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Scese dalla macchina e si avvicinò allo steccato che circondava la proprietà. Di fianco all’ingresso pedonale una cassetta delle lettere dipinta di verde riportava il nome Shepard a lettere bianche. Il cancelletto non era chiuso e non c’erano cartelli che avvertivano della presenza di cani all’interno. Russell lo aprì e si inoltrò per il sentiero tracciato con lastre di pietra incastonate fra l’erba. Era arrivato a pochi passi dalla casa, quando alla sua sinistra una persona sbucò da dietro l’angolo. Era un uomo di statura superiore alla media, dal fisico ancora pieno di vigore, con un viso rugoso e abbronzato e occhi azzurri sorprendentemente giovani. La tenuta da lavoro e il cesto di verdura che teneva in una mano indicavano che veniva dall’orto. Prima non lo aveva visto perché era coperto dalla casa.

Quando si accorse della sua presenza si arrestò. La sua voce era tranquilla e ferma.

«Desidera?»

«Sto cercando il signor Ben Shepard.»

«Allora lo ha trovato.»

Russell rimase impressionato dalla personalità di quel vecchio signore.

D’istinto, decise che l’unico modo di trattare con lui era di dirgli solo e sempre la verità.

«Mi chiamo Russell Wade e sono un giornalista di New York.»

«Molto bene. Adesso che me lo ha detto può prendere la macchina e tornare da dove è venuto.»

Ben Shepard gli sfilò con tranquillità davanti e salì i gradini che portavano alla veranda.

«È molto importante, signor Shepard.»

L’uomo rispose senza girarsi.

«Ho quasi ottantacinque anni, giovanotto. Alla mia età l’unica cosa importante è riaprire gli occhi il giorno dopo.»

Russell capì che se non avesse detto qualcosa l’incontro sarebbe finito prima ancora di cominciare.

«Sono venuto a parlare con lei di Little Boss.»

Nel sentire quel nome, che probabilmente era stato per anni pronunciato solo nella sua memoria, il vecchio si bloccò sugli scalini.

Poi la sua nuca divenne il suo viso.

«Che ne sa lei di Little Boss?»

«So che era il soprannome di un ragazzo che si chiamava Matt Corey.»

La replica fu brusca e decisa.

«Matt Corey è morto in Vietnam molti anni fa.»

«No. Matt Corey è morto a New York da poco più di sei mesi.»

Le spalle di Ben Shepard sembrarono afflosciarsi. Sembrava colpito ma non sorpreso da quella notizia. Rimase per qualche istante con il capo chinato verso terra. Quando lo rialzò, Russell vide che aveva gli occhi lucidi. Gli tornarono alla mente le lacrime trattenute di Lester, il fratello di Wendell Johnson. Si rese conto di come la guerra, qualunque guerra, riuscisse a fare piangere anche molti anni dopo che era finita.

Il vecchio gli indicò la casa con un cenno del capo.

«Venga dentro.»

Russell seguì Ben Shepard all’interno e si trovò in un ampio salone che occupava tutto il fronte dell’edificio. Sulla destra, verso il camino, c’era un biliardo con la rastrelliera per le stecche. La sinistra era dedicata alla zona Tv, con poltrone e divani. Quel grande ambiente era arredato in modo sobrio e sorprendentemente moderno. I mobili tuttavia non avevano l’aria di essere nuovi. Russell pensò che in passato quella stanza doveva essere stata all’avanguardia, nel suo genere. Dappertutto, come elemento unificante, c’erano quadri e oggetti che rappresentavano i ricordi di una vita.

Shepard si avviò verso la zona living e indicò con un gesto i divani.

«Si sieda. Vuole un caffè?»

Russell si lasciò andare su una poltrona che prometteva comodità. Una volta seduto fu lieto di constatare che la promessa era stata mantenuta.

«Con piacere. Ho appena passato la notte in prigione. Un caffè sarebbe l’ideale.»

Il vecchio non commentò ma parve apprezzare la sua sincerità. Si girò verso una porta dall’altra parte del salone, attraverso la quale si indovinava la cucina.

«Maria.»

Una ragazza bruna, dalla carnagione olivastra, aprì del tutto l’uscio e si presentò sulla soglia. Era giovane e piuttosto carina e Russell capì da dove era arrivato il commento malizioso dello sceriffo sul suo ospite.

«Puoi prepararci del caffè, per favore?»

Senza dire nulla, la ragazza rientrò in cucina. Il vecchio si sedette davanti a Russell, sull’altra poltrona. Accavallò le gambe e lo guardò con un’aria curiosa.

«Chi l’ha messa dentro?»

«Un agente dello sceriffo, sulla 104.»

«Uno grosso, con il viso butterato e l’aria da cowboy che ha perso le vacche?»

«Sì.»

Il vecchio fece un gesto della testa, con un’espressione che ricordava una storia di lupi e di peli.

«Lou Ingraham. Per lui il mondo finisce ai confini della contea. Non gli piacciono i forestieri e non perde occasione di tartassarli, appena può. La sua collezione di scalpi è molto significativa.»

In quel momento Maria uscì dalla porta reggendo un vassoio su cui c’erano una caraffa di caffè, una di latte e due tazze. Si avvicinò a Shepard e appoggiò il tutto sul tavolino di fianco alla poltrona.

«Grazie, Maria. Puoi prenderti la giornata libera. Ci penso io, qui.»

La ragazza fece un sorriso che illuminò la stanza.

«Grazie, Ben.»

Si allontanò e sparì dietro la porta della cucina, lieta di quella vacanza inattesa. Russell capì che le chiacchiere oziose del suo ospite erano servite solo a prendere tempo, in attesa di liberarsi di una presenza che poteva essere indiscreta. Questo lo mise di buonumore e nello stesso tempo lo mise in guardia.

«Come lo vuole il caffè?»

«Nero e senza zucchero. Come vede costo poco.»

Mentre il vecchio versava il caffè dalla caraffa termica, decise di prendere l’iniziativa.

«Signor Shepard, per primo parlerò io. Se quello che le dico è giusto, mi permetterò di rivolgerle qualche domanda. In caso contrario farò quello che mi ha consigliato lei. Prenderò la macchina e me ne andrò da dove sono venuto.»

«D’accordo.»

Russell iniziò la sua esposizione dei fatti. Con una certa apprensione, visto che non era del tutto sicuro che le cose si fossero svolte in quel modo.

«Matt Corey lavorava per lei e viveva nel suo capannone. Teneva con sé un gatto che per una bizzarria della natura o degli uomini, aveva solo tre zampe. E si chiamava Walzer.»

Tirò fuori dalla tasca la foto del ragazzo con il suo animale e la pose in grembo a Ben Shepard. Il vecchio piegò appena la testa e la guardò senza prenderla in mano.

«Nel 1971 è partito per il Vietnam, 11° Reggimento Cavalleria Meccanizzata, per essere precisi. A Xuan-Loc si è trovato sotto le armi insieme a un ragazzo che si chiamava Wendell Johnson. I due sono diventati amici. Un giorno hanno partecipato a un’operazione che si è rivelata un massacro e sono stati gli unici superstiti del loro plotone. Sono stati fatti prigionieri e in un secondo tempo sono stati usati dai vietcong come scudi umani contro un bombardamento.»

Russell fece una pausa, chiedendosi se non andava troppo veloce. Vide che Ben Shepard lo guardava con interesse, attento forse più al suo atteggiamento che alle sue parole.

«Nonostante ci fossero loro, il bombardamento è stato ordinato lo stesso.

Wendell Johnson e Matt Corey sono stati colpiti dal napalm. Uno è stato investito in pieno ed è morto carbonizzato, l’altro si è salvato ma ha riportato delle ustioni gravissime su tutto il corpo. Dopo un lungo periodo di degenza e di riabilitazione in un ospedale militare, è stato dimesso, in condizioni devastate sia sotto l’aspetto fisico che psicologico.»

Russell fece un’altra pausa, durante la quale si rese conto che tutti e due stavano trattenendo il fiato.