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Ma i maghi lo sapevano davvero. Non in caso di morte violenta o assassinio, naturalmente, ma se la causa della morte era il semplice esaurimento della vita… be’, lo sapevano. Di solito la premonizione avveniva in tempo per restituire i libri della biblioteca, far lavare l’abito migliore in tintoria e farsi prestare grosse somme dagli amici.

Lui aveva centotrenta anni. Gli venne in mente che era stato vecchio per la maggior parte della sua vita. Non era giusto.

E nessuno aveva detto «Ah». Ne aveva parlato nella Sala Non Comune la settimana precedente, e nessuno aveva raccolto l’accenno. E oggi a pranzo gli avevano a malapena rivolto la parola. Anche i suoi cosiddetti vecchi amici sembravano evitarlo, e dire che non stava nemmeno provando a chiedere soldi in prestito.

Era come quando nessuno si ricorda del tuo compleanno, solo peggio.

Sarebbe morto tutto solo, e non sarebbe importato a nessuno.

Aprì la porta con la ruota della sedia e cercò sul tavolino la scatola con l’acciarino e l’esca.

Un’altra cosa che non andava, quella. Oggigiorno nessuno usava più l’acciarino, compravano quei grossi fiammiferi gialli e puzzolenti fatti dagli Alchimisti. Windle disapprovava. Il fuoco era importante. Non si doveva poterlo accendere così, come se nulla fosse, senza un minimo di rispetto. Oggi la gente era così, sempre a correre in giro, e poi… il fuoco. Sì, ai vecchi tempi era anche molto più caldo. Il fuoco di oggi non ti scaldava a meno che non ti ci sdraiavi sopra. C’era qualcosa nella legna… era la legna sbagliata. Oggigiorno tutto era sbagliato. Più sottile, più sfocato. Niente sembrava vero. E i giorni erano più corti. Mmm. Qualcosa era andato storto con i giorni. Erano più corti. Mmm. Ogni giornata durava una vita, il che era strano, visto che i giorni, al plurale, correvano via in un fuggi fuggi generale. Non c’erano molte cose da fare per un mago di centotrenta anni, e Windle aveva preso l’abitudine di arrivare in sala da pranzo due ore prima di ogni pasto, per passare il tempo.

Giornate senza fine, che si rincorrevano veloci. Non aveva senso. Mmm. Bada bene, nemmeno il senso era più quello di una volta.

E ora a dirigere l’Università chiamavano dei ragazzini. Ai vecchi tempi c’erano maghi veri, omoni grossi come rimorchiatori, il tipo di mago che potevi guardare con rispetto.

Poi all’improvviso erano spariti tutti e Windle si era ritrovato a sentire prediche da ragazzini che avevano ancora i loro denti in bocca. Come quel Ridcully. Windle se lo ricordava bene. Un magrolino, con le orecchie a sventola e il naso che colava, e che chiamava la mamma la prima sera nel dormitorio. Sempre pronto a fare danni. Qualcuno aveva provato a dire a Windle che ora Ridcully era Arcicancelliere. Mmm. Dovevano pensare che era diventato scemo.

Ma dov’era quel maledetto acciarino? Le dita… anche quelle erano un’altra cosa, una volta…

Qualcuno tolse la copertura a una lanterna. Qualcun altro gli mise un bicchiere nella mano tesa.

«Sorpresa!»

Nell’atrio della casa di Morte c’è un orologio con il pendolo simile a una lama ma senza lancette, perché nella casa di Morte non c’era altro che il presente (ovviamente c’era un presente prima di adesso, ma era sempre un presente, solo più vecchio).

Il pendolo è una lama che avrebbe fatto venire a Edgar Allan Poe la voglia di mollare tutto e ricominciare come cabarettista per veglioni di capodanno. Ondeggia con un leggero spostamento d’aria, affettando dolcemente sottili strisce di intervallo dalla pancetta dell’eternità.

Morte superò l’orologio ed entrò nella cupa penombra del suo studio. Albert, il domestico, lo aspettava con asciugamano e piumino.

«Buongiorno, signore».

Morte sedette silenziosamente nella grande poltrona. Albert gli avvolse le spalle spigolose con l’asciugamano.

«Un’altra bella giornata, oggi» disse in tono casuale.

Morte non disse nulla.

Albert spiegò il panno per lucidare e tirò indietro il cappuccio di Morte.

ALBERT.

«Signore?»

Morte tirò fuori il piccolo segnatempo d’oro.

VEDI QUESTO?

«Sì, signore. È molto grazioso. Non ne ho mai visti di simili prima. Di chi è?»

MIO.

Albert guardò con la coda dell’occhio la scrivania di Morte. Su un angolo c’era una grande clessidra in una cornice nera. Non conteneva sabbia «Credevo che quella fosse la sua, signore».

LO ERA. ORA INVECE È QUESTA. REGALO DI PENSIONAMENTO DI AZRAEL IN PERSONA.

Albert sbirciò l’oggetto che Morte aveva in mano.

«Ma… la sabbia, signore. Sta scorrendo».

DIREI DI SÌ.

«Ma questo vuol dire… Cioè…?»

VUOL DIRE CHE UN GIORNO LA SABBIA SCORRERÀ DEL TUTTO, ALBERT.

«Lo so, signore, ma… lei… credevo che il Tempo fosse una cosa che riguardava gli altri, signore. Giusto? Comunque non lei, signore». Il tono di Albert si fece supplichevole.

Morte si tolse l’asciugamano e si alzò.

VIENI CON ME.

«Ma lei è Morte, signore» disse Albert, correndo di traverso dietro all’alta figura che si dirigeva attraverso l’atrio verso il corridoio che portava alla stalla. «Non è uno scherzo, vero?» chiese in tono speranzoso.

NON SONO FAMOSO PER IL MIO SENSO DELL’UMORISMO.

«Naturalmente no, senza offesa. Ma vede, lei non può morire, lei è Morte, dovrebbe capitare a se stesso, come un serpente che si mangi la coda…»

CIONONDIMENO, MORIRÒ. NON C’È POSSIBILITÀ DI APPELLO.

«Ma che ne sarà di me?» disse Albert. Il terrore balenò sulle sue parole come schegge di metallo sul filo di una lama.

CI SARÀ UN’ALTRA MORTE.

Albert drizzò la schiena.

«Non credo proprio di poter servire un nuovo padrone» disse.

ALLORA RITORNA NEL MONDO. TI DARÒ DEL DENARO. SEI STATO UN BUON SERVITORE, ALBERT.

«Ma se torno…»

SÌ, disse Morte. MORIRAI.

Nella calda penombra equina della stalla, il pallido cavallo di Morte alzò la testa dall’avena ed emise un piccolo nitrito di saluto. Il suo nome era Binky. Era un cavallo vero. Morte aveva provato focosi destrieri e cavalli scheletrici in passato, e li aveva trovati poco pratici, soprattutto i focosi, che tendevano a incendiare il proprio giaciglio e poi a restarsene lì con aria imbarazzata.

Morte prese la sella dal gancio e poi lanciò un’occhiata ad Albert, che stava attraversando una crisi di coscienza.

Migliaia di anni prima, Albert aveva scelto di servire Morte, invece di morire. Non era esattamente immortale. Il tempo reale era proibito nel regno di Morte. C’era solo il presente in continua mutazione, ma era tanto che andava avanti. Gli erano rimasti meno di due mesi di tempo reale; Albert accumulava i suoi giorni come lingotti d’oro.

«Io, ehm…» cominciò. «Cioè…»

PAURA DI MORIRE?

«Non è che non voglia… Cioè, ho sempre… è solo che la vita è un’abitudine dura a morire…»

Morte lo guardò con curiosità, come si potrebbe guardare uno scarafaggio rovesciato sul dorso che non riesce a rigirarsi.

Alla fine Albert ricadde nel silenzio.

CAPISCO, disse Morte sganciando le briglie di Binky.

«Ma non sembra preoccupato! Davvero morirà?»

SÌ. SARÀ UNA GRANDE AVVENTURA.

«Sul serio? E non ha paura?»

NON SONO CAPACE DI AVERE PAURA.

«Posso farle vedere come si fa, se vuole» azzardò Albert.

NO. VORREI IMPARARE DA SOLO. FINALMENTE FARÒ DELLE ESPERIENZE.

«Signore, se lei se ne va, ci sarà…?»

UN’ALTRA MORTE NASCERÀ DALLE MENTI DEI VIVI, ALBERT.