’espressione.

Il mondo attorno a noi era radioso e chiaro e pulito e pieno del canto degli uccelli.

Avevo proibito l’uso della radio per tutta la durata del duello, e Phil si portava nella tasca della giacca qualche filo e qualche valvola che aveva asportato dall’apparecchio, tanto per sicurezza.

Lorel non l’avrebbe saputo. La Radpol non l’avrebbe saputo. Nessuno l’avrebbe saputo, fino a dopo.

Completati i preliminari, misurammo la distanza.

Ci sistemammo ai capi opposti della radura. Io avevo il sole nascente sulla sinistra.

— Siete pronti, gentiluomini? — gridò Dos Santos.

— Sì — e — Sono pronto — furono le risposte.

— Faccio un ultimo tentativo per dissuadervi da questa decisione. Nessuno dei due vuole ripensarci?

— No — e — No.

— Avete entrambi dieci pietre simili in massa e peso. Il primo colpo, naturalmente, spetta allo sfidato: Hasan.

Annuimmo entrambi.

— Allora procediamo.

Don si tirò indietro, e a separarci rimasero solo cinquanta metri d’aria. Eravamo entrambi girati di profilo, per presentare all’avversario la minima superficie. Hasan posò la prima pietra sulla fionda.

Lo osservai farla ruotare rapidamente nell’aria, e d’improvviso il suo braccio si tese in avanti.

Sentii un rumore violento dietro di me.

Non accadde nient’altro.

Aveva sbagliato.

Allora infilai una pietra nella mia fionda e presi a farla ruotare in cerchio. L’aria fischiava mentre la tagliavo. Poi scagliai in avanti il proiettile con tutta la forza del mio braccio destro. Gli sfiorò la spalla sinistra, toccandolo appena. Gli portò via solo un po’ di vestito. La pietra rimbalzò d’albero in albero dietro di lui, prima di sparire definitivamente.

Adesso tutto era tranquillo. Gli uccelli avevano terminato il loro concerto mattutino.

— Gentiluomini — gridò Dos Santos, — avete avuto una possibilità a testa per sistemare le vostre divergenze. Possiamo dire che vi siete affrontati con onore, avete dato sfogo alla vostra ira, e ora vi ritenete soddisfatti. Volete interrompere il duello?

— No — risposi.

Hasan si massaggiò la spalla e scosse la testa.

Infilò la seconda pietra nella fionda, le impresse una rapida rotazione, e me la scagliò contro.

Mi colpì dritto nel fianco, tra la cassa toracica e l’anca. Caddi a terra e tutto diventò scuro.

Un secondo dopo le luci tornarono ad accendersi, ma io ero piegato in due e qualcosa come un migliaio di denti mi mordeva la carne e non mi mollava.

Stavano correndo verso di me, tutti quanti, ma Phil fece loro cenno di tornare indietro.

Hasan era fermo al suo posto.

Dos Santos s’avvicinò.

— È passata? — chiese Phil dolcemente. — Ce la fai a metterti in piedi?

— Sì. Ho bisogno di un minuto per respirare e gettare fuori il fuoco, ma mi tiro su.

— Com’è la situazione? — chiese Dos Santos.

Phil l’informò.

Mi portai le mani al fianco e mi rizzai, lentamente.

Un centimetro più in su o più in giù e m’avrebbe rotto qualche osso. Così, faceva solo un male infernale.

Mi massaggiai, e mossi il braccio destro per vedere come funzionavano i muscoli della zona colpita. Tutto okay.

Poi raccolsi la fionda e infilai una pietra.

Questa volta avrei fatto centro. Lo sentivo.

Girò e girò nell’aria e si lanciò veloce in avanti.

Hasan crollò, afferrandosi la coscia sinistra.

Dos Santos lo raggiunse. Si parlarono.

Il mantello di Hasan aveva smorzato il colpo e lo aveva in parte deviato. La gamba non era spezzata. Avrebbe continuato, non appena fosse stato in grado di reggersi nuovamente in piedi.

Per cinque minuti si massaggiò la coscia, poi si rialzò. Intanto il dolore che sentivo s’era trasformato in una pulsazione sorda.

Hasan scelse la sua terza pietra.

L’infilò lentamente; con cura…

Prese la mira. Poi perforò l’aria con la fionda…

E intanto avevo la netta sensazione, che continuava a crescermi in mente, di dovermi chinare un pochino di più a destra. Così mi spostai.

Hasan fece fare l’ultimo giro e scagliò il proiettile.

Mi graffiò sul fungo e mi lacerò l’orecchio sinistro.

D’improvviso mi trovai con la guancia bagnata.

Ellen gridò, brevemente.

Un pochino più a sinistra, comunque, e non sarei stato lì a sentirla.

Toccava di nuovo a me.

Dura, grigia, la pietra sapeva di morte…

Sarò io, sembrava dire.

Era una di quelle sensazioni premonitorie per cui io ho il massimo rispetto.

Mi detersi il sangue dalla guancia. Infilai la pietra.

Sul mio braccio destro, mentre lo alzavo, cavalcava la morte. Anche Hasan lo sentiva, perché sobbalzò. Potevo accorgermene nonostante la distanza che ci separava.

— Rimanete esattamente dove vi trovate, e abbassate le armi — disse la voce.

Lo disse in greco, sicché solo Phil e Hasan ed io capimmo, di certo. Forse anche Dos Santos e Parrucca Rossa. Non ne sono ancora sicuro.

Ma tutti noi capimmo il fucile automatico che l’uomo reggeva, e le spade e clave e coltelli delle tre dozzine circa di uomini e semi-uomini che gli stavano dietro.

Erano Kouretes.

I Kouretes sono una brutta faccenda.

Riescono sempre ad avere la loro razione di carne.

Arrostita, di solito.

Ma anche fritta, ogni tanto.

O bollita, o cruda…

L’unica arma da fuoco sembrava in possesso del tipo che aveva parlato. E io avevo una manciata di morte che mi ruotava velocemente sopra le spalle. Decisi di fargli un regalino.

La sua testa esplose quando scagliai la pietra.

— Uccideteli! — gridai, e cominciammo a darci da fare.

George e Diane furono i primi ad aprire il fuoco. Poi Phil trovò una pistola. Dos Santos corse verso il suo zaino. Anche Ellen arrivò lì di corsa.

Hasan non aveva aspettato il mio ordine per cominciare ad uccidere. Le uniche armi che lui ed io avevamo erano le fionde. Ma i Kouretes erano più vicini di cinquanta metri, e inoltre erano una formazione massiccia. Riuscì a farne cadere due con un paio di colpi ben piazzati, prima che ci volassero addosso. E anch’io ne beccai un altro.

Poi furono a metà della radura, calpestando i corpi di quelli che erano morti o caduti, urlando mentre ci arrivavano sopra.

Come ho detto, non erano tutti umani: ce n’era uno alto e magro con un paio d’ali da un metro coperte di piaghe, e c’erano due microcefali con tanti capelli da sembrare senza testa, e c’era un tipo che probabilmente era una coppia di gemelli siamesi, e c’erano parecchi steatopigi, e tre mostruosi bruti giganteschi che continuavano ad avanzare nonostante le pallottole che gli si erano infilate nel petto e nell’addome; uno dei tre aveva mani che dovevano essere lunghe una cinquantina di centimetri e larghe una trentina, e un altro sembrava afflitto da qualcosa di simile all’elefantiasi. Per il resto, alcuni erano ragionevolmente umani in quanto a forma, ma parevano tutti feroci e rabbiosi, e indossavano degli stracci oppure erano nudi del tutto e non erano rasati, e per di più puzzavano.

Scagliai un’altra pietra e non ebbi nemmeno la possibilità di vedere dov’era finita, perché ormai m’erano addosso.

Cominciai a sferrare calci, a darmi da fare con piedi, dita, gomiti; non mi comportai troppo da gentiluomo. Il fuoco delle armi rallentò, s’interruppe. Ogni tanto bisognava fermarsi per ricaricare, e a volte si bloccavano anche. Il dolore al fianco era insopportabile. Eppure riuscii ancora a farne volar giù tre, prima che qualcosa di grosso e pesante mi colpisse in testa. Caddi a terra come solo un morto può cadere.