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Qualcuno venne fuori.

Morte aggiustò la sella di Binky, e montò. Si fermò un momento a guardare le due figure accanto alla valanga. Erano quasi diventate invisibili, le loro voci poco più dense dell’aria.

«Ha detto soltanto: ‘DOVUNQUE ANDRETE, SARETE INSIEME’. Gli ho chiesto dove? Lui ha detto che non lo sapeva Cos’è successo?»

«Rufus… troverai tutto questo molto difficile da credere, amore mio…»

«E chi era quell’uomo mascherato?»

Si voltarono entrambi.

Non c’era nessuno.

In quel villaggio sulle Ramtop, dove sanno esattamente che cos’è la danza moresca, la eseguono solo una volta, all’alba, nel primo giorno di primavera. Poi non danzano più per tutta l’estate. Dopotutto che senso avrebbe? A cosa servirebbe?

Ma un certo giorno, quando le notti si accorciano, i danzatori staccano presto dal lavoro e tirano fuori dagli armadi e dalle soffitte l’altro costume, quello nero, e le altre campanelle. Vanno separatamente in una valle tra alberi privi di foglie. Non parlano. Non c’è musica. È molto difficile immaginare che tipo di musica dovrebbe essere.

Le campanelle non trillano. Sono fatte di octiron, un metallo magico. Ma non sono esattamente campane silenziose. Il silenzio è soltanto l’assenza di rumore. Quelle campanelle fanno l’opposto del rumore, una sorta di silenzio a trama fitta.

È nel freddo pomeriggio, mentre la luce sparisce dal cielo, tra le foglie gelate e l’aria umida, che eseguono l’altra danza moresca. Per l’equilibrio delle cose.

Dicono che bisogna danzarle tutte e due. Altrimenti non puoi danzarne nessuna.

Windle Poons arrivò al Ponte di Ottone. Era quell’ora nella giornata di Ankh-Morpork in cui il popolo della notte va a dormire e il popolo del giorno si sveglia. Per una volta, non c’erano in giro molti rappresentanti di nessuno dei due.

Windle aveva sentito l’impulso di essere lì, in quel luogo, a quell’ora di quella notte. Non era esattamente la sensazione che aveva avuto quando stava per morire. Era più come essere una ruota dentata dentro un orologio: le cose girano, le molle si scaricano, e quello è il tuo posto…

Si fermò e si sporse dal parapetto. L’acqua scura, o quantomeno il fango molto liquido, turbinava attorno ai piloni di pietra. C’era un’antica leggenda… com’è che diceva? ‘Se getti una monetina nell’Ankh dal Ponte di Ottone sei sicuro che ritornerai’? Oppure era: ‘Se vomiti dentro l’Ankh’? Probabilmente la prima. La maggior parte dei cittadini, se lasciava cadere una moneta nel fiume, avrebbe fatto in modo di tornare se non altro per cercarla.

Una figura emerse dalla nebbia. Windle s’irrigidì.

«Buongiorno, signor Poons».

Windle si rilassò.

«Oh, sergente Colon? Credevo che fosse qualcun altro».

«Sono solo io, eccellenza» disse allegramente la guardia. «Rispunto sempre fuori, come la gramigna».

«Vedo che il ponte ha superato un’altra nottata senza essere rubato, sergente. Ottimo lavoro».

«Lo dico sempre, non si è mai troppo vigili».

«Sono sicuro che noi cittadini possiamo dormire tranquilli nei nostri letti sapendo che nessuno può scappare durante la notte con un cinquemila tonnellate di ponte» disse Windle.

A differenza di Modo il nano, il sergente Colon conosceva il significato della parola ironia. Credeva che avesse a che fare con l’ira. Rivolse a Windle un sorriso rispettoso.

«Bisogna pensare alla svelta per stare al passo con i criminali internazionali di oggi, signor Poons» disse.

«Bravo ragazzo. Ehm… non ha visto nessun altro, in giro?»

«È tranquillo come una tomba stanotte» disse il sergente. Poi ci ripensò e aggiunse: «Senza offesa».

«Oh».

«Io vado, allora» disse il sergente.

«Bene, bene».

«Si sente bene, signor Poons?»

«Bene, bene».

«Non si butta di nuovo nel fiume?»

«No».

«Sicuro?»

«Sì».

«Oh, d’accordo. Buona notte, allora» poi esitò. «Un giorno mi dimentico anche la testa» disse. «Un tizio laggiù mi ha chiesto di darle questo». Gli porse una busta sporca.

Windle si sforzò di guardare nella nebbia.

«Che tizio?»

«Quello… oh, se n’è andato. Un tipo alto, un po’ strano».

Windle spiegò il pezzo di carta, su cui era scritto: ‘OOoooEeeeOoooEeeeOOOeee’.

«Ah» disse.

«Cattive notizie?» chiese il sergente.

«Dipende dai punti di vista» rispose Windle.

«Oh, capisco. Bene… buonanotte, allora».

«Addio».

Il sergente Colon esitò per un momento, poi scrollò le spalle e se ne andò.

Mentre si allontanava, la figura alle sue spalle si mosse e sorrise.

WINDLE POONS?

«Sì?»

Con la coda dell’occhio Windle vide delle braccia ossute appoggiarsi al parapetto. Ci fu il lieve rumore che si fa quando ci si mette comodi, e poi un silenzio riposante.

«Ah» disse Windle. «Immagino che bisogna andare?»

NON C’È FRETTA.

«Credevo che fossi sempre molto puntuale».

DATE LE CIRCOSTANZE, QUALCHE MINUTO IN PIÙ NON FARÀ MOLTA DIFFERENZA.

Windle annuì. Rimasero fianco a fianco in silenzio, circondati dal rombo attutito della città.

«Sai» disse Windle, «è meravigliosa, la vita dopo la morte. Dov’eri?»

ERO OCCUPATO.

Windle non ascoltava davvero. «Ho conosciuto persone che non sapevo nemmeno esistessero. Ho fatto ogni genere di cose. Sono riuscito veramente a capire chi è Windle Poons».

E CHI È?

«Windle Poons».

DEVE ESSERE STATO UNO SHOCK.

«Be’, sì».

TUTTI QUESTI ANNI E MAI UN SOSPETTO.

Windle Poons sapeva esattamente il significato della parola ironia, e sapeva anche di conoscere il sarcasmo.

«A te va sempre bene» mormorò.

FORSE.

Windle guardò di nuovo il fiume.

«È stato fantastico» disse. «Dopo tutto questo tempo. Essere necessari è importante».

SÌ. MA PERCHÉ?

Windle parve sorpreso.

«Non lo so. Come faccio a saperlo? Perché siamo tutti sulla stessa barca, immagino. Perché non lasciamo dentro uno dei nostri. Perché tutto è meglio che essere soli. Perché gli umani sono umani».

E SEI PENCE SONO SEI PENCE. MA IL GRANO NON È SOLO GRANO.

«No?»

NO.

Windle si appoggiò al parapetto. La pietra era ancora tiepida del calore del giorno.

Con sua grande sorpresa, anche Morte si appoggiò al parapetto.

PERCHÉ NON HAI CHE TE STESSO, disse Morte.

«Cosa? Ah, sì. Anche quello. Perché l’universo là fuori è grande e freddo».

SARESTI SORPRESO.

«Una vita non basta».

OH, NON LO SO.

«Mmm?»

WINDLE POONS?

«Sì?»

QUELLA È STATA LA TUA VITA.

E con grande sollievo, e generale ottimismo, e la sensazione che tutto sommato sarebbe potuta andare molto peggio, Windle Poons morì.

Da qualche parte nella notte, Reg Scarpa guardò a destra e a sinistra, tirò furtivamente fuori un pennello e un barattolino di vernice dalla giacca, e dipinse sul muro più vicino: ‘In Ogni Vivo c’è un Morto che Aspetta di Uscire’…

E poi basta. Fine.

Morte era davanti alla finestra del suo studio oscuro, e guardava nel giardino. Nulla si muoveva in quel dominio intatto. Gigli scuri fiorivano attorno allo stagno, dove pescavano piccoli nani scheletrici di gesso. C’erano montagne in lontananza.

Era il suo mondo. Non compariva su nessuna mappa.

Ma ora, in qualche modo, mancava qualcosa.

Morte scelse una falce dalla rastrelliera nel grande salone. Passò davanti all’enorme orologio senza lancette e uscì. Attraversò il frutteto nero, dove Albert lavorava sugli alveari, e proseguì fino a un piccolo tumulo al margine del giardino. Oltre, verso le montagne c’era della terra informe: aveva sopportato del peso, aveva una sua forma di esistenza, ma non c’era mai stato motivo di definirla ulteriormente.