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Al suo fianco sedeva Cort Myshtigo. Potevo quasi sentire l’odio di Phil per quell’essere, dalle punte blu-pallide dei suoi piedi a sei dita ai suoi capelli colorati di rosa, a indicare l’appartenenza ad una casta superiore. Non lo odiava così tanto perché era lui; lo odiava, ne ero sicuro, perché era il più prossimo parente (nipote) di Tatram Yshtigo, che quarant’anni prima aveva cominciato a dimostrare che il maggior scrittore vivente di lingua inglese era un vegano. Le vecchie generazioni sono ancora ferme lì, e non credo che Phil gliel’abbia mai perdonato.

Con la coda dell’occhio (quello blu) vidi Ellen salire la grande, adorna scalinata che stava sull’altro lato della stanza. Con la coda dell’altro occhio vidi Lorel scrutare nella mia direzione.

— Sono stato individuato — dissi — e devo andare a porgere omaggio al Gran Signore di Taler. Vieni anche tu?

— Be’… Va bene — fece Phil, — all’anima fa bene soffrire.

Ci muovemmo verso l’alcova e ci fermammo davanti alle due poltrone, tra la musica e il rumore, abbagliati da tanta potenza. Lorel s’alzò lentamente e ci diede la mano. Myshtigo s’alzò più lentamente, e non ci diede la mano; ci fissava, gli occhi color ambra, il viso assolutamente privo d’espressione mentre gli eravamo presentati. La sua tunica color arancio fluttuava liberamente e in continuazione nell’aria; i suoi polmoni divisi a sezioni pompavano fuori un’incessante esalazione dalle narici anteriori, poste alla base dell’ampia cassa toracica. Annuì brevemente, ripeté il mio nome. Poi si girò verso Phil con qualcosa come un sorriso.

— Le spiacerebbe se traducessi la sua «masque» in inglese? — chiese, con la voce che vibrava come un diapason in fase calante.

Phil girò sui tacchi e s’allontanò.

Allora pensai per un secondo che il vegano stesse male, finché mi ricordai che la risata d’un vegano sembra la tosse d’un capro. Di solito mi tengo alla larga da queste creature e dai loro luoghi di soggiorno.

— Siediti — disse Lorel, piuttosto a disagio dietro la pipa.

Abbrancai una sedia e sedetti di fronte a loro.

— Okay.

— Cort scriverà un libro — asserì Lorel.

— Così hai detto.

— Sulla Terra.

Annuii.

— Ha espresso il desiderio che tu gli faccia da guida in un giro di certi Vecchi Posti…

— Sono onorato — dissi piuttosto rigidamente. — E sono anche curioso di sapere cos’ha determinato la sua scelta.

— E anche più curioso di sapere quello che io conosco di lei, eh? — replicò il vegano.

— Sì, certo — concessi. — Al duecento per cento.

— Ho chiesto ad una macchina.

— Bene. Adesso lo so.

M’appoggiai all’indietro e finii il liquore.

— Sono partito consultando il Registro Generale della Terra quando ho avuto l’idea di questo progetto, tanto per avere qualche dato indicativo sull’umanità: poi, quando ho trovato un esemplare interessante, mi sono rivolto ai Banchi-memoria del Personale Terrestre…

— Mm-hm — feci.

— … e mi ha più impressionato quello che non dicevano di lei di quello che dicevano.

Scrollai le spalle.

— Ci sono molti vuoti nella sua biografia. Anche adesso nessuno sa davvero cosa lei faccia per gran parte del suo tempo… E tanto per sapere, quand’è nato?

— Non lo so. Era un piccolo villaggio della Grecia, e quell’anno erano finiti i calendari. Comunque mi dicono che fosse Natale.

— Secondo la registrazione del Banco-memoria Personale, lei ha settantacinque anni. Secondo il Registro Generale, ne ha centoundici o centotrenta.

— Ho mentito sull’età per ottenere il lavoro. Eravamo in periodo di Depressione.

— … Così ho costruito un profilo-Nomikos, una cosa molto interessante, e ho ordinato al Registro Generale di cercare tutte le persone che presentino una rassomiglianza fisica con lei, fino allo 0,01 per cento d’approssimazione.

— Certa gente colleziona soldi, altri costruiscono modellini di razzi.

— Ho scoperto che lei potrebbe essere stato altre tre o quattro o cinque persone, tutte greche, una delle quali è veramente sorprendente. Ma, naturalmente Konstantin Korones, uno dei più vecchi, nacque duecentotrentaquattro anni fa. Di Natale. Un occhio blu, uno castano. Zoppo alla gamba destra. Stessa capigliatura, all’età di ventitré anni. Stesso peso, e stesso grado Bertillion.

— Stesse impronte digitali? Stessa struttura retinica?

— Questi dati non erano inclusi nelle vecchie Registrazioni. Forse in quei giorni erano più trascurati? Non lo so. Facevano meno attenzione, probabilmente, a chi avesse accesso alle registrazioni pubbliche…

— Lei sa che al momento esistono più di quattro milioni di persone su questo pianeta. Se ci mettiamo a cercare indietro nel tempo per tre o quattro secoli, sono certo che potremmo trovare quasi per ognuno di loro un duplicato, e forse anche un triplicato. E allora?

— Serve a renderla abbastanza sconcertante e interessante, ecco tutto, quasi un nume tutelare di questi luoghi e lei presenta gli stessi curiosi segni di rovina che si trovano qui in giro. Senza dubbio non riuscirò mai a raggiungere la sua età, qualunque sia, ed ero curioso di vedere che specie di sensibilità può sviluppare un essere umano con tanto tempo a disposizione. Specialmente considerando la sua posizione di preminenza riguardo alla storia e l’arte del pianeta. E così ecco perché ho richiesto i suoi servigi — concluse.

— Adesso che mi ha incontrato, rovinato come sono e tutto quanto, posso tornarmene a casa?

— Conrad! — Era la pipa ad attaccarmi.

— No, Mister Nomikos, ci sono anche considerazioni pratiche. Questo è un mondo selvaggio, e lei ha un alto potenziale di sopravvivenza. La voglio con me perché voglio sopravvivere.

Scrollai di nuovo le spalle.

— Be’, la questione è stata definita. E adesso?

Tossicchiò.

— Sento di non piacerle.

— Da dove le viene quest’idea? Solo perché lei ha insultato un mio amico, mi ha fatto domande impertinenti, mi ha costretto a servirla per capriccio…

— … Ho sfruttato i suoi compatrioti, trasformato il suo mondo in un bordello, e dimostrata la meschina provincialità della razza umana, se paragonata ad una civiltà galattica più vecchia di eoni…

— Non sto parlando di razze. Sto facendo un discorso personale. E lo ripeto, lei ha insultato un mio amico, mi ha fatto domande impertinenti, mi ha costretto a servirla per puro capriccio.

— (Tosse di capra)! A tutti e tre! È un insulto alle ombre di Omero e Dante far cantare quell’uomo per la razza umana.

— Al momento è il meglio che abbiamo.

— In tal caso dovreste farne a meno.

— Non è una buona ragione per trattarlo a quel modo.

— Io penso di sì, o non l’avrei fatto. In secondo luogo, io faccio qualunque domanda mi senta di fare, e sta a lei rispondere o non rispondere a seconda di come la vede: come in effetti ha fatto. Infine, nessuno l’ha costretta a niente. Lei è un impiegato statale. Le è stato affidato un incarico. Discuta col suo Ufficio, non con me.

«E, adesso che ci ripenso, dubito che lei possieda i dati necessari per usare la parola “capriccio” con la libertà che si permette» concluse.

Dalla sua espressione sembrava che l’ulcera di Lorel stesse silenziosamente commentando la situazione.

— Allora — osservai, — chiami pure sincerità la sua rudezza, se vuole, o mi dica che è il prodotto d’un’altra cultura, e giustifichi la sua influenza con sofismi e ripensi tutto quello che vuole; e mi bersagli pure con tutti i falsi giudizi che vuole, e anch’io la giudicherò di conseguenza. Lei si comporta come un Rappresentante del Re in una Colonia della Corona — decisi, pronunciando chiaramente le maiuscole, — e la cosa non mi piace. Ho letto tutti i suoi libri. Ho letto anche quelli di suo nonno, ad esempio il Lamento della Prostituta Terrestre, e lei non sarà mai l’uomo che lui era. Lui possedeva una cosa che si chiama compassione. Lei no. Tutto quello che lei prova per il vecchio Phil vale due volte anche per lei, nel mio libro.