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Non era un lavoro faticoso. Non molti tra quelli che morivano ad AnkhMorpork mostravano grandi inclinazioni a chiacchierare con i parenti sopravvissuti. Il loro motto era: metti fra te e loro il maggior numero possibile di dimensioni mistiche. Tra un incarico e l’altro faceva la sarta e lavorava in chiesa… qualsiasi chiesa. La signora Torta era molto devota di tutte le religioni, quantomeno nei suoi termini.

Evadne Torta non era una di quelle medium incenso-e-tenda-di-perline, in parte perché non tollerava bene l’incenso, ma soprattutto perché era davvero molto brava nella sua professione. Un buon mago ti può sbalordire con una semplice scatola di fiammiferi e un mazzo di carte perfettamente comune, se il signore vuol guardare da vicino vedrà che è un normalissimo mazzo di carte… non gli servono i tavoli pieghevoli mozzadita e i complicati cilindri a fisarmonica tipici dei prestidigitatori mediocri. Allo stesso modo, alla signora Torta non serviva molto in termini di oggetti. Anche la sfera di cristallo industriale era lì solo come contentino per i clienti. La signora Torta era davvero capace di leggere il futuro in una scodella di porridge.[9] La rivelazione poteva arrivarle da una padella di pancetta fritta. Aveva passato la vita a bazzicare il mondo degli spiriti, anche se nel suo caso bazzicare non era il termine idoneo. Lei non era il tipo che bazzicava. Piuttosto, era il tipo che entrava a grandi passi nel mondo degli spiriti e pretendeva di vedere il direttore.

Mentre si preparava la colazione e tagliuzzava un po’ di cibo per cani per Ludmilla, cominciò a sentire delle voci.

Erano molto fievoli. Non erano al limite dell’udibile, perché erano quel genere di voci che le orecchie normali non sentono. Erano nella sua testa.

bada a quello che fai… dove sono… piantala di scavare…

E poi svanirono di nuovo.

Furono sostituite da un suono stridulo dalla stanza accanto. Mise da parte l’uovo sodo e si avviò goffamente attraverso la tenda di perline.

Il rumore veniva da sotto l’austera tela di sacco (niente frivolezze) che copriva la sfera di cristallo.

Evadne tornò in cucina e scelse una pesante padella per friggere. L’agitò in aria due o tre volte per valutarne il peso, poi tornò in punta di piedi verso la sfera coperta.

Sollevò la padella, pronta a schiacciare qualsiasi sgradevolezza, e scostò la tela.

La sfera ruotava lentamente sul suo supporto.

Evadne rimase a guardarla per un po’. Poi tirò le tende, sistemò la sua mole su una sedia, respirò a fondo e disse: «C’è qualcuno?»

La maggior parte del soffitto crollò.

Dopo diversi minuti e un bel po’ di fatica, la signora Torta riuscì a liberare la testa.

«Ludmilla!»

Ci furono dei passi felpati in corridoio, poi un essere entrò dal giardino posteriore. Era chiaramente una femmina, anche graziosa, di forma ordinaria e con un vestito normalissimo. Soffriva anche di una proliferazione di peli superflui che nessun delicato rasoio rosa avrebbe potuto eliminare. Inoltre, in quella stagione denti e unghie si portavano lunghi, a quanto pareva. Ci si sarebbe aspettati di sentirla ringhiare, ma invece parlò con voce gradevole e senza dubbio umana.

«Mamma?»

«Sono qua sotto».

La spaventosa Ludmilla sollevò un’enorme trave e la spostò di lato senza fatica. «Cos’è successo? Non avevi la premonizione accesa?»

«L’avevo spenta per parlare col fornaio. Miseria, che botta».

«Ti faccio un tè?»

«Noo, lo sai che rompi sempre le tazze quando hai il tuo Periodo».

«Ma sto migliorando» disse Ludmilla.

«Brava ragazza. Però faccio da me, grazie lo stesso».

La signora Torta si alzò, si spolverò i calcinacci dal grembiule e disse: «Hanno gridato! Hanno gridato! Così, all’improvviso!»

Modo, il giardiniere dell’Università, stava diserbando un’aiuola di rose quando l’antico prato di velluto accanto a lui si gonfiò, e spuntò un sempreverde Windle Poons, che batté le palpebre alla luce. «Sei tu, Modo?»

«Sì, signor Poons» disse il nano. «Le do una mano a risalire?»

«Credo di farcela, grazie».

«Ho una pala nel capanno, se crede».

«No, grazie, va benissimo». Windle si tirò fuori dall’erba e spolverò via il terriccio dalla veste. «Scusa per il prato» aggiunse, guardando la buca.

«Non lo dica nemmeno, signor Poons».

«C’è voluto molto per farlo venire così?»

«Circa cinquecento anni, credo».

«Accidenti, mi dispiace. Volevo arrivare alle cantine, ma a quanto pare ho perso l’orientamento».

«Non si preoccupi, signor Poons» disse allegramente il nano. «Sta crescendo tutto a rotta di collo. Oggi pomeriggio riempio la buca, metto giù qualche altro seme e cinquecento anni passano in un lampo, vedrà».

«Per come stanno andando le cose probabilmente lo vedrò» disse cupamente Windle. Si guardò intorno. «L’Arcicancelliere c’è?» chiese.

«Li ho visti andare tutti verso il Palazzo» disse il giardiniere.

«Allora andrò a farmi un bagno e a cambiarmi. Non voglio disturbare nessuno».

«Ho sentito dire che non era solo morto, ma anche sepolto» disse il giardiniere, mentre Windle si allontanava barcollando.

«Esatto».

«Uno come lei non lo tiene nessuno, eh?»

Windle si voltò.

«A proposito, dov’è Via Olmo?»

Modo si grattò un orecchio. «Non è quella dietro Treacle Road?»

«Ah, sì. Ora ricordo».

Modo tornò alle sue erbacce.

La natura circolare della morte di Windle Poons non lo disturbava più di tanto. Dopotutto, gli alberi sembravano morti in inverno, ma rifiorivano in primavera. Vecchi semi rinsecchiti cadevano sul terreno, e nascevano nuove piante fresche. Praticamente nulla restava morto a lungo. Guarda il compost.

Modo credeva nel compost con lo stesso fervore con cui altri credevano negli dei. I suoi mucchi di compost si gonfiavano e fermentavano e brillavano debolmente nel buio, forse a causa degli ingredienti misteriosi e probabilmente illegali con cui Modo li nutriva, anche se non era mai stato provato nulla e, comunque, nessuno sarebbe andato a scavare per controllare.

Roba morta, ma in qualche modo ancora viva. Certamente faceva crescere le rose. Il Sommo Algebrico aveva spiegato a Modo che le sue rose erano così alte perché quello era il miracolo dell’esistenza, ma Modo era personalmente convinto che facevano così per allontanarsi più in fretta possibile dal compost.

I mucchi avevano di che festeggiare, stasera. Le erbacce erano in gran forma. Non aveva mai visto le piante crescere così in fretta e così rigogliose. Dev’essere tutto quel compost, pensò Modo.

Quando i maghi arrivarono a Palazzo lo trovarono in subbuglio. Pezzi di mobili volavano sotto il soffitto. Uno sciame di posate, simili a pesciolini d’argento, saettò accanto all’Arci-Cancelliere e si tuffò in un corridoio. Il posto sembrava nell’occhio di un ciclone selettivo e ordinato.

Erano già arrivate altre persone, tra cui un gruppo vestito in modo molto simile ai maghi, anche se a un occhio allenato erano chiare importanti differenze.

«Sacerdoti?» disse il Decano. «Qui, prima di noi?»

I due gruppi cominciarono furtivamente ad assumere posizioni che lasciavano le mani libere.

«Ma a che servono?» chiese il Sommo Algebrico.

Ci fu un brusco calo nella temperatura metaforica.

Un tappeto si allontanò ondeggiando.

L’Arcicancelliere incrociò lo sguardo dell’enorme Capo Sacerdote dell’Io Cieco, che in quanto sacerdote anziano del dio maggiore del turbolento pantheon di Mondo Disco era la cosa più vicina a un portavoce per le questioni religiose che Ankh-Morpork avesse.

«Sciocchi creduloni» mormorò il Sommo Algebrico.

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9

Che potrebbe dire, per esempio, che nel tuo futuro prossimo c’è un doloroso movimento intestinale.