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«Sa, avrei preferito che non l’avesse detto» sospirò il professore di Rune Recenti.

«Era solo un pensiero» liquidò Ridcully. «Avanti, diamo un’occhiata a quegli altri mucchi».

«Sì!» esclamò il Decano in preda a un attacco di machismo poco magico. «Siamo cattivi! Sì! Siamo cattivi?»

L’Arcicancelliere inarcò le sopracciglia, poi si rivolse agli altri maghi.

«Siamo cattivi?» chiese.

«Ehm. Io mi sento ragionevolmente cattivo» rispose il professore di Rune Recenti.

«Io sono decisamente molto cattivo, direi» disse il Tesoriere. «È il fatto di non avere stivali».

«Io sono cattivo se lo sono anche gli altri» disse il Sommo Algebrico.

L’Arcicancelliere si voltò di nuovo verso il Decano.

«Sì, pare che siamo tutti cattivi».

«Yo!» fece il Decano.

«Lei cosa?» chiese Ridcully.

«No, non io, ‘yo’» rispose il Sommo Algebrico. «È un tipico saluto da strada, pieno di sottolineature cameratesche e conviviali tipiche dei gruppi maschili».

«Che? Tipo ‘ehilà, vecchio’?» chiese Ridcully.

«Immagino di sì» ammise riluttante il Sommo Algebrico.

Ridcully era compiaciuto. Ankh-Morpork non aveva mai offerto grandi prospettive per un cacciatore. Non aveva mai pensato di potersi divertire tanto nella sua Università.

«Bene» disse. «Ammucchiamo quei mucchi!»

«Yo!»

«Yo!»

«Yo!»

«Yo-yo».

Ridcully sospirò. «Tesoriere?»

«Sì, Arcicancelliere?»

«Lei almeno ci provi, eh?»

Le nubi si addensavano sulle montagne. Bill Porta fece su e giù per il primo campo, usando una delle falci della fattoria; la più affilata era stata temporaneamente conservata in fondo al fienile, per evitare che lo spostamento d’aria la smussasse. Alcuni dei fittavoli della signorina Flitworth lo seguivano, legando i covoni e accatastandoli. La signorina Flitworth non aveva mai assunto più di un uomo a tempo pieno, e assumeva altri aiutanti quand’era necessario, per risparmiare.

«Non ho mai visto nessuno tagliare il grano con la falce fienaia prima» disse uno di loro. «È un lavoro da falcetto».

Si fermarono per il pranzo, e mangiarono sotto il recinto.

Bill Porta non aveva mai prestato molta attenzione ai nomi e alle facce della gente, non più di quanto fosse necessario al suo lavoro. Il grano si estendeva sul fianco della collina; era fatto di singoli steli, e agli occhi di ogni stelo il vicino poteva sembrare uno stelo dalle grandi qualità, con decine di caratteristiche divertenti e particolari che lo rendevano diverso da tutti gli altri steli. Ma per il mietitore, tutti gli steli sono… steli.

Ora incominciava a riconoscere quelle piccole differenze.

C’erano William Zipolo, Garrulo Wheels e Duca Bottomley. lutti anziani, per quanto poteva giudicare Bill Porta, con la pelle simile a cuoio. In paese c’erano anche dei giovani, uomini e donne, ma dopo una certa età sembravano diventare direttamente vecchi, senza passare attraverso fasi intermedie. E poi restavano vecchi molto a lungo. La signorina Flitworth aveva detto che prima di poter costruire un cimitero da quelle parti avevano dovuto picchiare qualcuno in testa con un badile.

William Zipolo era quello che cantava mentre lavorava, attaccando la lunga nenia nasale che indica che si sta per straziare un canto popolare. Garrulo Wheels non diceva mai nulla; Zipolo sosteneva che era per questo che lo chiamavano Garrulo. Bill Porta non aveva capito la logica dell’affermazione, anche se agli altri sembrava evidente. E Duca Bottomley era stato chiamato così dai genitori in base a un’idea gerarchica anche se semplicistica della struttura di classe: i suoi fratelli si chiamavano Cavaliere, Conte e Re.

Ora sedevano tutti in fila sotto la siepe, rimandando il momento di rimettersi al lavoro. Dalla fine della fila venne un lungo glu-glu.

«Non è una brutta estate» disse Zipolo. «E tanto per cambiare si può mietere con il bel tempo».

«Ah… non bisogna parlare troppo presto» disse Duca. «Ieri sera ho visto un ragno che faceva la tela all’indietro. Segno sicuro di una tempesta in arrivo».

«Non capisco come fanno i ragni a sapere certe cose».

Garrulo Wheels passò a Bill Porta un grosso boccale di terracotta. Qualcosa fece splash.

COS’È QUESTO?

«Succo di mela» rispose Zipolo. Gli altri risero.

AH, disse Bill Porta. DISTILLATO AD ALTA GRADAZIONE ALCOLICA DATO PER GIOCO AL NUOVO ARRIVATO IGNARO, PERCHÉ SIA FONTE DI SEMPLICE DIVERTIMENTO QUANDO SI INEBRIA SENZA RENDERSENE CONTO.

«Miseriaccia» fece Zipolo. Bill Porta bevve un lungo sorso.

«Poi ho visto le rondini che volavano basso» disse ancora Duca. «E le pernici stanno andando nei boschi. E in giro ci sono un sacco di lumaconi. E…»

«Secondo me nessuna di quelle bestiacce ne sa un cavolo, di meteorologia» disse Zipolo. «Secondo me sei tu che glielo dici. Eh, ragazzi? Arriva una tempesta, signor Ragno, fai qualcosa di folcloristico».

Bill Porta bevve ancora.

COME SI CHIAMA IL FABBRO DEL VILLAGGIO?

Zipolo annuì. «Ned Simnel. Ovviamente ora è molto occupato, con il raccolto e tutto il resto».

HO DEL LAVORO PER LUI.

Bill Porta si alzò e si avviò a grandi passi verso il cancello.

«Bill?»

Si fermò. SÌ?

«Il brandy lo puoi lasciare, allora».

L’officina del fabbro era buia e soffocante. Ma Bill Porta aveva un’ottima vista.

Qualcosa si muoveva in mezzo a un complicato mucchio di metallo. Risultò essere la metà inferiore di un uomo. La parte superiore era da qualche parte all’interno del macchinario, dal quale ogni tanto veniva un grugnito.

Quando Bill Porta si avvicinò, spuntò fuori una mano.

«Bene. Dammi un grippolo a tre ottavi».

Bill Porta si guardò intorno. C’era una gran quantità di attrezzi. «Forza, forza» disse una voce da qualche parte dentro la macchina.

Bill Porta scelse un pezzo di metallo sagomato a caso e lo posò sulla mano. La mano fu ritirata. Ci fu un rumore metallico e un grugnito.

«Ho detto un grippolo. Questo non è un…» si udì il suono stridente di un pezzo di metallo che cedeva «Il mio pollice, porca miseria, mi hai fatto…» altro rumore. «Ahiaaa. La mia testa. Guarda cosa mi hai fatto fare. Ti rendi conto che il cricchetto si è di nuovo staccato dall’armatura del perno di articolazione?»

NO. MI DISPIACE.

«Sei tu, Egbert, ragazzo?»

NO. SONO IO, IL VECCHIO BILL PORTA.

Ci fu una serie di tonfi e di rumori metallici mentre la metà superiore dell’essere umano si districava dalla macchina, e si rivelò come appartenente a un giovanotto con capelli neri e ricci, la faccia nera, la camicia nera e il grembiule nero. Si passò uno straccio sul viso, lasciando libera una chiazza rosa, e batté le palpebre per asciugare il sudore dagli occhi.

«Lei chi è?»

IL VECCHIO BILL PORTA LAVORO PER LA SIGNORINA FLITWORTH.

«Ah, sì. L’uomo nel fuoco. È l’eroe del giorno, ho sentito. Dia qua».

CHIEDO SCUSA NON SO ANCORA CHE COSA SIA UN GRIPPOLO A TRE OTTAVI.

«Volevo dire qua la mano, signor Porta».

Bill Porta esitò, poi strinse la mano del giovanotto. Gli occhi cerchiati di grasso si velarono per un momento, in cui la mente prevalse sul senso del tatto, e poi il fabbro sorrise.

«Io mi chiamo Simnel. Che ne pensa, eh?»

È UN BEL NOME.

«No, volevo dire della macchina. Ingegnosa, eh?»

Bill Porta la guardò educatamente senza capire. A prima vista assomigliava a un mulino portatile che fosse stato aggredito da un enorme insetto, e a una seconda occhiata somigliava a una camera di tortura itinerante per un’Inquisizione che avesse voglia di prendere un po’ d’aria fresca. Misteriosi bracci articolati spuntavano a varie angolazioni. C’erano cinghie e lunghe molle. Tutto l’insieme era montato su ruote dentate di metallo.