CORT MYSHTIGO
P.S.: Non so ancora se sia arte. Va all’inferno anche tu.
Ecco quanto.
Pan?
Le macchine non dicono cose del genere, no?
Spero di no, comunque…
La Terra è un pianeta selvaggio. È un posto rognoso e puzzolente. I rottami dovranno essere ripuliti, centimetro per centimetro, prima di pensare a ricostruire.
Il che significa lavoro. Un mucchio.
Il che significa che avrò bisogno di tutto l’appoggio dell’Ufficio e della Radpol, per cominciare.
Per adesso sto decidendo se lasciare in piedi i giri turistici alle rovine. Penso che li farò continuare, perché per una volta tanto avremo qualcosa di buono da far vedere. C’è sempre negli uomini una certa dose di curiosità che li spinge a fermarsi e guardare, attraverso un buco in un recinto, come procedono i lavori di costruzione d’una qualsiasi cosa.
Adesso abbiamo denaro, e il pianeta è di nuovo in nostro possesso, e questo fa una bella differenza. Forse nemmeno il Ritornismo è completamente morto. Se c’è un programma concreto per la rinascita della Terra, potremo far tornare alcuni degli emigrati, far fermare qualche turista.
Oh, se vogliono restare tutti vegani, possono benissimo farlo. Ci piacerebbe vederli qui; ma non ne abbiamo bisogno. Il tasso d’emigrazione diminuirà enormemente, credo, quando la gente saprà che può farcela anche qui; e la popolazione crescerà in proporzione più che geometrica, grazie ai periodi di fertilità prolungata prodotti dal nuovo tipo di S-S, che per ora è molto costoso. Personalmente intendo socializzare il trattamento S-S. Metterò George a capo d’un programma di Salute Pubblica; costruirò degli ospedali sul continente e offrirò a tutti l’S-S.
Ce la faremo. Sono stanco di fare la guardia a un cimitero, e non ho proprio voglia di restarmene fino a Pasqua a segare l’Albero del Mondo, anche se ho una certa propensione per i guai. Quando le campane suoneranno, voglio poter dire «Alèthòs anesté», Tutto A Posto, invece di lasciar cadere la sega e mettermi a correre (Din-don-don le campane, clacketi-clack, gli zoccoli, eccetera). Ora è il tempo di tutti i bravi Kallikanzaroi… Sapete la storia.
E così…
Cassandra ed io abbiamo questa villa sull’Isola Magica. A lei piace il posto. A me piace. Non le importa più la mia età imprecisata. Il che è bene.
Proprio stamattina presto, mentre giacevamo sulla spiaggia a vedere il sole cacciare via le stelle, le ho detto che questo lavoro mi procurerà l’ulcera, tanti mal di testa, e compagnia bella.
— No, non è vero — ha replicato lei.
— Non cercare di minimizzare il futuro — ho detto. — Non ti si addice.
— Vedrai.
— Sei troppo ottimista, Cassandra.
— No. L’altra volta ti ho detto che ti stavi cacciando nei guai, ed era vero, ma non mi hai creduto. Questa volta sento che le cose devono andare bene. È tutto.
— A parte la precisione che hai dimostrato in passato, continuo a pensare che tu sottovaluti quello che ci sta davanti.
Lei s’è alzata e ha pestato i piedi.
— Non mi credi mai!
— Certo che ti credo. Si dà solo il caso che questa volta tu sbagli, cara.
Allora lei s’è tuffata, la mia pazza sirena, nelle acque scure. Dopo un po’ è tornata.
— Okay — ha detto, sorridendo, scrollandosi una pioggia gentile dai capelli. — Certo.
L’ho afferrata per le caviglie, l’ho fatta cadere al mio fianco e ho cominciato a farle il solletico.
— Smettila!
— Ehi, ti credo, Cassandra! Sul serio! Mi senti? Oh, cosa ne dici? Ti credo davvero! Maledizione! Certo che hai ragione!
— Razza d’un bugiardo d’un Kallikanzaros… Oops!
E lei era deliziosa sulla riva del mare e così l’ho tenuta stretta tutta umida, finché il giorno non ci è nato attorno, sentendomi meravigliosamente bene.
Il che è un modo magnifico per terminare una storia.