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«Lo vorrei tanto, dottore. Ma non posso. Non ora.»

«Se ricordo bene, lei è della Polizia, vero?»

Vivien alzò verso il dottore un viso dove si leggevano fatica e urgenza.

«Sì. E devo a tutti i costi tornare a New York. È una questione di vita o di morte.»

«Adesso qui non può più fare nulla. Se ci crede, una preghiera arriva a destinazione da qualunque posto parta. Nel caso non ne abbia una a disposizione, la clinica le può fornire il nome di alcune agenzie di onoranze funebri molto capaci e molto discrete. Penseranno loro a tutto.»

Savine si girò verso l’infermiera.

«Meg, vada a preparare i documenti per il certificato di morte. Verrò a firmarli.»

Non appena furono soli, Vivien si alzò dalla poltrona, sentendo le gambe rigide e legnose.

«Dottore, mi aspetta una giornata tremenda. E non posso dormire.»

Fece una pausa per vincere l’imbarazzo.

«È strano che una della Polizia glielo chieda, ma ho bisogno di qualcosa che mi tenga sveglia.»

Il medico le fece uno strano sorriso pieno di comprensione.

«È una trappola? Mi ritroverò in manette?»

Vivien scosse la testa.

«No. Solo nelle mie preghiere di ringraziamento.»

Savine rimase un attimo pensieroso.

«Aspetti qui.»

Uscì dalla porta, lasciando Vivien da sola. Pochi istanti dopo tornò con un contenitore di plastica bianca. Lo scosse per far sentire che c’era una pillola all’interno.

«Ecco qua. In caso di necessità prenda questa pastiglia. Ma faccia attenzione a non bere alcolici.»

«Non c’è pericolo. Grazie dottore.»

«Buona fortuna, signorina. E ancora condoglianze.»

Vivien rimase da sola. Cercò di convincersi che sua sorella in quella stanza non c’era più, che quello steso nel letto sotto il lenzuolo era solo un involucro che aveva contenuto per anni la sua bella anima, un vuoto in prestito che presto sarebbe stato reso alla terra. Nonostante questo non riuscì a trattenersi dal dare a Greta un ultimo bacio e un ultimo sguardo.

Sul piano del comodino da notte c’era una bottiglia piena a metà. Aprì il contenitore che le aveva appena dato il medico e fece cadere la pasticca direttamente sulla lingua. La mandò giù con un sorso d’acqua che le sembrava avesse il sapore delle lacrime. Poi si allontanò dal letto, prese il giubbotto dall’attaccapanni e uscì dalla stanza.

Percorse il corridoio con gli occhi che le bruciavano. Raggiunse l’ascensore e scivolò senza scosse e senza rumori fino nell’atrio, dove un paio di giovani donne in divisa erano dietro il bancone della reception. Le raggiunse e in pochi minuti dispose le cure per il corpo di Greta, al numero di un’agenzia che le fornì una delle due incaricate.

Poi si guardò intorno, in quel luogo dove ormai non aveva più nulla da fare ma soprattutto dove non poteva fare più nulla. Quando ci avevano portato Greta aveva apprezzato l’eleganza e la sobrietà della Mariposa. Ora era diventato solo un posto dove a volte le persone non guarivano.

Uscì all’aperto e raggiunse la macchina nel parcheggio. Forse subiva l’effetto placebo ed era troppo presto perché la pillola arrivasse a un risultato, ma sentiva la stanchezza svanire e a poco a poco il suo corpo liberarsi dalle scorie di piombo che aveva accumulato.

Salì nell’auto e accese il motore, puntando il muso della macchina verso l’uscita. Mentre con il permesso del traffico usciva dalla città e si dirigeva verso la Palisades Parkway che l’avrebbe condotta fuori dal New Jersey, ripercorse tutti gli avvenimenti che l’avevano portata a quel punto delle indagini e della sua vita.

Il giorno prima, quando padre McKean l’aveva messa al corrente del suo segreto, contravvenendo a una delle più ferree regole del suo ministero, si era sentita preoccupata ed eccitata insieme. Da una parte c’era la responsabilità verso gente innocente che si trovava in pericolo di vita, la stessa responsabilità che alla fine aveva convinto il sacerdote a rivolgersi a lei. Dall’altra c’era il desiderio di evitargli le conseguenze di una decisione che doveva essere stata molto sofferta.

L’opera di Michael McKean era troppo importante. I giovani di cui si prendeva cura lo adoravano ed era necessario per loro e per tutti quelli che in futuro sarebbero arrivati a Joy trovarlo lì ad attenderli.

Dopo il pranzo con i ragazzi, durante il quale aveva riso e scherzato con una Sundance che pareva completamente nuova nel corpo e nello spirito, era arrivata la telefonata dalla clinica. Il dottor Savine, con tutta la delicatezza che il messaggio prevedeva, l’aveva informata che le condizioni di Greta stavano precipitando e che si aspettavano il peggio da un momento all’altro. Era tornata al tavolo, cercando di non trasmettere il senso di angoscia che provava dentro, ma non era riuscita a ingannare gli occhi attenti e la sensibilità di Sundance.

«Che c’è Vunny, qualcosa non va?»

«Nulla tesoro. Qualche problema sul lavoro. Sai come sono questi mariuoli, non ne vogliono sapere di farsi acciuffare.»

Aveva usato di proposito la parola mariuoli perché era un termine che la divertiva molto quando era piccola. Ma nonostante il suo tentativo di minimizzare, non era riuscita a convincerla del tutto. Per il resto del pranzo aveva continuato a lanciarle delle occhiate attente alla sua espressione e ai suoi occhi lucidi.

Prima di andarsene si era appartata con padre McKean. L’aveva avvertito del peggioramento della madre di Sundance e che una volta uscita da lì sarebbe salita a Cresskill, alla clinica. Si erano messi d’accordo che nel pomeriggio avrebbe affisso un cartello in chiesa annunciando una confessione straordinaria per il giovedì e che fin dalle prime ore del pomeriggio successivo si sarebbe fatto trovare nel confessionale. Per il venerdì, giorno in cui il sacerdote di solito andava a confessare nella chiesa di Saint John the Baptist, a Manhattan, si sarebbero risentiti e avrebbero predisposto un piano d’azione in base agli orari previsti.

Durante il viaggio, Vivien aveva affrontato la prova più dura. Doveva parlare con Bellew e ottenere molto senza svelare nulla. Sperò che la stima che il suo superiore riponeva in lei fosse abbastanza grande da concederle sulla fiducia quello che gli avrebbe chiesto.

Il capitano aveva risposto al secondo squillo, con una voce stanca.

«Bellew.»

«Ciao Alan, sono Vivien.»

«Sei stata a Williamsburg?»

Franco e diretto come sempre. Con l’aggiunta di un’ansia che non ci avrebbe messo molto prima di passare alla nevrosi.

«Sì. Ma dall’appartamento non ne è venuto fuori nulla. Il nostro alias Wendell Johnson ha vissuto davvero come un fantasma, dentro e fuori casa.»

Un silenzio che valeva quanto un’imprecazione. Vivien aveva continuato.

«Però da un’altra parte è arrivata una novità. Molto grossa e determinante, se abbiamo fortuna.»

«Vale a dire?»

«Abbiamo la possibilità di mettere le mani sull’uomo che sta facendo esplodere le bombe.»

Una voce incredula all’orecchio.

«Dici davvero? Come ci sei arrivata?»

«Alan, devi fidarti di me. Non posso dirti altro.»

Il capitano aveva cambiato discorso. Vivien lo conosceva bene. Sapeva che con quel diversivo si era preso il tempo per riflettere.

«Wade è sempre con te?»

Se si era aspettato di sentire in vivavoce il saluto di Russell, di certo era rimasto sorpreso dalla risposta di Vivien.