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Jack se ne andò poco prima che facesse giorno. Non lo vidi andare via. Swales mi stava raccontando della ferita di Olmwood, e quando mi voltai Jack non c’era più.

«Jack ti ha detto dove si trova questo suo ufficio, dove va a lavorare sempre così presto?» chiesi a Vi quando fummo tornati alla postazione.

Lei aveva appoggiato uno specchietto contro una delle maschere antigas, e si stava arricciando i capelli. «No,» disse, immergendo un pettine in un bicchiere d’acqua e inumidendo una ciocca. «Jack, potresti passarmi le forcine? Oggi pomeriggio ho un appuntamento, e voglio sistemarmi per bene.»

Le passai le forcine. «Che razza di lavoro è? Te lo ha detto Jack?»

«No. Lavora in campo bellico, mi pare.» Avvolse una ciocca intorno al dito. «Ne ha fatti fuori dieci, quattro Stukas e sei 109.»

Mi sedetti accanto a Twickenham, che stava battendo a macchina la relazione sull’incidente. «Non hai ancora intervistato Jack?»

«Quando ne avrei avuto il tempo?» replicò Twickenham. «Da quando è arrivato non abbiamo avuto una notte tranquilla.»

Renfrew arrivò ciabattando dall’altra stanza. Si era imbacuccato in una coperta come un indiano, e le spalle erano avvolte in un copriletto. Aveva un aspetto orribile, pallido e tirato come un fantasma.

«Gradiresti qualcosa per colazione?» domandò Vi, aprendo una forcina con i denti.

Lui scosse la testa. «Nelson ha dato la sua approvazione alla richiesta di rinforzi?»

«No,» rispose Twickenham, malgrado Vi gli facesse cenno di non dirlo.

«Dovete spiegare a Nelson che è un’emergenza,» disse lui, avvolgendosi attorno la coperta come se avesse freddo. «Io lo so perché ce l’hanno con me. È stato prima della guerra. Quando Hitler invase la Cecoslovacchia. Scrissi una lettera al Times.»

Ringraziai il cielo che Swales non fosse presente. Una lettera al Times.

«Suvvia, adesso, perché non vai a riposarti un po’?» gli disse Vi, fissando un ricciolo con una forcina mentre si alzava. «Sei stanco, tutto qui, ed è questo che ti fa preoccupare così tanto. Laggiù non ci arriva nemmeno, il Times.»

Lo prese per un braccio, e lui la seguì docilmente nell’altra stanza. Lo sentii dire: «L’ho chiamato attaccabrighe dei bassopiani. Nella lettera.» La persona che soffre di eccessiva mancanza di sonno può avere allucinazioni, udire delle voci, avere delle visioni o credere in cose fantastiche.

«Ti ha detto che genere di lavoro fa, di giorno?» chiesi a Twickenham.

«Chi?» disse lui, sempre continuando a battere a macchina.

«Jack.»

«No, ma qualunque sia, speriamo che sia così bravo come lo è nel trovare i corpi.» Si fermò e controllò ciò che aveva appena scritto. «Con questo sono cinque, vero?»

Tornò Vi. «E sarà meglio che Nelson non lo venga a sapere,» disse, poi si sedette e immerse il pettine nel bicchiere d’acqua. «Se lo prenderebbe come ha fatto con Olmwood, e noi siamo già a corto di personale, con Renfrew ridotto in questo modo.»

La signora Lucy rientrò portando la lampada azzurra, scomparve nella dispensa e ne uscì con in mano un modulo di richiesta. «Posso usare la macchina da scrivere, signor Twickenham?» gli chiese.

Lui estrasse dal rullo il foglio di carta e si alzò in piedi. La signora Lucy si mise a sedere, infilò la domanda e cominciò a battere. «Ho deciso di inoltrare direttamente alla Difesa Civile la richiesta di rinforzi,» lo informò.

«Che genere di lavoro svolge Jack, di giorno?» le domandai.

«Lavoro bellico,» rispose lei. Sfilò il modulo, lo rigirò e tornò a infilarlo nel rullo. «Jack, le dispiacerebbe portarlo al quartier generale?»

«Di giorno lavora,» disse Vi facendosi un ricciolo sulla nuca. «Ogni notte c’è un’incursione. Ma quando dorme?»

«Non lo so,» dissi.

«Sarà meglio che badi a se stesso,» disse Vi. «O diventerà anche lui un morto che cammina, come Renfrew.»

La signora Lucy firmò la domanda, la piegò in due e me la diede. La portai al quartier generale e mi ci volle mezza giornata per trovare l’ufficio competente al quale consegnarla.

«Non è il modello giusto,» mi spiegò la sesta ragazza. «Deve compilare l’A-114, Miglioramenti esterni.»

«Non si tratta dell’esterno,» replicai. «La postazione richiede dei travi di rinforzo per la cantina.»

«I rinforzi sono considerati miglioramenti esterni,» disse lei. Mi porse il modulo, che sembrava identico a quello che la signora Lucy aveva appena compilato, e me ne andai.

Sulla via del ritorno Nelson mi bloccò. Credevo che stesse per dirmi di nuovo che la mia divisa era un disastro, invece indicò il mio elmetto di alluminio e mi chiese: «Come mai non indossa un elmetto d’ordinanza, guardiano? “Tutti i guardiani del Servizio di Pronto Intervento Antiaereo dovranno indossare un elmetto con la lettera G in rosso sulla parte anteriore”,» citò.

Mi tolsi l’elmetto e lo guardai. La G rossa si era in parte scrostata e adesso sembrava una C.

«Quale è la sua postazione?» latrò.

«Quarantotto. Chelsea,» risposi, e mi domandai se si aspettava che lo salutassi.

«Il vostro responsabile è la signora Lucy,» disse disgustato, ed ero convinto che mi avrebbe chiesto che ci facevo nella Difesa Civile, invece disse: «Ho saputo del colonnello Godalming. La vostra postazione ha avuto un bel po’ di fortuna, nell’individuare le vittime di queste ultime incursioni.»

“Sì, signore,” era ovviamente la risposta sbagliata, mentre “No, signore,” lo avrebbe insospettito. «Ieri sera abbiamo trovato tre persone dentro un rifugio Anderson,» dissi. «Uno dei bambini ha avuto l’ottima idea di battere sul tetto con un paio di pinze.»

«Ho sentito dire che la persona che li ha trovati è uno nuovo, un certo Settle.» Il tono era amichevole, quasi gioviale. Come Hitler a Monaco.

«Settle?» ripetei, facendo finta di niente. «È stata la signora Lucy a trovare l’Anderson.»

La sorpresa di Quincy, il figlio di Morris, era la Croce della Regina Vittoria. «Una medaglia,» continuava a ripetere. «Chi l’avrebbe mai detto, il mio Quincy che prende una medaglia? Quindici aerei, ha abbattuto.»

Gli era stata conferita nel corso di una cerimonia speciale presso il quartier generale dell’ufficiale comandante di Quincy, alla presenza della Duchessa di York in persona. Ed era stato proprio Morris ad appuntare la medaglia sul petto del figlio.

«Indossavo il mio completo elegante,» ci raccontò per la centesima volta. «Nel caso che Quincy avesse qualche problema, volevo fare una buona impressione, e poi mi sembrava giusto così. Che avrebbe pensato la Duchessa di York se mi fossi presentato conciato in questo modo?»

Non aveva un bell’aspetto. Nessuno di noi lo aveva. Avevamo riempito di bombe incendiare due ceste per il pane, una dopo l’altra, e Vi era stata di guardia. Avevamo salvato un’altra volta la macelleria, e una panetteria due isolati più avanti, nonché un crocifisso del tredicesimo secolo.

«Te lo avevo detto che era passata attraverso il tetto della chiesa,» aveva esclamato disgustata Vi quando l’avevamo finalmente recuperata. «Il tuo amico Jack non sarebbe capace di trovare una bomba incendiaria neanche se gli cadesse addosso.»

«Glielo hai fatto capire che era caduta sulla chiesa?» chiesi, osservando la figura lignea intagliata. Il fondo della croce era annerito, come la punta dei piedi del Cristo, quasi fosse stato bruciato sul rogo invece che crocifisso.

«Sì,» rispose lei. «Gli ho anche specificato che era dalle parti dell’altare.» Si voltò a guardare la navata. «Avrebbe potuto vederla appena entrato in chiesa.»

«Che ha detto? Che non c’era?»

Vi stava fissando il soffitto con aria meditabonda. «Avrebbe potuto rimanere incastrata in mezzo ai travetti e cadere più tardi. Ma non ha molta importanza, no? L’abbiamo portata via. Dài, torniamo alla postazione,» disse, rabbrividendo. «Sto morendo di freddo.»