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«Posso sapere il motivo di questa intrusione?» disse freddamente Ridcully.

Il capitano delle guardie si appoggiò alla sua lancia.

«Ecco» disse, «le cose stanno così. Il Patrizio è barricato nella sua stanza da letto, perché tutti i mobili del Palazzo se ne vanno in giro sfrecciando che non ci si crede, e i cuochi non vogliono tornare in cucina per quello che succede anche lì…»

I maghi cercavano di non guardare la punta della lancia. Si stava svitando.

«Insomma» proseguì il capitano, ignaro del lieve rumore metallico, «il Patrizio mi chiama attraverso il buco della serratura e mi fa: ‘Douglas, mi chiedevo se potessi fare un salto all’Università e chiedere al capo di essere così gentile da passare di qui, se non è troppo disturbo?’ Ma posso sempre tornare a dirgli che è occupato in questioni goliardiche, se crede».

La punta della lancia era quasi staccata dall’asta.

«Mi sta ascoltando?» chiese il capitano, sospettoso.

«Mmm? Cosa?» disse l’Arcicancelliere, distogliendo lo sguardo dal ferro che girava. «Ah. Sì. Ebbene, amico mio, le posso assicurare che non siamo noi la causa di…»

«Ahiaa!»

«Come, scusi?»

«La punta della lancia mi è caduta sul piede!»

«Ah sì?» chiese Ridcully con aria innocente.

Il capitano della guardia cominciò a saltare su e giù.

«Insomma, avete intenzione di venire o no, razza di trafficanti di pozioni?» disse, tra i rimbalzi. «Il capo non è contento. Proprio per niente».

Una grande nube informe di Vita attraversava Mondo Disco, come l’acqua che si accumula dietro una diga quando le cateratte sono chiuse. Senza la Morte a riprendersi la forza vitale quando non ce n’era più bisogno, non aveva altro posto dove andare.

Qua e là si rintanava in casuali attività poltergeist, come lampi estivi prima di una tempesta.

Ogni cosa che esiste vuole vivere. È questa la natura del ciclo della vita. È il motore che guida la grande pompa biologica dell’evoluzione. Ogni cosa cerca di farsi strada su per l’albero, aggrappandosi con le unghie, con i tentacoli o con le spire fino al prossimo appiglio, fino a raggiungere la cima… che poi, in generale, non sembra mai all’altezza di tutta quella fatica.

Ogni cosa che esiste vuole vivere. Anche cose che vive non sono. Cose che hanno una sorta di sotto-vita, una vita metaforica, una quasi-vita. E ora, come un periodo di caldo improvviso porta fioriture innaturali ed esotiche…

C’era qualcosa in quei piccoli globi. Qualcosa ti spingeva a prenderli e scuoterli, a guardare i graziosi fiocchi di neve che turbinavano e scintillavano. E poi a portarli a casa e metterli sul caminetto.

E poi a dimenticartene del tutto.

I rapporti tra l’Università e il Patrizio, governatore assoluto e dittatore quasi benevolo di Ankh-Morpork, erano complessi e sottili.

I maghi sostenevano che, in quanto servitori di una verità superiore, non erano soggetti alle leggi secolari della città.

Il Patrizio diceva che sì, certo, le cose stavano così, ma che dovevano pagare le maledette tasse come chiunque altro.

I maghi dicevano che, in quanto seguaci della luce della saggezza, non dovevano fedeltà ad alcun mortale.

Il Patrizio diceva che non si trattava di fedeltà, ma di una tassa comunale di duecento dollari pro capite all’anno, pagabile trimestralmente.

I maghi dicevano che l’Università sorgeva su terreno magico ed era perciò esente da tasse; e che comunque non si poteva tassare la conoscenza.

Il Patrizio diceva che si poteva eccome. Duecento dollari pro capite; se il problema era il capite, a decapitare si faceva presto.

I maghi dicevano che l’Università non aveva mai pagato tasse alle autorità civili.

Il Patrizio diceva che non intendeva restare civile per molto.

I maghi dicevano: si potrebbe addivenire a un accordo amichevole?

Il Patrizio diceva che quello era un accordo amichevole. Era meglio che non sapessero com’era quello non amichevole.

I maghi dicevano che c’era stato un governatore un tempo, oh, sarà stato il Secolo della Libellula, che aveva cercato di dire all’Università cosa doveva fare. Il Patrizio poteva venire a dargli un’occhiata, se ne aveva voglia.

Il Patrizio diceva che ci sarebbe andato molto volentieri.

Alla fine era stato convenuto che i maghi naturalmente non avrebbero pagato tasse; ciò nondimeno, avrebbero fatto una donazione interamente volontaria, di… ecco, diciamo duecento dollari pro capite, senza impegno, senza pregiudiziali, mutatis mutandis, da usarsi strettamente per scopi non militari e accettabili dal punto di vista ambientale.

Era questo interscambio dinamico tra blocchi di potere che rendeva Ankh-Morpork un posto così interessante, stimolante, ma soprattutto maledettamente pericoloso.[8]

I maghi anziani non giravano spesso per quelli che Ben Venuti ad AnkhMorpork probabilmente chiamava le arterie pulsanti e gli intimi recessi della città, ma fu immediatamente chiaro che qualcosa non andava. Non era il fatto che le pietre del selciato volassero: ogni tanto qualcuno le lanciava. Era che di solito non fluttuavano spontaneamente.

Una porta si aprì e ne uscì un completo da uomo, seguito da un paio di scarpe danzanti e un cappello sospeso a qualche decina di centimetri sopra il bavero. Dietro il tutto c’era un uomo magro che cercava di fare con una salvietta ciò che di solito necessita di un intero paio di pantaloni.

«Torna subito qui!» gridò, mentre il completo girava l’angolo. «Devo ancora sette dollari per te!»

Un secondo paio di pantaloni corse in strada e si precipitò dietro agli altri.

I maghi si accostarono l’uno all’altro, come un animale spaventato con cinque teste a punta e dieci gambe, chiedendosi chi per primo avrebbe fatto un commento.

«Ma è roba da pazzi!» disse l’Arcicancelliere.

«Mmm?» disse il Decano, cercando di suggerire che di solito vedeva cose molto più pazzesche di quella, e che attirando l’attenzione su un semplice completo che se ne andava in giro per conto suo, l’Arcicancelliere stava facendo cadere di tono tutta la stregoneria.

«Oh, andiamo. Non conosco molti sarti che aggiungono un altro paio di pantaloni a un vestito da sette dollari» disse Ridcully.

«Ah» disse il Decano.

«Se ripassa, cerca di acchiapparlo, così leggiamo l’etichetta».

Un lenzuolo uscì da sotto una finestra di un piano alto e svolazzò via sui tetti.

«Sapete» disse il professore di Rune Recenti, tentando di mantenere un tono calmo e rilassato. «Secondo me questa non è magia. Non dà proprio l’impressione della magia».

Il Sommo Algebrico pescò in una delle profonde tasche della veste. Ci furono tintinnii e fruscii soffocati, e di tanto in tanto un gracchiare. Alla fine tirò fuori un cubo di vetro blu scuro. Aveva un quadrante sul davanti.

«Ti porti in tasca uno di quelli?» disse il Decano. «Uno strumento così prezioso?»

«Che accidenti è?» chiese Ridcully.

«È uno strumento incredibilmente sensibile di misurazione della magia» rispose il Decano. «Misura l’intensità del campo magico. È un taumometro».

Il Sommo Algebrico sollevò orgogliosamente il cubo e premette un pulsante sul lato.

L’ago sul quadrante tremolò un poco, poi si fermò.

«Visto?» disse il Sommo Algebrico. «Solo un sottofondo naturale, nessun rischio per la popolazione».

«Alzi la voce» disse l’Arcicancelliere. «Non la sento con questo fracasso».

Dalle case sull’altro lato della strada venivano schianti e grida.

La signora Evadne Torta era una medium, tendente a small.

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8

Sulla frenetica metropoli sono state scritte molte canzoni, la più famosa delle quali naturalmente è: Ankh-Morpork! Ankh-Morporrk! Meno male che l’hanno chiamata Ankh-Morpork!’, ma altre dicono anche: Portami via da Ankh-Morpork, Temo di Ritornare ad Ankh-Morpork e la vecchia hit Ho la Sindrome di Ankh-Morpork.