Quella tirata sul nonno doveva aver toccato un punto dolente, perché indietreggiò leggermente quando il mio sguardo blu lo raggiunse.
— Perciò vada a farsi fottere — aggiunsi, o qualcosa del genere, in vegano.
Sands non sa tanto bene il Veggy da avermi capito, ma immediatamente cominciò a produrre grugniti di riconciliazione, guardandosi intorno per essere sicuro che nessuno ci stesse osservando.
— Conrad, per favore, ritrova il tuo atteggiamento professionale e mettilo in funzione. Srin Shtigo, perché non riprendiamo a discutere del piano di viaggio?
Myshtigo sorrise del suo sorriso verdebiu.
— Mettendo da parte questa piccola divergenza? — chiese. — D’accordo.
— Allora aggiorniamo la seduta nella libreria, dove c’è un po’ più di quiete e si può usare lo schermo-mappa.
— Perfetto.
Mentre ci alzavamo mi sentivo un poco rassicurato perché là sopra c’era Don Dos Santos e lui odia i vegani, e ovunque è Dos Santos c’è anche Diane, la ragazza con la parrucca rossa, e lei odia tutti; e sapevo che di sopra c’era George Emmet, e anche Ellen, e George è proprio molto freddo con gli estranei (anche con gli amici, per questo); e forse più tardi Phil avrebbe fatto un salto e avrebbe aperto il fuoco su quel vegano: e poi c’era Hasan (non parla un granché; se ne sta lì seduto a fumare la sua erba con aria opaca), e se gli stavate un po’ troppo vicino e tiravate un paio di respiri profondi non ve ne importava un accidenti di quello che potevate dire ai vegani, o alla gente.
Avevo sperato che la memoria di Hasan si trovasse nel mondo dei sogni, o da qualche altra parte tra le nuvole. La speranza morì come entrammo nella libreria. Se ne stava seduto rigido, e sorseggiava una limonata.
Ottanta o novant’anni che avesse, ne dimostrava circa quaranta, e poteva ancora agire da trentenne. Il trattamento Sprung-Samser aveva trovato in lui un soggetto altamente ricettivo. Il che non succede spesso. Quasi mai, in effetti. C’è un mucchio di gente che finisce in stato di shock anafilattico senza alcuna ragione apparente, e nemmeno una dose d’adrenalina intercardiale può riportarli indietro; certi altri, i più, rimangono congelati ad un’età che va dai cinquanta ai sessant’anni. Ma alcuni rari esemplari diventano più giovani quando si sottopongono al trattamento: circa uno su centomila.
Mi è sempre sembrato molto strano che i capricci del destino abbiano concesso a quello lì di farcela, e a quel modo. Erano passati oltre cinquant’anni dall’Affare Madagascar, nel quale Hasan era stato al servizio della Radpol per la vendetta contro i Taleriti. Era stato al soldo del (Riposi in Pace) grande K. d’Atene, che lo aveva spedito a spazzare via la Compagnia Immobiliare del Governo Terrestre. Hasan l’aveva fatto. E bene. Con un piccolo ordigno a fissione. Bum. Rinnovamento urbano istantaneo. Chiamato Hasan l’Assassino dai pochi, è l’ultimo mercenario della Terra.
E inoltre, insieme a Phil (che non era sempre stato il possessore della spada senza lama e senza impugnatura), Hasan era uno dei pochissimi che potesse ricordare il vecchio Karaghiosis. Così, mento in su e fungo in avanti, cercai di ottenebrare la sua mente al primo sguardo. O erano in azione antichi e misteriosi poteri, del che dubitavo, o lui era più pieno di droga di quanto avessi pensato, il che era possibile, o s’era dimenticato la mia faccia (il che poteva anche essere, per quanto mi sembrasse abbastanza improbabile), o stava seguendo l’etica professionale o un semplice istinto animale. (Possedeva entrambe le cose, con gradazione variabile, ma l’accento era decisamente sull’istinto animale). Quando ci presentarono non dette segno d’avermi riconosciuto.
— La mia guardia del corpo, Hasan — disse Dos Santos, sfoderando il suo sorriso al lampo di magnesio, mentre io stringevo la mano che una volta aveva scosso il mondo, per così dire. Era ancora una mano molto forte.
— Conrad Nomikos — disse Hasan, strabuzzando gli occhi come se stesse leggendo il mio nome su un rotolo di pergamena.
Conoscevo tutti gli altri occupanti della stanza, così mi precipitai sulla poltrona più lontana da Hasan, e mi tenni quasi sempre il secondo bicchiere davanti al viso, tanto per essere sicuro.
Diane dalla Rossa Parrucca mi stava vicino. Parlò e disse: — Buongiorno, Mister Nomikos.
Annuii col bicchiere.
— Buonasera, Diane.
Alta, magra, vestita quasi completamente di bianco, stava ritta accanto a Dos Santos come una candela. So che quella che porta è una parrucca, perché in certe occasioni l’ho vista scivolare giù, rivelando parte d’una brutta ma interessante cicatrice abitualmente coperta dal taglio dei capelli. Ho spesso fantasticato su quella cicatrice: a volte quando me ne stavo all’ancora fissando le costellazioni attraverso le nuvole, o quando disseppellivo statue danneggiate. Labbra color porpora (tatuate, penso), e non le ho mai viste sorridere; i muscoli della sua mascella sono sempre tirati, perché tiene sempre i denti serrati; e c’è una piccola «v» rovesciata tra gli occhi, nata da tutto quel suo accigliarsi; e il suo mento è proteso in avanti, alto: per sfida? Quando parla in quel suo modo stretto, incostante, muove appena la bocca. Davvero non potevo indovinare la sua età. Sopra i trenta, è tutto.
Lei e Don formano una coppia interessante. Lui è scuro, loquace, sempre occupato a fumare, incapace di stare tranquillo più di due minuti. Lei è più alta d’una dozzina di centimetri e brucia senza guizzi. Ancora non conosco per intero la sua storia. Immagino che non la saprò mai.
Lei s’avvicinò e si fermò di fianco alla mia poltrona, mentre Lorel presentava Cort a Dos Santos.
— Tu — iniziò.
— Io — dissi.
— … guiderai il giro.
— Sono l’unico a non saperne quasi niente, a quanto pare — replicai. — Immagino che tu non possa farmi partecipe di un po’ delle informazioni che hai.
— Niente informazioni, niente faccende segrete — ribatté lei.
— Sembri Phil — dissi.
— Non l’ho fatto apposta.
— Comunque l’hai fatto. E così, perché?
— Perché cosa?
— Perché te? Don? Qui? Stanotte?
Si toccò con la lingua il labbro superiore, poi chiuse con forza la bocca, come per sputare fuori il suo mosto o lasciarlo filtrare nelle parole. Poi gettò un’occhiata a Don, ma lui era troppo lontano per aver sentito, e comunque stava guardando da un’altra parte. Era impegnato a versare a Myshtigo una vera Coca dall’interno del vassoio automatico. La formula della Coca era la scoperta archeologica del secolo, secondo i Vegani. Andò perduta durante i Tre Giorni, ed è stata recuperata solo dieci anni fa. Esistevano diverse specie di similcoca in circolazione, ma nessuna aveva sul metabolismo vegano lo stesso effetto di quella vera. «Il secondo contributo della Terra alla cultura galattica» l’aveva chiamata uno dei loro storici. Il primo contributo, ovviamente, era quel particolare tipo d’interessantissimo problema sociale che i filosofi vegani avevano atteso per generazioni.
Diane tornò a fissarmi.
— Ancora non so — disse. — Chiedi a Don.