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«Si sta accumulando».

«Ma che significa?»

«Che ce n’è di più di quella che dovrebbe esserci. C’è…» agitò le mani in un gesto vago. «Come si dice quando le cose stanno su una bilancia a piatti ma non alla stessa altezza…»

«Squilibrio?»

La signora Torta, che sembrava stesse leggendo una scritta lontana, annuì.

«Una di quelle cose, sì… a volte capita, ma poco, e così escono i fantasmi, perché la vita non è più nel corpo ma non se n’è andata… capita meno d’inverno, perché scorre via, e ritorna in primavera… e certe cose la fanno concentrare…»

Modo, il giardiniere dell’Università, canticchiava a bocca chiusa spingendo lo strano carrello nel suo piccolo spazio privato tra la Biblioteca e l’Edificio di Magia ad Alta Energia,[12] con un carico di erbacce pronte per il compost.

Sembrava esserci un sacco di agitazione. Era proprio interessante, lavorare con quei maghi.

Lavoro di squadra, ecco cos’era. Loro si curavano dell’equilibrio cosmico, delle armonie universali e del bilanciamento delle dimensioni, e lui badava che gli afidi stessero lontani dalle rose.

Sentì un tintinnio. Sbirciò oltre il mucchio di erbacce.

«Un altro?»

Sul vialetto c’era un altro cesto di lucido fil di ferro su rotelle.

Forse gliel’avevano comprato i maghi? Il primo era stato utile, anche se un po’ difficile da manovrare; le rotelle sembravano voler andare ognuna per i fatti suoi. Probabilmente c’era un trucco.

Be’, questo sarebbe stato utile per portare le sementi. Spinse da parte il secondo carrello e alle sue spalle sentì un suono che, se avesse dovuto scriverlo, e se avesse saputo scrivere, sarebbe stato così: glop.

Si voltò, vide il mucchio del compost più grosso che pulsava nel buio e disse: «Guarda cosa ti ho portato per il tè!»

E poi si accorse che si stava muovendo.

«Anche certi posti…» disse la signora Torta.

«Ma perché si accumula?» chiese Windle.

«È come un temporale, capisce? Sa com’è quella sensazione di formicolio prima di una tempesta? È quello che sta succedendo».

«Sì, ma perché, signora Torta?»

«Ecco… Un-Secchio dice che non sta morendo nulla».

«Cosa?»

«Che follia, eh? Dice che un sacco di vite stanno finendo, ma non vanno via. Rimangono qui».

«Come i fantasmi?»

«Non proprio fantasmi. Come… pozzanghere. Se ci sono molte pozzanghere, è come il mare. E comunque i fantasmi sono solo delle persone. Fantasmi di cavolfiori non ce ne sono».

Windle Poons si appoggiò allo schienale. Immaginò un grande bacino di vita, un lago alimentato da un milione di affluenti dalla vita breve che arrivano alla fine del loro corso. E la forza vitale stava traboccando, man mano che la pressione aumentava. E colava da ogni dove.

«Crede che potrei scambiare una parola con Un-» cominciò, e s’interruppe.

Si alzò e barcollò verso la mensola sul caminetto.

«Da quanto tempo ha questo, signora Torta?» domandò, prendendo un piccolo oggetto familiare di vetro.

«Quello? L’ho comprato ieri. Carino, no?»

Windle agitò la sfera. Era quasi identica a quelle sotto le assi del suo pavimento. I fiocchi di neve turbinarono e si posarono sulla riproduzione perfetta dell’Università Invisibile.

Gli faceva ricordare tanto qualcosa. Be’, ovviamente l’edificio gli ricordava l’Università, ma la forma dell’oggetto aveva qualcosa che gli faceva pensare a…

… alla colazione?

«Perché sta succedendo?» chiese, più a se stesso. «Questi maledetti cosi spuntano dappertutto».

I maghi correvano per il corridoio.

«Come si uccidono i fantasmi?»

«Che ne so? Di solito il problema non si pone!»

«Con la disinfestazione spiritica, mi sa».

«Sarebbe? Li spruzzi con il brandy?»

Il Decano l’aveva previsto. «No, Arcicancelliere. Credo che sia una specie di esorcismo».

«Voglio sperare. Non spreco brandy per dei fantasmi».

Ci fu un urlo agghiacciante. Riecheggiò fra le colonne e le arcate, e s’interruppe all’improvviso.

L’Arcicancelliere si fermò di botto. I maghi lo tamponarono a catena.

«Sembrava un urlo agghiacciante» disse lui. «Seguitemi!»

Girò l’angolo di corsa.

Ci fu un fragore metallico, e parecchie imprecazioni.

Qualcosa di piccolo, a righe rosse e gialle, con piccole zanne sbavanti e tre paia di ali, girò l’angolo in volo e sfrecciò sopra la testa del Decano con un suono simile a una sega circolare in miniatura.

«Qualcuno sa cos’era?» chiese il Tesoriere con voce flebile. La cosa orbitò attorno ai maghi e poi svanì nell’oscurità del soffitto. «E vorrei che non imprecare così tanto».

«Forza» rispose il Decano. «Andiamo a vedere cosa gli è capitato».

«Dobbiamo per forza?» chiese il Sommo Algebrico.

Sbirciarono dietro l’angolo. L’Arcicancelliere era seduto a terra e si massaggiava la caviglia.

«Chi è l’idiota che l’ha lasciato qui?»

«Lasciato cosa?» domandò il Decano.

«Questa specie di cestino di ferro a rotelle del cavolo» disse l’Arcicancelliere. Accanto a lui, una minuscola creatura viola simile a un ragno si materializzò dal nulla e schizzò verso una crepa. I maghi non la notarono.

«Quale cestino a rotelle?» chiesero all’unisono.

Ridcully si guardò intorno.

«Avrei giurato…» cominciò.

Ci fu un altro urlo.

Ridcully si rimise faticosamente in piedi.

«Andiamo, miei prodi!» esclamò, zoppicando eroicamente avanti.

«Ma perché tutti corrono sempre verso le urla agghiaccianti?» borbottò il Sommo Algebrico. «È contro ogni logica».

Trotterellarono fra i chiostri e uscirono in cortile.

Una sagoma arrotondata e scura era piazzata al centro dell’antico prato. Emetteva vapore in piccoli sbuffi sgradevoli.

«Che cos’è?»

«Non può essere un mucchio di compost in mezzo al prato, no?»

«Modo si arrabbierà molto».

Il Decano guardò meglio. «Ehm… sì, specialmente perché credo che quelli che spuntano sotto siano i suoi piedi…»

Il mucchio si girò verso i maghi e fece glop, glop.

Poi si mosse.

«Allora» disse Ridcully fregandosi le mani, speranzoso, «chi di voialtri ha un incantesimo a portata di mano?»

I maghi si toccarono le tasche, a disagio.

«Allora io cerco di attirare la sua attenzione mentre il Tesoriere e il Decano tentano di tirar fuori Modo» disse Ridcully.

«Oh, bene» ribatté flebile il Decano.

«Come si fa ad attirare l’attenzione di un mucchio di compost?» chiese il Sommo Algebrico. «Non so nemmeno se ce l’ha, un’attenzione».

Ridcully si tolse il cappello e avanzò, esitante.

«Mucchio di schifezze!» urlò.

Il Sommo Algebrico gemette e si coprì gli occhi con le mani.

Ridcully agitò il cappello davanti al mucchio. «Spazzatura biodegradabile!»

«Rifiuto verde marcio?» propose il professore di Rune Recenti.

«L’idea è quella» disse l’Arcicancelliere. «Cercare di far arrabbiare il bastardo» (alle sue spalle, una creatura vespiforme e infuriata di una varietà leggermente diversa apparve e ronzò via).

Il mucchio si scagliò verso il cappello.

«Letamaio!» esclamò Ridcully.

«Ehi, ma dico» protestò il professore di Rune Recenti, scioccato.

Il Decano e il Tesoriere strisciarono in avanti, afferrarono ciascuno un piede del giardiniere e tirarono. Modo scivolò fuori dal mucchio.

«Gli ha mangiato i vestiti?» domandò il Decano.

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12

L’unico edificio del campus ad avere meno di mille anni di vita. I maghi anziani non si sono mai dati molta pena di sapere cosa fanno i loro colleghi più giovani, magri e occhialuti lì dentro, trattando le loro continue richieste di fondi per acceleratori di particelle taumiche e schermi antiradiazioni come pretese di aumento della paghetta, e ascoltando divertiti i loro concitati resoconti sulla ricerca delle particelle elementari della magia. Questo un giorno potrebbe rivelarsi un clamoroso errore da parte dei maghi anziani, specialmente se permettono ai giovani di costruire quello che cavolo dicono di voler costruire nel campo da squash.

I maghi anziani sanno che il giusto uso della magia è quello di formare una piramide sociale in cui i maghi sono al vertice e consumano grandi cene, ma in effetti l’edificio della MAE ha contribuito a fornire uno dei cibi più rari dell’universo, l’antipasta. La pasta normale si prepara prima di mangiarla; l’antipasta diverse ore dopo, per cui esiste all’indietro nel tempo, e se preparata nel modo giusto arriva sulle papille gustative esattamente allo stesso momento, creando così un’esplosione di gusto. Costa cinquemila dollari a forchettata; un po’ di più se si aggiunge il costo della pulizia dei muri dalla salsa di pomodoro.