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E proprio in fondo eccola: una scatola più piccola. La tirò fuori e la rigirò fra le mani. Poi aprì il piccolo chiavistello e sollevò il coperchio.

Il carillon ronzò.

Il motivo non era particolarmente bello. Morte aveva ascoltato tutta la musica mai scritta, e quasi tutta era migliore di quel motivetto. Aveva un che di metallico, un elementare un-due-tre.

Nel carillon, sopra il meccanismo che ruotava, due ballerini di legno giravano su se stessi nella parodia di un valzer.

Morte li osservò finché non finì la corda. Poi lesse l’incisione.

Si trattava di un regalo.

Accanto a lui, la clessidra riversava i suoi granelli di sabbia nel bulbo inferiore. Lui la ignorò.

Caricò di nuovo il carillon. Due figure che piroettavano per sempre. E quando la musica finiva non dovevi fare altro che girare la chiavetta.

Quando la carica si esaurì di nuovo, rimase seduto in silenzio al buio, e prese una decisione.

Restavano solo pochi secondi. I secondi erano stati preziosi per Bill Porta, perché ne aveva un quantitativo limitato. Ma non significavano nulla per Morte, che non ne aveva mai avuti.

Lasciò la casa dormiente, montò in sella e partì al galoppo.

Il viaggio durò un istante; la luce stessa avrebbe impiegato trecento milioni di anni, ma Morte viaggia in quello spazio dove il tempo non ha significato. La luce crede di viaggiare più veloce di tutto, ma si sbaglia. Per quanto sia veloce, la luce scopre sempre che il buio è arrivato prima di lei, e l’aspetta.

Durante la cavalcata ebbe compagnia: galassie, stelle, nastri di materia luminosa, che scorrevano a spirale verso l’obiettivo finale.

Morte, sul suo cavallo pallido, correva sull’oscurità come una bolla su un fiume.

Ma ogni fiume arriva da qualche parte.

Sotto c’era una pianura. La distanza qui non aveva significato, come il tempo, tuttavia dava una sensazione di enormità. La pianura poteva essere distante un miglio, o un milione di miglia; era segnata da lunghe vallate, o ruscelli, che scorrevano via sui lati mentre lui si avvicinava.

Atterrò.

Smontò da cavallo e rimase fermo nel silenzio. Poi piegò un ginocchio a terra.

Cambio di prospettiva. Il paesaggio rugoso scivola via in distanze immense, si incurva ai margini, diviene la punta di un dito.

Azrael sollevò il dito verso un volto che riempiva il cielo, illuminato dalla luce fioca di galassie morenti.

Esistono un miliardo di Morti, ma sono tutti aspetti dell’unico Morte: Azrael, il Grande Seduttore, la morte degli universi, l’inizio e la fine del tempo.

La maggior parte dell’universo è fatta di materia oscura, e solo Azrael sa chi sia.

Occhi così grandi che una supernova sarebbe solo il semplice accenno di un riflesso sull’iride si voltarono lentamente e si concentrarono sulla minuscola figura nell’immensa pianura ondulata della punta del suo dito. Accanto ad Azrael il grande Orologio stava al centro dell’intera rete delle dimensioni, e ticchettava. Le stelle scintillavano negli occhi di Azrael.

La Morte di Mondo Disco si alzò.

SIGNORE, CHIEDO…

Tre servitori dell’oblio cominciarono a esistere accanto a lui.

Uno disse: Non ascoltare. È accusato di interferenza.

Uno disse: E morticidio.

Uno disse: E orgoglio. E di aver vissuto con l’intenzione di sopravvivere.

Uno disse: E di essersi schierato con il caos contro il buon ordine.

Azrael inarcò un sopracciglio.

I servitori si allontanarono da Morte, in attesa.

SIGNORE, NOI SAPPIAMO CHE NON C’È UN BUON ORDINE TRANNE QUELLO CHE NOI CREIAMO…

L’espressione di Azrael non cambiò.

NON C’È SPERANZA A PARTE NOI. NON C’È PIETÀ A PARTE NOI. NON C’È GIUSTIZIA CI SIAMO SOLO NOI.

La scura faccia triste riempiva il cielo.

TUTTO CIÒ CHE È, È NOSTRO. MA DOBBIAMO CURARCENE. PERCHÉ SE NON CE NE CURIAMO, NON ESISTIAMO. SE NON ESISTIAMO, NULLA ESISTE SE NON IL CIECO OBLIO.

E ANCHE L’OBLIO DEVE FINIRE UN GIORNO. SIGNORE, MI CONCEDERESTI UN PO’ DI TEMPO? PER IL GIUSTO EQUILIBRIO DELLE COSE. PER RESTITUIRE CIÒ CHE È STATO DATO. PER IL BENE DEI PRIGIONIERI E IL VOLO DEGLI UCCELLI.

Morte fece un passo indietro.

Era impossibile leggere un’espressione sulle fattezze di Azrael.

Morte lanciò un’occhiata di traverso ai servitori.

SIGNORE, IN COSA PUÒ SPERARE IL RACCOLTO SE NON NELLA CURA DEL MIETITORE?

Aspettò.

SIGNORE?, disse Morte.

Nel tempo che ci volle a rispondere, molte galassie si espansero, turbinarono attorno ad Azrael come festoni di carta, impattarono e sparirono.

Poi Azrael disse:

SÌ.

E un altro dito si allungò nell’oscurità fino all’Orologio.

Ci furono deboli grida di rabbia dei servitori, poi grida di comprensione, e poi le tre brevi fiammate azzurre.

Tutti gli altri orologi, compreso quello senza lancette di Morte, erano riflessi dell’Orologio. Esattamente il suo riflesso: dicevano l’ora esatta all’universo, ma l’Orologio diceva al Tempo che ora segnare. Era la sorgente stessa del tempo.

E il progetto dell’Orologio stabiliva che la lancetta più grande facesse un solo giro completo.

La seconda lancetta procedeva in un percorso circolare che perfino la luce avrebbe impiegato giorni ad attraversare, inseguita per sempre dai minuti, dalle ore, dai giorni, dei mesi, dagli anni, dai secoli e dalle ere. Ma la lancetta dell’universo faceva un solo giro.

Perlomeno finché qualcuno non girava la chiavetta.

E Morte tornò a casa con una manciata di tempo.

La campanella di un negozio suonò.

Druto Pole, fioraio, guardò al di sopra di un rametto di floribunda signora Shover. C’era qualcuno tra i vasi di fiori. Era una figura vagamente indistinta; in effetti, anche dopo, Druto non fu mai sicuro di chi fosse entrato nel suo negozio e che suono avessero avuto le sue parole.

Si fece avanti, mellifluo, fregandosi le mani.

«Come posso…»

FIORI.

Druto esitò un momento.

«E, ehm, il destinatario di questi…»

UNA SIGNORA.

«E ha qualche pref…»

GIGLI.

«Ah? Sicuro che i gigli…»

MI PIACCIONO I GIGLI.

«Ehm… è solo che i gigli sono un pochino malinconici…»

MI PIACE LA…

La figura esitò.

LEI COSA CONSIGLIA?

Druto ingranò dolcemente la quarta. «Le rose sono sempre molto bene accette» disse. «O anche le orchidee. Molti gentiluomini in questi giorni mi dicono che le signore accettano più volentieri una singola orchidea che un mazzo di rose…»

ME NE DIA IN QUANTITÀ.

«Di orchidee o di rose?»

ENTRAMBE.

Le dita di Druto si intrecciavano sinuose, come anguille nel grasso.

«E mi domandavo se potevano interessarle queste meravigliose fioriture di Nervousa Gloriosa…»

ME NE DIA MOLTISSIME.

«E se il signore potesse investire un po’ di più, posso suggerirle un singolo esemplare, estremamente raro…»

SÌ.

«E magari anche…»

SÌ. TUTTO. CON UN NASTRO.

Quando la campanella della porta suonò di nuovo e il cliente uscì, Druto guardò le monete che aveva in mano. Molte erano corrose, tutte erano strane, e una o due erano d’oro.

«Mmm. Queste vanno bene…»

Si accorse di un leggero picchiettare felpato.

Intorno a lui, in tutto il negozio, i petali cadevano come pioggia.

E QUESTI?

«Questo è il nostro assortimento DeLuxe» disse la signora del negozio di cioccolato. Era un locale talmente lussuoso che non vendeva dolci, ma confetteria, spesso sotto forma di singoli oggettini vezzosi in carta d’oro che facevano nei conti in banca buchi più grandi che nei denti.