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Il suo braccio scattò in avanti e spinse Windle contro un muro.

«Shhh!»

«Cosa?»

Lupine roteò gli occhi, le narici fremevano.

Facendo cenno a Windle di restare dov’era, il lupo mannaro scivolò silenziosamente lungo il vicolo fino all’incrocio con un altro, ancora più stretto e brutto. Si fermò un istante, poi allungò con forza una mano pelosa dietro l’angolo.

Ci fu un suono strozzato. La mano di Lupine tornò reggendo un uomo che si dibatteva. Gli enormi muscoli pelosi sotto la camicia strappata sollevarono l’uomo ad altezza fauci.

«Stavi per assalirci» disse Lupine.

«Chi, io?»

«Ho sentito l’odore» disse Lupine in tono neutro.

«Io non ho mai…»

Lupine sospirò. «I lupi non fanno queste cose, sai» disse.

L’uomo dondolò.

«Ma va’?» disse.

«È tutto testa contro testa, zanna contro zanna, artiglio contro artiglio» disse Lupine. «Non vedrai mai un lupo appostato dietro una roccia pronto per assaltare un tasso».

«Che faccio, vado?»

«Vuoi che ti apra la gola in due?»

L’uomo lo fissò negli occhi gialli. Valutò le possibilità che aveva contro un uomo di due metri e dieci e con quei denti lì.

«Ho scelta?» chiese.

«Il mio amico, qui» disse Lupine, indicando Windle, «è uno zombie…»

«Be’, non so se proprio un vero zombie, credo che bisogna mangiare un certo tipo di pesce e di radice per…»

«… e tu sai cosa fanno gli zombie alla gente, vero?»

L’uomo cercò di annuire, anche se il pugno di Lupine era stretto intorno al suo collo.

«Seeeeh» riuscì a emettere.

«Bene, lui adesso ti dà una bella occhiata, e se ti vede ancora…»

«No, un momento» bisbigliò Windle.

«… ti verrà a cercare. Non è vero, Windle?»

«Eh? Ah, sì. Giusto. Ti vengo a cercare» disse Windle in tono infelice. «Ora vattene, fa’ il bravo. Okay?»

«Ogghei» disse il mancato assalitore. Stava pensando: ‘Guegli ogghi! Gome sugghielli!’

Lupine mollò la presa. L’uomo cadde sul selciato, lanciò a Windle un’altra occhiata terrorizzata, e corse via.

«Ehm, ma cosa fanno gli zombie alla gente?» disse Windle. «Credo che sia meglio che lo sappia».

«La strappa in due come carta secca» disse Lupine.

«Ah? Bene» fece Windle. Proseguirono in silenzio. Windle stava pensando: ‘Ma perché io? Devono morire a centinaia ogni giorno, in città. Scommetto che non hanno tutti questi problemi. Chiudono gli occhi e rinascono come qualcun altro, oppure si svegliano in qualche paradiso, o magari in qualche inferno. Oppure vanno a festeggiare insieme agli dei, che però non mi sembra una grande idea. Gli dei a modo loro non sono malaccio, ma non il genere di persone con cui un uomo perbene possa sedersi a tavola. I buddisti Yen dicono che dopo si diventa molto ricchi. Alcune religioni Klatchiane dicono che si va in un bel giardino pieno di ragazze, cosa che a me non suona molto religiosa…’

Windle si domandò come si faceva a chiedere la cittadinanza Klatchiana dopo morti.

E in quel momento le pietre del selciato gli vennero incontro.

Solitamente questo è un modo poetico per dire che uno cade faccia a terra. In questo caso, le pietre del selciato gli vennero davvero incontro. Si alzarono a fontana, volteggiarono silenziose nel vicolo per un momento, poi piovvero giù come pietre.

Windle le fissò. Anche Lupine.

«Questa è una cosa che non si vede spesso» disse l’uomo mannaro dopo un po’. «Anzi, non credo di aver mai visto pietre volanti prima d’ora».

«E nemmeno piovere pietre» disse Windle. Ne toccò una con la punta dello stivale. Sembrò perfettamente soddisfatta del ruolo che la gravità le aveva assegnato.

«Tu sei un mago…»

«Ero un mago» disse Windle.

«Eri un mago. Qual è la causa di tutto questo?»

«Credo che sia stato un fenomeno inspiegabile» disse Windle. «Ce ne sono parecchi in giro. Vorrei sapere perché».

Toccò di nuovo una pietra con il piede. Non mostrò alcuna inclinazione al movimento.

«È meglio che vada» disse Lupine.

«Com’è essere un uomo mannaro?» chiese Windle.

Lupine scrollò le spalle. «Solitario».

«Mmm?»

«Vedi, è che sei sempre fuori posto. Quando sono un lupo ricordo come ci si sente a essere uomini, e viceversa. Ecco… cioè… a volte… a volte, sì, quando sono un lupo, corro su per le colline… d’inverno, sai, quando c’è la luna crescente e la neve si ghiaccia e le colline non finiscono mai… gli altri lupi sentono com’è, certo, ma non lo sanno come lo so io. Sentire e sapere allo stesso tempo. Nessun altro sa com’è. Nessun altro al mondo può sapere com’è. Quella è la parte brutta. Sapere che non c’è nessun altro…»

Windle capì di essere in bilico sull’orlo di un abisso di lagna. Non sapeva mai cosa dire in momenti come questi.

Lupine si rischiarò. «A proposito… com’è essere uno zombie?»

«Non tanto male, in fondo».

Lupine annuì.

«Ci si vede in giro» disse, e si allontanò.

Le strade iniziavano a riempirsi; Ankh-Morpork cominciava il cambio di turno informale tra il popolo della notte e quello del giorno. Tutti evitavano Windle. La gente fa a meno di andare a sbattere contro uno zombie, se può.

Arrivò ai cancelli dell’Università, che ora erano aperti, e si avviò verso la sua camera.

Avrebbe avuto bisogno di soldi, se avesse voluto andarsene. Aveva risparmiato parecchio nel corso degli anni. Aveva fatto testamento? Negli ultimi dieci anni era stato piuttosto confuso. Forse l’aveva fatto. Era stato tanto confuso da lasciare i suoi risparmi a se stesso? Sperava di sì. Non c’erano casi noti di persone che fossero riuscite a impugnare con successo il proprio testamento…

Sollevò l’asse del pavimento ai piedi del letto, e tirò fuori una borsa di monete. Ricordò che le aveva messe da parte per la vecchiaia.

C’era la sua agenda. Era un’agenda quinquennale, il che significava (fece un rapido calcolo) che aveva sprecato circa tre quinti dei suoi soldi.

O anche di più, se ci pensavi bene. Dopotutto non c’era granché scritto dentro. Per anni Windle non aveva fatto niente che valesse la pena riportare, o perlomeno niente che a sera fosse in grado di ricordare. C’erano fasi lunari, liste di feste religiose, e di tanto in tanto una caramella attaccata a una pagina.

Sotto il pavimento c’era anche qualcos’altro. Rovistò nello spazio polveroso e trovò un paio di sfere lisce. Le tirò fuori e le guardò, confuso. Le agitò, e osservò le minuscole nevicate. Lesse le scritte, notando che più che altro erano disegni di scritte. Poi raccolse il terzo oggetto: era una piccola rotella di metallo piegata. Una rotellina di metallo. E accanto, una sfera rotta.

Windle rimase a guardarle.

Naturalmente non era stato nel pieno possesso delle sue facoltà mentali negli ultimi trent’anni circa, e forse aveva indossato la biancheria sopra i vestiti e sbavato un po’, ma… aveva anche collezionato souvenir? E rotelline?

Qualcuno tossì, alle sue spalle.

Windle lasciò ricadere gli oggetti misteriosi nel buco e si guardò intorno. La stanza era vuota, ma sembrava ci fosse un’ombra dietro la porta aperta.

«C’è nessuno?» disse.

Una voce profonda e molto diffidente rispose: «Sono io, signor Poons».

Windle aggrottò la fronte, cercando di ricordare.

«Schleppel?» disse.

«Esatto».

«L’uomonero?»

«Sì».

«Dietro la mia porta?»

«Esatto».

«Perché?»

«È una porta accogliente».

Windle si avvicinò alla porta e la chiuse esitando. Dietro non c’era altro che intonaco vecchio, anche se ebbe l’impressione di sentire uno spostamento d’aria.