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Il Decano sollevò il bastone. L’Arcicancelliere lo afferrò.

«Potrebbe colpire il Tesoriere» disse.

«Una pallina di fuoco piccola piccola?»

«Lo so, è una tentazione, ma no. Avanti. Inseguiamolo».

«Yo!»

«Se le fa piacere».

I maghi si lanciarono all’inseguimento. Dietro di loro, non visto, un intero stormo delle imprecazioni dell’Arcicancelliere svolazzava ronzando. E Windle Poons guidava una piccola delegazione verso la Biblioteca.

Il Bibliotecario dell’Università Invisibile si avviò veloce sulle nocche verso la porta, scossa da colpi poderosi.

«So che è lì» disse la voce di Windle Poons. «Deve farci entrare. È di importanza vitale».

«Oook».

«Non vuole aprire?»

«Oook».

«Allora non mi lascia altra scelta…»

Antichi pezzi di muratura si spostarono lentamente. La calce si sbriciolò. Poi parte del muro crollò, lasciando un buco a forma di Windle Poons. Lui tossì per la polvere.

«Odio dover fare queste cose. Non posso fare a meno di pensare che alimentino il pregiudizio comune».

Il Bibliotecario atterrò sulle sue spalle. Con grande sorpresa dell’orango, non successe quasi nulla. Un primate di oltre centocinquanta chili di solito aveva un effetto notevole sull’andatura di una persona, ma Windle lo indossò come un colletto di pelliccia.

«Credo che ci serva la storia antica» disse. «Non è che per caso potrebbe smettere di svitarmi la testa?»

Il Bibliotecario si guardò attorno, sconcertato. Di solito era una tecnica infallibile.

Poi le sue narici fremettero.

Il Bibliotecario non era sempre stato un primate. Una biblioteca magica è un posto di lavoro pericoloso, e lui era stato trasformato in orango in seguito a un’esplosione magica. Da umano era stato piuttosto inoffensivo, anche se ormai gli altri si erano talmente abituati alla sua nuova forma che pochi se ne ricordavano. Ma insieme al cambiamento aveva acquisito anche la chiave per tutta una serie di sensi e ricordi di specie. E uno dei più profondi e cruciali, dei più innati, riguardava le forme. Tornava indietro all’alba della sapienza. Le forme con musi, denti e quattro zampe erano decisamente catalogate, nella mente scimmiesca in evoluzione, sotto la voce Brutte Notizie.

Un lupo molto grosso era entrato dal buco nella parete, seguito da una bella ragazza. Il ricevitore di segnali del Bibliotecario andò temporaneamente in tilt.

«Oltretutto» disse Windle, «è possibile che io le annodi le braccia dietro la schiena».

«Eeek!»

«Non è un lupo qualsiasi. Mi creda, è meglio».

«Oook?»

Windle abbassò la voce. «E lei potrebbe non essere tecnicamente una donna» aggiunse.

Il Bibliotecario guardò Ludmilla. Le narici fremettero di nuovo, e aggrottò la fronte.

«Oook?»

«D’accordo, mi sono espresso male. Mi lasci andare, faccia il bravo».

Il Bibliotecario mollò molto cautamente la presa e scese a terra, tenendo Windle fra sé e Lupine.

Windle si spolverò i frammenti di calce dalla veste.

«Dobbiamo trovare informazioni» disse, «sulla vita delle città. In particolare, ho bisogno di sapere…»

Si udì un debole tintinnio.

Un cesto di fil di ferro girò con nonchalance l’angolo di un massiccio scaffale vicino. Era pieno di libri. Si fermò quando si rese conto di essere stato visto e fece sembrare di non essersi mai mosso.

«Lo stadio mobile» sussurrò Windle Poons.

Il cesto di ferro cercò di indietreggiare a poco a poco senza farsene accorgere. Lupine ringhiò.

«È quello di cui parlava Un-Secchio?» disse Ludmilla. Il carrello scomparve. Il Bibliotecario grugnì e lo inseguì.

«Oh, sì. Una cosa che potrebbe rendersi utile» disse Windle, all’improvviso di un buonumore quasi isterico. «È così che funziona. Prima, una cosa che ti va di tenere, e che metti via da qualche parte. A migliaia non troveranno le condizioni giuste, ma non importa, perché appunto, saranno migliaia. E poi lo stadio successivo è una cosa utile, che arriva ovunque, e nessuno penserebbe mai che ci è arrivata da sola. Ma sta succedendo tutto al momento sbagliato!»

«Ma com’è possibile che una città sia viva? È fatta solo di cose morte!» disse Ludmilla.

«Anche le persone. Credimi, lo so. Ma credo che lei abbia ragione. Questo non dovrebbe succedere. È tutta questa forza vitale in eccesso. Sta… rompendo l’equilibrio. Sta trasformando in realtà qualcosa che reale non è. E succede troppo presto, e troppo in fretta…»

Il Bibliotecario strillò. Il carrello partì a razzo da un’altra fila di scaffali, con l’orango appeso risolutamente dietro con una mano, che sventolava come una bandiera molto grassa.

Il lupo scattò.

«Lupine!» gridò Windle.

Ma fin dal giorno in cui il primo uomo delle caverne fece rotolare una fetta di tronco giù da un pendio, i canidi hanno sempre sentito un forte impulso innato a inseguire tutto ciò che abbia delle ruote. Lupine già tentava di mordere il carrello.

Le sue mandibole bloccarono una ruota. Ci fu un ululato, un urlo del Bibliotecario, e scimmione, lupo e cesto di ferro si ammucchiarono contro il muro.

«Oh, poverino! Guardalo!»

Ludmilla corse a inginocchiarsi accanto al lupo contuso.

«Guardi, gli è passato sopra le zampe!»

«Probabilmente ha anche perso un paio di denti» disse Windle. Aiutò il Bibliotecario a rialzarsi. C’era una luce sanguigna negli occhi del primate. Avevano cercato di rubare i suoi libri. Probabilmente era la miglior prova che un mago potesse desiderare del fatto che i carrelli non avevano cervello.

Si chinò e strappò via le rotelle.

«Olé» disse Windle.

«Oook?»

«No, il latte non c’entra» disse Windle.

Lupine si stava facendo accarezzare la testa, posata in grembo a Ludmilla. Aveva perso un dente, e il pelo era un disastro. Aprì un occhio e fissò Windle con uno sguardo giallo da cospiratore, mentre si faceva lisciare gli orecchi. Ecco un cane fortunato, pensò Windle, che approfitterà della sua fortuna, alzerà una zampa e mugolerà.

«Bene» disse Windle. «Ora, Bibliotecario… stava per aiutarci, se non sbaglio».

«Povero cane coraggioso» disse Ludmilla.

Lupine sollevò una zampa con aria patetica, e mugolò.

Oberato dalla figura urlante del Tesoriere, l’altro cestino di ferro non riuscì a raggiungere la velocità del suo defunto compagno. Aveva anche una ruota inutilizzabile. Sbandava spericolatamente da una parte all’altra e quasi si cappottò mentre usciva dal cancello procedendo di traverso.

«Lo vedo! Lo vedo benissimo!» gridò il Decano.

«No! Potrebbe colpire il Tesoriere!» urlò Ridcully. «Potrebbe danneggiare un bene dell’Università!»

Ma il Decano non riusciva a sentirlo, per via del rombo insolito del testosterone. Una palla di fuoco verde incandescente colpì il carrello sghembo. L’aria si riempì di rotelle volanti.

Ridcully respirò a fondo.

«Razza di stupido…!» gridò.

La parola che pronunciò non era familiare a quei maghi che non avevano avuto la sua stessa robusta educazione campagnola e non sapevano nulla delle sottigliezze della zootecnia. Ma si materializzò a pochi centimetri dalla sua faccia; era grassa, tonda, nera e lucente, con delle sopracciglia orribili. Gli fece una pernacchia e raggiunse in volo il piccolo sciame di imprecazioni.

«Che stracavolo era quello?»

Una cosa più piccola si materializzò vicino al suo orecchio.

Ridcully si afferrò il cappello.

«Maledizione!» Lo sciame aumentò di una unità. «Qualcosa mi ha punto!»