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Sembravano fiammiferi.

In una bara? Pensavano che uno potesse fumarsi un sigaro con calma, tanto per passare il tempo?

Dopo un certo numero di sforzi riuscì a togliersi uno stivale facendo leva con l’altro, e di tirarlo a sé in modo da avere una superficie ruvida su cui accendere il fiammifero…

La luce sulfurea inondò il suo piccolo mondo oblungo.

C’era un piccolo cartoncino fissato all’interno del coperchio.

Lo lesse.

Lo lesse di nuovo.

Il fiammifero si spense.

Ne accese un altro, per verificare che ciò che aveva letto esistesse davvero.

Il messaggio era altrettanto strano, anche dopo la terza volta:

TI SENTI MORTO? DEPRESSO?

HAI VOGLIA DI RICOMINCIARE DA CAPO?

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APERTO A TUTTI

Il secondo fiammifero si spense, consumando l’ultimo ossigeno.

Windle rimase per un po’ al buio, pensando alla prossima mossa mentre finiva il sedano.

Chi ci avrebbe mai pensato?

All’improvviso il defunto Windle Poons realizzò che non era affatto il problema di qualcun altro, e che proprio quando pensi che il mondo ti abbia messo da parte viene fuori che è pieno di stranezze. Sapeva per esperienza che i vivi restavano all’oscuro della metà delle cose che succedevano, perché erano troppo occupati a essere vivi. Sono gli osservatori a vedere davvero il gioco, si disse.

Erano i vivi che ignoravano le cose strane e meravigliose, perché la vita era troppo piena di noia e banalità. Però era strana. C’erano cose che si avvitavano e svitavano, e piccoli messaggi per i morti.

Decise di scoprire cosa succedeva. E poi… se Morte non fosse venuto da lui, sarebbe andato a cercarlo. Aveva i suoi diritti, dopotutto. Proprio così. Avrebbe condotto la più grande caccia all’uomo di tutti i tempi.

Windle sorrise nell’oscurità.

Denuncia di scomparsa… Morte presunta.

Oggi era ’A primo giorno del resto della sua vita.

E Ankh-Morpork era ai suoi piedi. Sì, insomma, in senso metaforico. Non poteva fare altro che risalire.

Cercò a tastoni il cartoncino, lo prese e se lo mise fra i denti.

Windle Poons puntò i piedi contro il fondo della cassa, portò le mani sopra la testa e spinse.

Il terriccio molle di Ankh-Morpork si mosse appena.

Windle si fermò per abitudine, come per riprendere fiato, e si rese conto che non aveva senso. Spinse di nuovo. Il fondo della bara andò in pezzi.

Windle la tirò a sé e strappò come carta il coperchio di pino massiccio. Rimase con un pezzo di asse che come pala sarebbe stato perfettamente inutile per chiunque non avesse una forza da zombie.

Voltandosi a pancia in sotto e scavando con la sua pala improvvisata, Windle Poons si fece strada verso il suo nuovo inizio.

Immaginate un paesaggio, una pianura con dolci ondulazioni.

È tarda estate nella campagna color ottarino ai piedi degli alti picchi delle Ramtop, e i colori predominanti sono il marrone scuro e l’oro. Il calore brucia il paesaggio. Le cavallette strigolano come in una padella. È l’estate più calda a memoria di essere vivente, e da queste parti significa molto, molto tempo.

Immaginate una figura a cavallo, che avanza lentamente lungo una strada che non è altro che un solco nella polvere tra campi di grano che promettono già un raccolto insolitamente abbondante.

Immaginate uno steccato di legno secco e morto. C’è un cartello inchiodato. Il sole ha sbiadito le lettere, ma sono ancora leggibili.

Immaginate un’ombra che copre il cartello. Si può quasi sentirla leggere le due parole.

C’è un viottolo che porta a un piccolo gruppo di edifici sbiaditi.

Immaginate dei passi strascicati.

Immaginate una porta, aperta.

Immaginate una stanza buia e fresca, osservata dalla soglia Non è una stanza molto vissuta. È una stanza per gente che vive all’aperto ma a volte deve rientrare, quando fa buio. È una stanza per finimenti e cani, una stanza in cui si appendono ad asciugare le cerate. Accanto alla porta c’è un barile di birra. Il pavimento è di pietra e lungo le assi del soffitto sono appesi dei ganci per pancetta. C’è un tavolo ruvido dove possono sedersi trenta uomini affamati.

Non ci sono uomini. Non ci sono cani. Non c’è birra. Non c’è pancetta.

Al bussare seguì il silenzio, e poi un ciabattare sulla pietra. Alla fine, una donna anziana e magra, con la pelle e il viso del colore e della consistenza di una noce, si affacciò alla porta.

«Sì?» disse.

IL CARTELLO DICE ‘CERCASI AIUTO’.

«Ah sì? Ah sì? Sta lì dall’inverno scorso!»

COME, SCUSI? NON CERCA AIUTO?

La faccia rugosa lo guardò pensierosa.

«Non posso pagare più di sei pence a settimana, però» disse.

L’alta figura che si stagliava contro la luce del sole sembrò pensarci su.

SÌ, disse alla fine.

«Non saprei nemmeno da che parte farti cominciare. Sono tre anni che qui non c’è un vero aiuto. Quando mi serve assumo qualche buonannulla del villaggio».

SÌ?

«E quindi per te va bene?»

HO UN CAVALLO.

La vecchia guardò alle spalle dello sconosciuto. Nel cortile c’era il cavallo più bello che avesse mai visto. Strinse gli occhi.

«E quello è il tuo cavallo?»

SÌ.

«Con tutto quell’argento sui finimenti?»

SÌ.

«E vuoi lavorare per sei pence a settimana?»

SÌ.

La donna strinse le labbra. Guardò lo sconosciuto, poi il cavallo, poi la desolazione attorno alla fattoria. Poi parve giungere a una decisione, probabilmente sulla base del fatto che una persona priva di cavalli non aveva nulla da temere da un ladro di cavalli.

«Tu dormi nella stalla, chiaro?» disse.

DORMIRE? NATURALMENTE. SÌ, DOVRÒ DORMIRE.

«E comunque non ti posso tenere in casa. Non sarebbe giusto».

LA STALLA SARÀ PIÙ CHE ADEGUATA, GLIELO ASSICURO.

«Ma puoi venire in casa per mangiare».

GRAZIE.

«Io sono la signorina Flitworth».

SÌ.

Lei aspettò.

«Immagino che abbia un nome anche tu» suggerì.

SÌ. È GIUSTO.

Lei aspettò di nuovo.

«Allora?»

COME, SCUSI?

«Come ti chiami?»

Lo sconosciuto la fissò per un istante, poi si guardò freneticamente intorno.

«Avanti» disse la signorina Flitworth. «Non assumo nessuno senza un cognome, signor…?»

La figura guardò in alto.

SIGNOR CIELO?

«Nessuno si chiama signor Cielo».

SIGNOR… PORTA?

La donna annuì.

«Potrebbe essere, potrebbe essere. Conoscevo un tizio che si chiamava così. Sì. Signor Porta. E il nome? Non dirmi che non hai nemmeno quello. Devi essere un Bill, un Tom, un Bruce o qualcosa del genere».

SÌ.

«Sì cosa?»

UNO DI QUELLI.

«Quale?»

EHM. IL PRIMO?

«Sei un Bill?»

SÌ?

La signorina Flitworth alzò gli occhi al cielo.

«Va bene, Bill Cielo…» disse.

PORTA.

«Sì, scusa Va bene, Bill Porta…»

MI CHIAMI BILL.

«E tu chiamami signorina Flitworth. Immagino che tu voglia cenare.»

CENARE? AH SÌ. IL PASTO DELLA SERA SÌ.

«Sembri mezzo morto di fame, a dire il vero. Anche più di mezzo, in realtà». Guardò lo sconosciuto stringendo gli occhi. In un certo senso era molto difficile capire che aspetto avesse Bill Porta, o ricordare il suono esatto della sua voce. Chiaramente era lì, e chiaramente aveva parlato: altrimenti come facevi a ricordarlo?