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E per tutto il tempo il vecchio orologio sul camino aveva ticchettato, tagliando via secondi dalla sua vita. Non molto tempo prima gli erano sembrati così tanti…

Qualcuno bussò piano alla porta della stalla, sotto il fienile. Sentì la porta che si apriva.

«Sei presentabile, Bill Porta?» chiese la voce della signorina Flitworth nel buio.

Bill Porta analizzò la frase cercandole un senso nel contesto.

SÌ?, azzardò.

«Ti ho portato un bicchiere di latte caldo».

SÌ?

«Dai, sbrigati o si raffredda».

Bill Porta scese cautamente la scala a pioli. La signorina Flitworth aveva in mano una lanterna, e uno scialle attorno alle spalle.

«Ci ho messo la cannella. Il mio Ralph ce la voleva sempre». Sospirò.

Bill Porta era consapevole delle sfumature allo stesso modo in cui un astronauta è cosciente del tempo meteorologico sotto di lui; c’è, è visibile, pronto per essere studiato e totalmente separato dall’esperienza diretta.

GRAZIE, disse.

La signorina Flitworth si guardò intorno.

«Ti sei sistemato bene qui» disse allegramente.

SÌ.

Lei si strinse nello scialle.

«Io torno a casa, allora» disse. «Puoi riportare la tazza domani mattina».

E si incamminò in fretta nella notte.

Bill Porta tornò sul soppalco con il latte. Lo posò su una trave bassa e rimase a guardarlo raffreddarsi, fino a molto dopo che la candela si fu spenta.

Dopo un po’ si accorse di un sibilo persistente. Prese la clessidra d’oro e la mise all’altro capo del fienile, sotto un mucchio di paglia.

Non fece la minima differenza.

Windle Poons si avvicinò per guardare i numeri civici (un centinaio di Pini Contatori erano morti solo per quella strada) poi si rese conto che non ne aveva bisogno. Guardava da vicino solo per abitudine. Migliorò la sua vista.

Ci volle un po’ per trovare il 668, perché in effetti si trovava al primo piano, sopra una sartoria. Si entrava da un vicolo, in fondo al quale c’era una porta di legno. Sulla vernice scrostata qualcuno aveva affisso un cartello che diceva, in caratteri ottimistici:

’ENTRATE! ENTRATE! CLUB NUOVO INIZIO. LA MORTE È SOLO IL PRIMO PASSO!’

La porta si aprì su una rampa di scale che odorava di vernice vecchia e mosche morte. I gradini scricchiolavano peggio delle ginocchia di Windle.

Qualcuno aveva scritto sui muri. La fraseologia era esotica ma il tono generale era familiare: Spettri di tutto il mondo sorgete, Rompiamo le Catene e La Maggioranza Silenziosa vuole Diritti per i Morti e la Fine del Vitalismo.

In cima c’era un pianerottolo su cui si apriva una porta. Un tempo qualcuno aveva appeso una lampada a olio al soffitto, ma sembrava che non venisse accesa da alcune migliaia di anni. Un vecchio ragno, che probabilmente viveva del resto dell’olio, lo guardò con fare circospetto dal suo anfratto.

Windle guardò di nuovo il biglietto, respirò a fondo per forza d’abitudine, e bussò.

L’Arcicancelliere tornò all’Università come una furia, con la coda degli altri maghi disperati al seguito.

«Chi chiamerà lui! Siamo noi i maghi qui!»

«Sì, ma non sappiamo veramente cosa sta succedendo, no?» disse il Decano.

«Allora lo scopriremo!» ruggì Ridcully. «Non so chi ha intenzione di chiamare lui, ma so chi chiamerò io!»

Si fermò di botto. Gli altri gli andarono a sbattere contro.

«Oh no» disse il Sommo Algebrico. «Quello no, la prego!»

«Ma non è niente» disse Ridcully. «Non c’è nulla da temere. Lo leggevo proprio ieri sera. Si può fare con tre pezzi di legno e…»

«Quattro cc di sangue di topo» disse il Sommo Algebrico in tono lugubre. «Ma non per forza. Si possono anche usare due pezzi di legno e un uovo. Però dev’essere un uovo fresco».

«Perché?»

«Credo che così il topo sia più contento».

«No, dicevo: perché l’uovo fresco».

«Oh, che ne sappiamo noi di cosa pensano le uova?»

«Comunque» disse il Decano, «è pericoloso. Ho sempre avuto l’impressione che stia nell’ottagramma per fare scena. Odio il modo in cui ti guarda e sembra che stia contando».

«Sì» disse il Sommo Algebrico. «Non siamo costretti a farlo. Possiamo venire a capo di quasi tutto. Draghi, mostri. Ratti. Vi ricordate i ratti, l’anno scorso? Sembrava che fossero dappertutto. Lord Vetinari non ci ha dato retta, oh no. Ha pagato quell’idiota in calzamaglia rossa e gialla mille pezzi d’oro per liberarsi dei ratti».

«Però ha funzionato» disse il professore di Rune Recenti.

«Ah, ci puoi giurare» disse il Decano. «Ha funzionato anche a Quirm e a Sto Lat. E l’avrebbe fatta franca anche a Pseudopolis se qualcuno non l’avesse riconosciuto. Il cosiddetto Maurice il Magnifico e i suoi Roditori Ammaestrati!»

«Non serve a nulla cercare di cambiare argomento» disse Ridcully. «Faremo il rito di AshKente. D’accordo?»

«Ed evocheremo la Morte» disse il Decano. «Oh, cielo».

«Non c’è niente di male nella Morte» disse Ridcully. «È un vero professionista. Fa il suo lavoro, e basta. Giochiamo onestamente. Lui saprà cosa sta succedendo».

«Oh, cielo» ripeté il Decano.

Arrivarono al cancello. La signora Torta si fece avanti, bloccando la strada all’Arcicancelliere.

Ridcully inarcò le sopracciglia.

L’Arcicancelliere non era il tipo d’uomo che prova un particolare piacere a essere sgarbato e brusco con le donne. O meglio, era sgarbato e brusco assolutamente con chiunque, indipendentemente dal sesso; comunque era una forma di parità. E se la conversazione che segue non fosse avvenuta tra una persona che ascoltava ciò che gli altri dicevano diversi secondi prima che lo dicessero, e una che non ascoltava mai nessuno, le cose sarebbero state molto diverse. O magari no.

Iniziò la signora Torta con una risposta.

«Non sono la sua brava donna!» sbottò.

«E lei chi è, brava donna?» disse l’Arcicancelliere.

«Be’, non è il modo di parlare a una persona rispettabile» disse la signora Torta.

«Non c’è motivo di offendersi» disse Ridcully.

«Oh, cavolo, lo sto facendo?» disse la signora Torta.

«Signora, perché mi risponde prima che io parli?»

«Cosa?»

«In che senso?»

«In che senso cosa?»

«Cosa?»

Si guardarono negli occhi, bloccati in un impasse senza uscita. Poi la signora Torta capì.

«Sono io, ho la premonizione accesa» disse. Si infilò un dito in un orecchio e lo agitò con un suono umido. «Ora è a posto. Ecco, la ragione per cui…»

Ma Ridcully ne aveva già abbastanza.

«Tesoriere» disse, «dia a questa donna un penny e la rimandi da dov’è venuta, faccia il piacere».

«Cosa?» disse la signora Torta, improvvisamente furiosa oltre ogni dire.

«C’è troppa roba del genere in giro di questi tempi» disse Ridcully al Decano, mentre si allontanavano.

«È colpa della vita stressante della grande città» disse il Sommo Algebrico. «L’ho letto da qualche parte. La gente diventa strana».

Entrarono da una delle porticine nel portone principale e il Decano la richiuse in faccia alla signora Torta.

«Magari non verrà» disse il Sommo Algebrico, mentre attraversavano il cortile. «Alla festa di addio del povero Windle non si è presentato».

«Per il Rito verrà» disse Ridcully. «Non è solo un invito del cavolo, è come se dicesse pure Si Prega di Dare Conferma!»

«Oh, bene. Mi piacciono i ricevimenti» disse il Tesoriere.