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Nessuno ti raccontava mai quelle cose quando cominciavi a fare il vampiro. Nessuno ti diceva mai di costruirti una cripta con materiale scadente preso da Chalky il Troll — Forniture Edili All’Ingrosso. Non era una cosa che capitava di solito ai vampiri, rifletté Arthur. Non ai vampiri veri. Per esempio il Conte Giugula. Un damerino come quello aveva qualcuno che lo faceva per lui. Quando i paesani arrivavano per bruciare il castello, non vedevi mai il Conte in persona che andava ad abbassare il ponte levatoio. Oh, no. Diceva solo: «Igor», per esempio, «Igor, cala il ponte».

Eh. Ormai erano mesi che aveva messo quell’annuncio all’ufficio di collocamento di Keeble. Alloggio, tre pasti al giorno, e gobba se necessario. Neanche una risposta. E si lamentavano pure della disoccupazione. Roba da mangiarsi il fegato.

Prese un altro pezzo di legno e lo misurò, spiegando il metro con una smorfia.

Gli faceva male la schiena per aver scavato il fossato. Altra cosa di cui i vampiri chic non dovevano preoccuparsi. Il fossato era compreso nel pacchetto. E girava tutto intorno, perché gli altri vampiri non avevano la strada davanti a casa, e la vecchia, lamentosa signora Pivey da un lato, e dall’altro una famiglia di troll con cui Doreen non parlava, e perciò non avevano un fossato lungo solo quanto il giardinetto sul retro. Arthur continuava a caderci dentro.

E poi c’erano i morsi sui colli delle ragazze. O meglio, non c’erano. Arthur era sempre pronto a vedere le cose dal punto di vista del suo prossimo, ma era sicuro che le ragazze col vampirismo c’entrassero, checché ne dicesse Doreen. Con indosso negligenti di tulle. Arthur non era sicuro di sapere cosa fosse un negligente di tulle, ma aveva letto qualcosa in proposito e sapeva di volerne vedere uno prima di morire…

E gli altri vampiri non si ritrovavano all’improvviso con le mogli che parlavano con le vu al posto delle erre. L’ovvio motivo era che i veri vampiri parlavano già così.

Arthur sospirò.

Non era vita, né semi-vita né non-vita o quel che era, essere un grossista di frutta e verdura di ceto medio-basso con una malattia da classe dirigente.

In quel momento la musica filtrò dal buco che aveva fatto nel muro per metterci la finestra con le sbarre.

«Ahi» disse, afferrandosi la mandibola. «Doreen?»

Reg Scarpa batté sul suo podio portatile.

«… E lasciate che ve lo dica, non ci sdraieremo ad aspettare che ci cresca l’erba fin sopra la testa» urlò. «Allora, qual è il vostro piano in sette punti per le Pari Opportunità con i vivi? Voglio sentire le vostre voci!»

Il vento soffiava tra l’erba secca del cimitero. L’unica creatura che apparentemente gli prestava attenzione era un corvo solitario.

Reg Scarpa scrollò le spalle e abbassò la voce. «Potreste almeno fare uno sforzo» disse all’altro mondo latitante. «Io sto qua a consumarmi fino alle ossa» piegò le mani per dimostrarlo, «e ricevo una parola di ringraziamento?»

Fece una pausa. Non si sapeva mai.

Il corvo, che era uno di quelli grossi e grassi che infestavano i tetti dell’Università, piegò la testa di lato e guardò pensierosamente Reg Scarpa.

«Sapete» disse Reg, «a volte mi viene proprio voglia di mollare…»

Il corvo si schiarì la voce.

Reg Scarpa si voltò.

«Una sola» disse. «Di’ una sola parola e…»

E poi sentì la musica.

Ludmilla si arrischiò a togliersi le mani dalle orecchie.

«È orribile! Ma cos’è, signor Poons?»

Windle cercò di calcarsi sulle orecchie ciò che restava del suo cappello.

«Non lo so» disse. «Potrebbe essere musica. Se non avessi mai sentito musica prima».

Non c’erano note. Erano rumori che potevano anche essere stati pensati come note, messi insieme come la mappa di un paese fatta da uno che non c’è mai stato.

Hnyip. Ynyip. Hwyomp.

«Viene da fuori città» disse Ludmilla. «Dove stanno andando… tutti… Ma non può piacergli, vero?»

«Non vedo proprio come» disse Windle.

«È che… si ricorda del problema dei ratti, l’anno scorso? L’uomo che diceva di avere un piffero che suonava musica che solo i ratti potevano sentire?»

«Sì, ma non era vero, era una truffa, si chiamava Maurice il Magnifico e i suoi Ratti Ammaestrati…»

«Ma se supponiamo che possa essere vero?»

Windle scosse la testa.

«Musica per attrarre gli umani? È qui che voleva arrivare? Ma non può essere. Noi, non ci sta attirando. Al contrario, glielo assicuro».

«Sì, ma lei non è… esattamente umano» disse Ludmilla. «E…» S’interruppe e arrossì.

Windle le batté sulla spalla.

«Molto giusto. Molto giusto» riuscì solo a commentare.

«Lei sa, non è vero?» disse lei, senza alzare lo sguardo.

«Sì. E non credo che ci sia nulla di cui vergognarsi, se le può essere d’aiuto».

«Mamma dice che sarebbe una tragedia se qualcuno lo scoprisse!»

«Dipende da chi lo scopre, direi» chiosò Windle, con un’occhiata a Lupine.

«Perché il suo cane mi fissa in quel modo?»

«È molto intelligente» disse Windle.

Si tastò la tasca, ne trasse un paio di manciate di terriccio e il suo diario. Venti giorni alla luna piena. Be’, era comunque qualcosa che valeva la pena di aspettare.

I frammenti metallici del mucchio cominciarono a crollare. I carrelli tutt’intorno e una folla di cittadini di Ankh-Morpork erano disposti in un ampio circolo, cercando di sbirciare all’interno. La musica non-musicale riempiva l’aria.

«C’è il signor Dibbler» disse Ludmilla, mentre si facevano strada fra la gente, senza incontrare resistenza.

«Che cosa vende stavolta?»

«Non credo che stia cercando di vendere niente, signor Poons».

«È così grave? Allora probabilmente siamo in un mare di guai».

Da uno dei buchi nel mucchio usciva una luce azzurra. Pezzi di carrello rotto cadevano tintinnando come foglie di metallo.

Windle si chinò rigidamente e raccolse un cappello a punta. Era malconcio ed era stato calpestato da un sacco di carrelli, ma era ancora riconoscibile come qualcosa che per diritto doveva stare in testa a qualcuno.

«Ci sono dei maghi là dentro» disse.

Una luce argentea si librò dal metallo. Scorreva come olio. Windle allungò una mano e una grossa scintilla atterrò sulle sue dita.

«Mmm» disse. «C’è anche un sacco di potenziale…»

Poi sentì il richiamo dei vampiri.

«Yu-huu, signor Poons!»

Si voltò. I Notfaroutoe lo guardavano dall’alto.

«Saremmo… voglio dive, savemmo avvivati pvima, ma…»

«… non riuscivo a trovare quel cavolo di fermacolletto» mormorò Arthur, rosso in viso e imbarazzato. Indossava una tuba pieghevole, che in quanto a pieghevolezza andava benissimo, ma era purtroppo carente sul versante tuba: sembrava che Arthur guardasse il mondo da sotto una fisarmonica.

«Oh, salve» disse Windle. C’era qualcosa di tremendamente affascinante della dedizione dei Winkings ai dettami del vampirismo.

«Chi savebbe la donzella?» chiese Doreen, guardando raggiante Ludmilla.

«Come?» disse Windle.

«Pvego?»

«Doreen… cioè, la Contessa ha chiesto chi è lei» spiegò stancamente Arthur.

«So che cosa ho detto» disse Doreen, in un tono più adeguato a una nata e cresciuta ad Ankh-Morpork piuttosto che in qualche recondita località della Transilvania. «Cioè, se lasciassi fare a te, non avremo un briciolo di…»