— Come vuoi.
E quelli trovarono le reti e le gettarono. Ne facemmo a pezzi tre, prima che la quarta ci fregasse. La strinsero per bene e s’avvicinarono.
La spada mi venne strappata dal pugno, e qualcuno mi tirò un calcio. Era Moreby.
— Adesso morirete come solo pochissimi muoiono — disse.
— Gli altri sono fuggiti?
— Per il momento — rispose. — Li inseguiremo, li prenderemo, e li porteremo indietro.
Risi.
— Hai perso — dissi. — Ce la faranno.
Mi diede un altro calcio.
— È così che funzionano i tuoi regolamenti? — chiesi. — Hasan ha vinto l’Uomo Morto.
— Ha barato. La donna ha tirato una torcia.
Procuste gli giunse a fianco, mentre gli altri continuavano ad impacchettarci nella rete.
— Portiamoli alla Valle del Sonno — disse Moreby, — e operiamo su di loro i nostri incantesimi e teniamoli in serbo per futuri riti.
— Ciò è bene — assentì Procuste. — Sì, sarà fatto.
Nel frattempo Hasan doveva aver fatto scivolare il braccio sinistro attraverso la rete, perché lo tese improvvisamente in avanti e graffiò da vicino con le unghie la gamba di Procuste.
Procuste gli diede diversi calci, e uno anche a me per buona misura. Poi si grattò i graffi sul polpaccio.
— Perché l’hai fatto, Hasan? — chiesi, dopo che Procuste s’era allontanato ad ordinare che ci legassero agli spiedi del barbecue per portarci via.
— Dovrebbe esserci ancora un po’ di meta-cianuro sulle mie unghie — spiegò.
— E come c’è finito?
— Viene dalle pallottole che tenevo nella cintura, Karagee, e che loro non m’hanno tolto. Oggi mi sono spalmato le unghie, dopo essermele limate.
— Ah! Hai graffiato l’Uomo Morto all’inizio del combattimento…
— Sì, Karagee. Poi dovevo solo cercare di non crepare finché lui fosse caduto.
— Sei un assassino esemplare, Hasan.
— Grazie, Karagee.
Ci attaccarono agli spiedi, ancora avvolti nella rete. Quattro uomini, al comando di Procuste, ci sollevarono.
Con Moreby e Procuste che facevano strada, ci portarono via nella notte.
Mentre ci muovevamo lungo un sentiero tortuoso, il mondo cambiava attorno a noi. È sempre così quando ci si avvicina a un Posto Caldo. È come percorrere all’indietro tutte le ere geologiche.
Gli alberi lungo la strada cominciarono a cambiare d’aspetto, sempre di più. Alla fine il sentiero diventò il pavimento dell’umida navata d’una cattedrale, e tutt’attorno nere torri con foglie come felci; e cose ci spiavano tra gli alberi, con occhi gialli, stretti come fessure. Alta sulle nostre teste, la notte era una tenda nera, punteggiata di pallide stelle, adorna d’un frastagliato crescente di luna gialla. Dalla grande foresta venivano richiami come d’uccelli, che finivano con strani sbuffi. Davanti a noi una forma nera attraversò il sentiero.
Mentre avanzavamo gli alberi diventavano più piccoli, e più grandi gli spazi vuoti tra l’uno e l’altro. Ma non erano come gli alberi che avevamo visto al villaggio. Erano forme contorte che si muovevano, coi rami simili ad alghe vorticanti, i tronchi nodosi e radici di superficie che strisciavano lentamente sul suolo. Si udiva lo sgradevole trepestio di piccole cose invisibili che sfuggivano la luce della lanterna elettrica di Moreby.
Girando la testa potevo scorgere un debole globo luminoso, che pulsava ai limiti dello spettro visibile. Era sopra di me, in alto.
Una profusione di rampicanti neri copriva il terreno. Si contorcevano non appena uno dei nostri portatori ci posava sopra il piede.
Gli alberi divennero semplici felci. Poi anche queste scomparvero. Le rimpiazzarono enormi quantità di licheni vellutati, colore del sangue, che crescevano sulle rocce. Erano debolmente luminosi.
Non c’erano più rumori d’animali. Non c’era più nessun rumore, salvo lo sbuffare dei nostri quattro portatori, la cadenza dei piedi, e il click soffocato che produceva a tratti il fucile automatico di Procuste urtando contro una roccia.
I nostri portatori avevano spade nelle cinture. Moreby ne aveva parecchie, oltre a una piccola pistola.
Il sentiero saliva rapidamente. Uno dei nostri portatori bestemmiò. Lì la tenda della notte era piegata agli angoli verso il basso; s’incontrava con l’orizzonte, ed era piena d’una foschia color porpora, trasparente come fumo di sigaretta. Lenta, molto alta, schiaffeggiando l’aria come una razza sul pelo del mare, la forma d’un pipiragno si stagliò contro la faccia della luna.
Procuste cadde.
Moreby lo aiutò a tirarsi in piedi, ma Procuste vacillò e dovette appoggiarsi a lui.
— Cosa ti succede, mio signore?
— Un’improvvisa stanchezza, un intorpidimento delle membra… Prendi tu il fucile. S’è fatto pesante.
Hasan ridacchiò.
Procuste si girò verso Hasan, con la sua mascella da marionetta spalancata.
Poi cadde di nuovo.
Moreby aveva appena preso il fucile, e si trovava con le mani occupate. Le guardie ci deposero a terra con una certa urgenza, e si precipitarono a fianco di Procuste.
— Avete un po’ d’acqua? — chiese, e chiuse gli occhi.
Non li riaprì mai più.
Moreby gli auscultò il cuore; poi si portò alle narici la parte coperta di piume del suo bastone di comando.
— È morto — annunciò alla fine.
— Morto?
Il portatore che era coperto di squame cominciò a singhiozzare.
— Era buono — sospirò. — Era un grande capo guerriero. Cosa faremo adesso?
— È morto — ripeté Moreby, — e io sono il vostro capo finché non sarà eletto un nuovo capo guerriero. Avvolgetelo nei vostri mantelli. Lasciatelo su quella roccia piatta. Nessun animale si spinge fin qui, così non verrà molestato. Lo riprenderemo sulla via del ritorno. Adesso, però, dobbiamo avere la nostra vendetta su questi due. — Gesticolò con la mano. — La Valle del Sonno è qui vicino. Avete preso le pillole che vi ho detto?
— Sì.
— Sì.
— Sì.
— Sììì.
— Molto bene. Adesso prendete i vostri mantelli e avvolgetelo.
Quelli obbedirono, e presto fummo risollevati e portati sulla cima d’un’altura da cui partiva un sentiero che finiva in un pozzo fluorescente, irregolare. Le grandi rocce lì intorno sembravano quasi in fiamme.
— Mio figlio — dissi ad Hasan — mi ha descritto questo posto, e mi ha detto che il filo della mia vita passa su una roccia che brucia. Mi ha visto minacciato dall’Uomo Morto, ma evidentemente il fato ci ha ripensato e ha fatto un regalino a te. Quand’ero solo un sogno nella mente della morte, questo posto fu scelto come uno di quelli dove avrei potuto morire.
— Cadere in disgrazia del diavolo significa arrostire — commentò Hasan.
Ci portarono giù nella fessura e ci appoggiarono alle rocce.
Moreby tolse la sicura al fucile e fece un passo indietro.
— Liberate il greco e legatelo a quella colonna. — Gesticolò con l’arma.
Obbedirono, legandomi per bene mani e piedi. La roccia era liscia, umida, fatale senza parerlo.
Poi fecero lo stesso con Hasan, sistemandolo a qualche metro sulla mia sinistra.
Moreby aveva poggiato la lanterna per terra, e quella gettava un semicerchio giallo intorno a noi. I quattro Kouretes al suo fianco erano statue di demoni.
Sorrise. Appoggiò il fucile sulla parete di roccia che gli stava alle spalle.
— Questa è la Valle del Sonno — c’informò. — Quelli che dormono qui non si svegliano più. Ma la carne resta ben conservata, in vista delle annate magre. Prima che vi abbandoniamo, però… — I suoi occhi si girarono su di me. — Vedi dove ho messo il fucile?