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Era più grande di come lo ricordava. Le pareti si intravedevano ai limiti del campo visivo.

Era il campo visivo di Bill Porta. Certamente a lui sarebbe sembrato grande, e probabilmente c’era ancora un po’ di lui da qualche parte. Bisognava tenersi occupati, buttarsi nel lavoro.

C’erano già alcune clessidre sulla scrivania. Non ricordava di avercele messe, ma non importava, la cosa importante era mettersi al lavoro…

Prese la più vicina, e lesse il nome.

«Checcherecché!»

La signorina Flitworth si alzò a sedere sul letto. Nel dormiveglia aveva sentito un altro rumore, che doveva aver svegliato il gallo.

Cincischiò con un fiammifero finché non riuscì ad accendere la candela, e poi cercò a tastoni sotto il letto l’elsa di una sciabola corta che era stata molto usata dal defunto signor Flitworth nei suoi viaggi d’affari oltre le montagne.

Corse giù per le scale cigolanti e uscì fuori nell’alba gelida.

Esitò davanti alla porta della stalla, e poi l’aprì quel tanto che bastava a scivolare dentro.

«Signor Porta?»

Il fieno frusciò, poi ci fu un silenzio vigile.

SIGNORINA FLITWORTH?

«Mi hai chiamato? Sono sicura di aver sentito gridare il mio nome».

Ci fu un altro fruscio, e la testa di Bill Porta apparve sul bordo del soppalco.

SIGNORINA FLITWORTH.

«Sì. Chi ti aspettavi? Stai bene?»

EHM, SÌ. SÌ, CREDO DI SÌ.

«Sei sicuro? Hai svegliato Cyril».

SÌ. SÌ. È STATO SOLO… CREDEVO CHE… SÌ.

Lei soffiò sulla candela. La luce dell’alba era già sufficiente a vedere.

«Be’, se ne sei sicuro… Ora che sono in piedi tanto vale che metta su il porridge».

Bill Porta si distese di nuovo sulla paglia finché non si fidò abbastanza delle sue gambe per alzarsi, poi scese giù e si avviò barcollando nell’aia fino alla fattoria.

Non disse nulla mentre lei metteva il porridge in una scodella davanti a lui e lo affogava nella panna. Alla fine non fu più capace di trattenersi. Non sapeva come porre le domande, ma aveva davvero bisogno di risposte.

SIGNORINA FLITWORTH?

«Sì?»

COME SI CHIAMA… DI NOTTE… QUANDO SI VEDONO DELLE COSE CHE PERÒ NON SONO REALI?

Lei si fermò, con la pentola del porridge in una mano e il mestolo nell’altra.

«Vuoi dire i sogni?» chiese.

SONO QUELLI I SOGNI?

«Tu non sogni? Credevo che tutti sognassero».

COSE CHE STANNO PER SUCCEDERE?

«Ah, le premonizioni, cioè. Io non ci ho mai creduto. Non mi stai mica dicendo che non sai cosa sono i sogni?»

NO. NO. CERTO CHE NO.

«Cos’è che ti preoccupa, Bill?»

ALL’IMPROVVISO SO CHE DOBBIAMO MORIRE.

Lei lo guardò pensierosa.

«Be’, tocca a tutti» disse. «Ed è questo che hai sognato? Tutti ogni tanto si sentono così. Io non mi preoccuperei, se fossi in te. La cosa migliore è tenersi occupati e allegri, lo dico sempre».

MA MORIREMO!

«Oh, non lo so» disse la signorina Flitworth. «Dipende tutto da che tipo di vita hai fatto, credo».

PREGO?

«Sei religioso?»

VUOL DIRE CHE QUELLO CHE SUCCEDE DOPO LA MORTE È QUELLO CHE UNO CREDE CHE SUCCEDA?

«Be’, se fosse così non sarebbe male, no?» disse allegramente lei.

MA VEDE, IO SO COSA CREDO. IO NON CREDO… NULLA.

«Siamo un po’ tetri stamattina, eh?» disse la signorina Flitworth. «La cosa migliore che puoi fare ora è finire quel porridge. Dicono che fa bene alle ossa».

Bill Porta guardò la scodella.

POSSO AVERNE ANCORA?

Bill Porta passò la mattina a spaccare legna. Era piacevolmente monotono.

Stancarsi. Questo era l’importante. Doveva aver dormito anche prima della notte scorsa, ma forse era così stanco che non aveva sognato. Ed era ben deciso a non sognare più. L’ascia saliva e scendeva sui ciocchi, precisa come un orologio.

No! Non come un orologio!

La signorina Flitworth aveva diverse pentole sul fuoco quando lui entrò in casa.

CHE BUON PROFUMO, disse volenterosamente Bill. Allungò la mano verso il coperchio sobbalzante. La signorina Flitworth si voltò.

«Non toccare! Quella non è roba per te. È per i topi».

I TOPI NON SI NUTRONO DA SOLI?

«Ci puoi scommettere. È per questo che gli diamo un piccolo extra prima del raccolto. Un paio di cucchiaiate di questo attorno ai buchi… e niente più topi».

A Bill Porta ci volle un po’ per fare due più due, ma quando gli riuscì fu come lo scontro fra due megaliti.

QUESTO È VELENO?

«Essenza di spikkle, mescolata con pappa d’avena. Non fallisce mai».

E MUOIONO?

«All’istante. Stesi a zampe in aria. Per noi pane e formaggio» aggiunse. «Non mi metto a cucinare due volte in un giorno, e stasera abbiamo pollo. A proposito di pollo, vieni un po’…»

Prese una mannaia dalla rastrelliera e uscì sull’aia. Cyril il gallo la guardò sospettoso dalla cima di un mucchio di letame. Il suo harem di galline grasse e alquanto vecchiotte, che razzolavano nella polvere, caracollò verso la signorina Flitworth con la corsa da mutande-con-l’elastico-rotto tipica delle galline. Lei si chinò e ne acchiappò rapidamente una.

Quella guardò Bill Porta con occhi lucenti e stupidi.

«Sai spiumare un pollo?» chiese la signorina Flitworth.

Bill guardò alternativamente lei e la gallina.

MA LI NUTRIAMO, disse impotente.

«Esatto. Poi loro danno da mangiare a noi. Questa sta qui da mesi. È così che funziona nel mondo dei polli. Il signor Flitworth gli tirava il collo ma io non ci ho mai preso la mano; la mannaia sporca e poi continuano a correre in giro per un po’, ma sono morti e lo sanno».

Bill Porta rifletté sulle proprie possibilità. Il pollo aveva fissato su di lui il suo occhio tondo. I polli sono assai più stupidi degli umani, e non hanno i sofisticati filtri mentali che impediscono loro di vedere ciò che hanno davanti. Il pollo sapeva dove si trovava e chi lo stava guardando.

Bill Porta guardò quella piccola e semplice vita e vide gli ultimi secondi che scorrevano via.

Non aveva mai ucciso. Aveva preso delle vite, ma solo quando erano alla fine. C’era una differenza tra il rubare e tenersi una cosa trovata.

LA MANNAIA NO, disse stancamente. MI DIA IL POLLO.

Voltò le spalle per un momento, poi rese alla signorina Flitworth il pollo inerte.

«Bel lavoro» disse lei, e tornò in cucina.

Bill Porta sentì lo sguardo accusatore di Cyril su di lui.

Aprì la mano. Una minuscola luce fluttuava sul palmo.

Ci soffiò delicatamente sopra, e quella svanì.

Dopo pranzo sistemarono il veleno per i topi. Si sentì un assassino.

Morirono un sacco di topi.

Nei cunicoli sotto la stalla (nei più profondi, scavati molto tempo prima da roditori ancestrali) qualcosa apparve nel buio.

Sembrò che avesse qualche difficoltà a decidere cosa essere.

Cominciò come un pezzo di formaggio dall’aria molto sospetta. Ma non funzionava.

Poi provò con qualcosa che somigliava molto a un piccolo terrier nervoso. Anche questa fu respinta.

Per un momento fu una trappola d’acciaio a scatto. Chiaramente fuori luogo.

Si guardò intorno in cerca di nuove idee e con sua grande sorpresa una arrivò subito, come se fosse stata sempre lì. Non tanto una forma quanto il ricordo di una forma.

La provò e scoprì che nonostante fosse del tutto inadatta allo scopo, con una certa, profonda soddisfazione era l’unica forma possibile.

Si mise al lavoro.

Quella sera gli uomini si esercitavano nel tiro con l’arco sui prati. Bill Porta si era accuratamente fabbricato una reputazione come peggior arciere della storia del tiro con l’arco; non era mai venuto in mente a nessuno che spedire le frecce tra i cappelli degli astanti richiedeva molta più abilità che scagliarle su un bersaglio decisamente grande a soli cinquanta metri di distanza.