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Il corpo di Windle Poons aprì gli occhi. Due monete caddero sul pavimento di pietra con un tintinnio.

Le mani, intrecciate sul petto, si distesero.

Windle sollevò la testa. Qualche idiota gli aveva messo un giglio sulla pancia.

Guardò di lato. C’erano due candele ai lati della sua visuale.

Sollevò ancora un poco la testa.

C’erano altre due candele ai piedi.

Grazie al cielo c’è stato il vecchio Teatar, pensò. Altrimenti starei già guardando l’interno di una cassa di legno da poco prezzo.

Buffo, pensò. Sto pensando. E chiaramente.

Uau.

Windle si distese, sentendo lo spirito scorrere nel corpo come metallo fuso in uno stampo. Pensieri incandescenti saettavano nel buio della sua mente, rimettendo in moto neuroni addormentati.

Non era così quand’ero vivo.

Ma non sono morto.

Non sono vivo e non sono morto.

Una specie di non-vivo.

O di non-morto.

Oh, cavolo…

Si alzò a sedere. Muscoli che non funzionavano a dovere da settanta o ottanta anni ingranarono la quarta. Per la prima volta in tutta la sua vita, anzi, si corresse, diciamo ‘periodo di esistenza’, il corpo di Windle Poons era completamente sotto il suo controllo. E lo spirito di Windle Poons non aveva nessuna intenzione di stare a discutere con un fascio di muscoli.

Ora il corpo si alzò in piedi. Le giunture delle ginocchia fecero un po’ di resistenza, ma non erano in grado di contrastare l’assalto della forza di volontà più di quanto una zanzara malata potesse resistere a una fiamma ossidrica.

La porta della cappella era chiusa a chiave. Tuttavia Windle scoprì che una semplice pressione era sufficiente a scalzare la serratura dal legno e a lasciare le impronte delle dita nel metallo della maniglia.

«Oh, cielo» disse.

Si diresse in corridoio. L’acciottolio lontano delle posate e il mormorio gli dissero che era in corso uno dei quattro pasti giornalieri dell’Università.

Si chiese se ai morti fosse permesso mangiare. Probabilmente no, pensò.

Ma poi, poteva mangiare? Non che non avesse fame, ma… ecco, sapeva come pensare, e muoversi e camminare era solo questione di tendere alcuni nervi in posizione ovvia, ma com’è che funzionava uno stomaco, esattamente?

Windle cominciò a rendersi conto che il corpo umano non è gestito dal cervello, malgrado ciò che ne pensa il cervello medesimo. In realtà è gestito da decine di complessi sistemi automatici, che ronzano e ticchettano con quel genere di precisione a cui non fai caso finché non si rompe.

Esaminò se stesso dalla sala controllo del cranio. Guardò la silenziosa industria chimica del fegato con lo stesso senso di smarrimento con cui un costruttore di canoe esamina i comandi computerizzati di una supercorazzata. I misteri dei reni attendevano l’autorevole controllo di Windle. Ma al dunque, che cos’era una milza? E come la facevi andare?

Provò una stretta al cuore.

O anche no.

«Oh, dei» mormorò Windle, appoggiandosi alla parete. E quello come funzionava, ora? Punzecchiò un paio di nervi possibili. Com’era… sistolico… diastolico… sistolico… diastolico…? E poi c’erano i polmoni…

Come un giocoliere che faceva girare diciotto piatti allo stesso momento, come un uomo che cerca di programmare un videoregistratore con un manuale di istruzioni tradotto dal giapponese in olandese da un pilatore di riso coreano, come un uomo che scopre cosa significa davvero l’autocontrollo, Windle Poons si incamminò barcollando.

I maghi dell’Università Invisibile davano grande importanza all’abbondanza dei pasti. Sostenevano che nessuno poteva affrontare seriamente la stregoneria senza zuppa, pesce, selvaggina, numerosi vassoi di carne, uno sformato o due, qualcosa di grosso e pieno di crema, piccole leccornie su pane tostato, frutta fresca e secca e una mentina formato mattone dopo il caffè. Dava il giusto rivestimento allo stomaco. Era anche importante che i pasti fossero serviti a intervalli regolari. Dava forma alla giornata, dicevano.

Tranne il Tesoriere, naturalmente. Non mangiava molto, viveva di nervi. Era convinto di essere anoressico, perché ogni volta che si guardava allo specchio vedeva un ciccione. Era l’Arcicancelliere, che gli stava alle spalle e gli gridava contro.

E la sorte volle che fosse proprio lui a sedere di fronte alla porta quando Windle Poons la sfondò, perché era più facile che cincischiare con le maniglie.

Il Tesoriere dette un morso al cucchiaio di legno.

I maghi si voltarono sulle panche e rimasero a occhi sbarrati.

Windle Poons ondeggiò un momento, recuperò il controllo di corde vocali, labbra e lingua, e poi disse: «Credo di poter metabolizzare l’alcol».

L’Arcicancelliere fu il primo a riprendersi.

«Windle!» disse. «Credevamo che fossi morto!»

Non era una gran battuta, doveva ammetterlo. Non mettevi un tizio su un tavolo di marmo con candele e gigli tutt’intorno perché pensavi che avesse un po’ di mal di testa e volesse farsi una mezz’oretta di sonno.

Windle fece qualche passo avanti. I maghi più vicini inciamparono l’uno addosso all’altro nel tentativo di allontanarsi.

«Sono morto, razza di scemo» mormorò. «Credi che me ne vada in giro normalmente così? Dio buono». Lanciò un’occhiataccia ai presenti. «Qualcuno qui sa come funziona una milza?»

Raggiunse il tavolo e riuscì a sedersi.

«Probabilmente ha a che fare con la digestione» disse. «È buffo, passi tutta la vita con quell’affare che ticchetta o gorgoglia o quello che è, e non sai mai a che accidenti serve. È come quando sei a letto e senti lo stomaco che fa gurgle-plop-plop. Per te è solo un gurgle-plop-plop, ma chissà quali processi chimici meravigliosamente complessi ci sono dietro…»

«Sei un non-morto?» chiese il Tesoriere, riuscendo alla fine a sputar fuori le parole.

«Non l’ho chiesto io» disse il defunto Windle Poons, guardando irritato il cibo. «Sono tornato solo perché non c’era un altro posto dove andare. Credi che voglia stare qui?»

«Ma sicuramente» disse l’Arcicancelliere, «non… Sai quel tizio, con il teschio e la falce…»

«Mai visto» tagliò corto Windle, esaminando i piatti più vicini. «Questa storia della non-morte ti manda al manicomio».

I maghi si facevano segni frenetici al di sopra della sua testa. Lui li guardò malissimo.

«E non pensate che non veda tutti quei segni frenetici» disse. Era incredibile, ma era così. Occhi che negli ultimi sessant’anni avevano visto attraverso un velo opaco ora erano costretti a funzionare come il più sofisticato dei meccanismi ottici.

In effetti erano due i filoni di pensiero principali che occupavano le menti dei maghi dell’Università Invisibile.

La maggior parte pensava: ‘Ma è terribile, è veramente il vecchio Windle, era tanto un bravo tipo, come ce ne liberiamo? Come ce ne liberiamo?

Ciò che pensava Windle Poons, tra i lampi e i ronzii della cabina di pilotaggio della sua mente, era: ‘Ecco, è vero. Questa è la vita dopo la morte. Ed è la stessa. La mia solita fortuna’.

«Allora» disse, «che avete intenzione di fare?»

Erano passati cinque minuti. Un gruppetto dei maghi più anziani si affrettava lungo il corridoio pieno di spifferi, al seguito dell’Arcicancelliere, la cui veste svolazzava alle sue spalle.

La conversazione era di questo tipo:

«Deve essere Windle! Parla perfino come lui!»

«Non è il vecchio Windle. Il vecchio Windle era molto più vecchio!»