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Ned Simnel era molto soddisfatto del suo ragionamento. E in fondo Bill Porta non aveva chiesto le prove che la cosa fosse stata… ehm… uccisa.

Prese accuratamente la mira e usò la falce per tagliare l’estremità dell’incudine. Incredibile.

Acume assoluto.

Si arrese. Non era leale. Non si poteva chiedere a uno come lui di distruggere una cosa come quella. Era un’opera d’arte.

Meglio ancora. Era un’opera dell’ingegno.

Gettò la falce dietro una catasta di legname. Ci fu un breve squittio.

Comunque, non c’erano problemi. L’indomani mattina avrebbe restituito a Bill Porta il suo quarto di penny.

La Morte dei Ratti si materializzò dietro la catasta di legna nell’officina, e si avvicinò al triste mucchietto di pelo che era stato il topo finito sulla traiettoria della falce.

Il suo fantasma era lì vicino, e pareva ansioso. Non sembrò molto felice di vederla.

«Squitt?Squitt?»

SQUITT, spiegò la Morte dei Ratti.

«Squitt?»

SQUITT, confermò la Morte dei Ratti.

«[Baffi lisciati] [Naso arricciato]?»

La Morte dei Ratti scosse la testa.

SQUITT.

Il topo ci rimase malissimo. La Morte dei Ratti gli posò sulla spalla una zampa ossuta ma non del tutto priva di gentilezza.

SQUITT.

Il topo annuì tristemente. Aveva fatto una bella vita, nell’officina. Pulizie praticamente inesistenti, e Ned era forse il campione mondiale di paninisbocconcellati-lasciati-in-giro. Scrollò le spalle e seguì la piccola figura ammantata. Non che avesse scelta, del resto.

La gente si riversava nelle strade. La maggior parte inseguiva carrelli, e la maggior parte dei carrelli era piena di cose che la gente aveva pensato di trasportare comodamente in un carrello: legna, bambini, spesa.

E non procedevano più in modo elusivo, ma si muovevano alla cieca, tutti nella stessa direzione.

Si poteva fermare un carrello rovesciandolo, e le ruote continuavano a girare follemente a vuoto. I maghi videro un bel po’ di individui entusiasti che cercavano di sfasciarli, ma i carrelli erano praticamente indistruttibili: si piegavano ma non si spezzavano, e anche con una sola rotella rimasta tentavano eroicamente di continuare la corsa.

«Guardate quello!» disse l’Arcicancelliere. «C’è dentro il mio bucato! Che gli si stacchino tutte le ruote!»

Si fece strada fra la folla e incastrò il bastone tra le ruote del carrello, rovesciandolo.

«Non si può prendere bene la mira con tutti questi civili intorno» si lagnò il Decano.

«Ci sono centinaia di carrelli!» disse il professore di Rune Recenti. «Sono come i vermoli![14] Levati di torno, razza di… cesto!»

Colpì ripetutamente con il bastone un carrello importuno.

La marea dei cesti a rotelle stava fluendo fuori dalla città. Gli umani agitati desistettero gradualmente o caddero sotto le ruote barcollanti. Solo i maghi rimasero nel flusso, gridandosi l’un l’altro e attaccando lo sciame argentato con i bastoni. Non che la magia non funzionasse, al contrario. Un buon tiro trasformava un carrello in mille intricati puzzle di fil di ferro. Ma a che serviva? Un secondo dopo ne spuntavano altri due.

Attorno al Decano i carrelli finivano in coriandoli di metallo.

«Ci ha preso proprio gusto, eh?» disse il Sommo Algebrico, mentre insieme al Tesoriere metteva sottosopra l’ennesimo carrello.

«Dice un sacco di ‘Yo’, non c’è dubbio» rispose il Tesoriere.

Quanto al Decano, non ricordava di essere mai stato così contento. Per sessant’anni aveva obbedito alle regole autoimposte della stregoneria, e all’improvviso si stava divertendo un mondo. Non si era mai reso conto che, nel profondo, quello che voleva fare davvero era spiaccicare le cose.

Il fuoco saettava dalla punta del bastone. Manici e pezzi di fil di ferro, e ruote che giravano pateticamente tintinnavano intorno a lui. E la cosa più bella era che i bersagli non finivano mai. Una seconda ondata di carrelli, ammassati in uno spazio più stretto, stavano cercando di avanzare sopra quelli ancora in contatto con il terreno. Non funzionava, ma ci provava comunque. E ci provava disperatamente, perché una terza ondata stava già facendosi strada sopra le altre due, spaccando tutto. Però la parola ‘provare’ non è esatta, perché suggerisce una sorta di sforzo cosciente, una specie di possibilità che ci fosse anche uno stato in cui non provavano. Qualcosa, in quel movimento inesorabile, nel modo in cui sbattevano l’uno contro gli altri, suggeriva che i cesti di fil di ferro avevano tanta scelta quanto l’acqua ne ha di scorrere verso il basso.

«Yo!» gridò il Decano. La magia grezza si scontrò con il groviglio di metallo. Piovevano rotelle.

«Vai a mangiare taumaturgia calda, razza di…» cominciò il Decano.

«Non imprechi! Non imprechi!» gridò Ridcully al di sopra del frastuono. Cercò di scacciare una Porca Vacca che orbitava intorno al suo cappello. «Non si sa in cosa si può trasformare!»

«Che pizza!» gridò il Decano.

«Non va bene. Tanto varrebbe cercare di trattenere il mare» disse il Sommo Algebrico. «Voto per tornare all’Università e fare qualche incantesimo serio».

«Buona idea» disse Ridcully. Guardò la marea di fil di ferro che avanzava. «Qualche idea sul come?» chiese.

«Yo! Birbanti!» disse il Decano. Puntò ancora il bastone. Fece un suono triste, che a scriverlo verrebbe fuori pfffft. Una tenue scintilla cadde dalla punta e finì sul selciato.

Windle Poons chiuse di schianto un altro libro. Il Bibliotecario fece una smorfia.

«Niente! Vulcani, maremoti, ira di dio, maghi impiccioni… non voglio sapere come sono state uccise altre città, voglio sapere come sono finite…»

Il Bibliotecario posò sul tavolo di lettura un’altra pila di libri. Un altro vantaggio dell’essere morti, come Windle stava scoprendo, era l’abilità linguistica. Riusciva a vedere il senso di una parola senza conoscerne effettivamente il significato. Dopotutto essere morti non era come dormire. Era come svegliarsi.

Lanciò un’occhiata all’altro capo della Biblioteca, dove Lupine si stava facendo fasciare la zampa.

«Bibliotecario?» chiamò piano.

«Oook?»

«Lei che ha cambiato specie ai suoi tempi… cosa farebbe se, così tanto per dire, incontrasse una coppia che… ecco, poniamo che ci sia un lupo che si trasforma in lupo mannaro ogni luna piena, e una donna che nello stesso momento diventa una lupa mannara anche lei… insomma, giungono alla stessa conclusione da direzioni opposte. E si incontrano. Che cosa gli direbbe? Lascerebbe che se la sbrighino da soli?»

«Oook» disse all’istante il Bibliotecario.

«La tentazione è forte».

«Oook».

«Alla signora Torta non piacerà, però».

«Eeek oook».

«Ha ragione. Avrebbe potuto metterla in termini un po’ meno rudi, ma ha ragione. Tutti dobbiamo sbrigarcela da soli».

Sospirò e girò la pagina. Poi sbarrò gli occhi.

«La città di Khan Li» disse. «Mai sentita? Cos’è questo libro? Il Grimoire ‘Credici-o-No’ di Stripfetde. Dice qui… ‘piccoli carri… nessuno sapeva da dove venissero… di tale utilità che vennero assunti degli uomini per governarli e portarli in città… all’improvviso, una corsa selvaggia… gli umani li inseguirono ed ecco, oltre le mura c’era una nuova città, una città come di banchi di mercanti, verso cui i carretti correvano…’»

Voltò la pagina.

«Sembra che dica…»

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14

I vermoli sono piccoli roditori bianchi e neri che si trovano sulle Ramtop Mountains. Sono progenitori dei lemming, che come è noto si gettano dai dirupi e annegano nei laghi con regolarità. Lo facevano anche i vermoli. Il punto, tuttavia, è che gli animali morti non si riproducono, e nel corso dei millenni sempre più vermoli sono stati generati da quelli che, di fronte a un dirupo, squittiscono l’equivalente roditorio di Voi Siete Tutti Scemi. Ora i vermoli si calano giù dalle pareti rocciose in cordata, e costruiscono barchette per attraversare i laghi. Quando l’istinto li spinge verso il mare, si siedono per un po’ senza incrociare lo sguardo degli altri e poi vanno via presto per evitare l’ora di punta.