Fu lui a trovare me. Ero tornato alla postazione, e avevo aspettato che tutti dormissero e, mentre la signora Lucy era salita un attimo al piano superiore, mi ero introdotto nella dispensa per cercare l’indirizzo di Jack nell’archivio. Ma non c’era nessun indirizzo, come sapevo già da prima. E se pure ci fosse stato, a che tipo di abitazione sarebbe corrisposto, una volta che l’avessi trovato? A una casa sventrata? A un cumulo di macerie?
Ero andato alla stazione di Sloane Square, sapendo che non lo avrei trovato, ma del resto non avevo altro posto in cui cercare. Avrebbe potuto essere dovunque. Londra era piena di case vuote, di cantine bombardate, di luoghi segreti in cui nascondersi fino a sera. Ci era venuto per questo. “Se fossi un ladro verrei di corsa a Londra,” aveva detto Swales. Ma non erano venuti solo i delinquenti comuni, attirati dall’oscuramento, dai furti facili e dall’abbondanza di cadaveri. Attirati dal sangue.
Rimasi là finché non cominciò a fare buio, osservando due ragazzi che frugavano dentro una canaletta di scolo in cerca dei dolci che erano stati scaraventati fuori dall’esplosione della vetrina di una pasticceria, poi tornai indietro e mi infilai in un portone in fondo alla strada in cui si trovava la postazione, da dove potevo vederne l’ingresso. Suonarono le sirene, Swales partì in pattugliamento. Arrivò Petersby. Uscì Morris, fermandosi un attimo a guardare verso il cielo come se sperasse di vedere l’aereo di suo figlio Quincy. La signora Lucy non doveva essere riuscita a dire la sua a Nelson, sulla questione delle pattuglie.
Si fece buio. I fari cominciarono a incrociarsi nel cielo, illuminando l’argento dei palloni di sbarramento. Un sordo ronzio verso est preannunciò l’arrivo degli aerei. Vi arrivò di corsa, con i tacchi alti e una scatola legata con un nastro fra le mani. Petersby e Twickenham partirono in pattuglia. Uscì Vi, assicurandosi la cinghia dell’elmetto sotto il mento e mangiando qualcosa.
«Ti ho cercato dappertutto,» disse Jack.
Mi voltai. Era arrivato con un autocarro del Servizio Trasporti dell’Esercito. Aveva lasciato lo sportello aperto e il motore in folle. «Ho trovato i travi.» disse. «Per rinforzare la postazione. L’incidente di ieri sera, sai, c’erano tutti quei travi buttati là, e ho chiesto al proprietario della casa se potevo acquistarli.»
Indicò con un gesto della mano il retro dell’autocarro, da dove sporgevano le estremità scheggiate dei travi di legno. «Andiamo, dài, se ci sbrighiamo possiamo montarli stanotte stessa.» Fece per tornare all’autocarro. «Dov’eri? Ti ho cercato da tutte le parti.»
«Sono andato al St. George’s.» dissi.
Si fermò, la mano appoggiata sullo sportello aperto.
«Mina è morta,» dissi, «ma tu lo sapevi già, non è vero?»
Non disse nulla.
«L’infermiera ha detto che è morta per dissanguamento,» dissi. Un razzo piovve dal cielo, illuminando il suo viso di un biancore spettrale. «Io so che cosa sei.»
«Se ci sbrighiamo possiamo montare i travi prima che comincino le incursioni,» disse, e fece per richiudere lo sportello.
Posai la mano sullo sportello per impedirgli di chiuderlo. «Lavoro bellico,» dissi amaramente. «Che fai, ti accerti di essere solo con loro dentro le gallerie o li vai a trovare più tardi in ospedale?»
Lasciò lo sportello.
«Proprio una trovata brillante, fare il volontario nel Servizio di Pronto Intervento Antiaereo,» dissi. «Nessuno sospetterà mai di un nobile guardiano, specialmente quando è così bravo a trovare le vittime. E se qualcuna di loro muore in seguito, se qualcuno viene trovato morto sulla strada dopo un’incursione, be’, bisogna pure aspettarselo. C’è una guerra in atto.»
Il ronzio sopra le nostre teste divenne improvvisamente più forte, e una pioggia di razzi venne giù dal cielo. I fari rotearono, cercando di individuare gli aerei. Jack mi afferrò il braccio.
«Vieni qui,» disse, e cercò di trascinarmi dentro il portone.
Mi divincolai. «Se potessi ti ucciderei,» dissi. «Ma non posso, vero?» Agitai la mano verso il cielo. «E neanche loro. Quelli come te non muoiono, non è così?»
Vi fu un lungo sibilo, poi un gemito crescente. «Ma ti ucciderò lo stesso,» gridai, cercando di superare il rumore. «Se tocchi Vi o la signora Lucy.»
«La signora Lucy,» ripeté, e non riuscii a capire se il tono fosse di stupore o di disprezzo.
«O Vi, o chiunque altro di loro. Ti infilerò un paletto nel cuore, o quel che diavolo occorre,» dissi e l’aria si spaccò in due.
Vi fu un lungo suono come se un mostro enorme stesse ringhiando, che sembrò continuare all’infinito. Cercai di coprirmi le orecchie con le mani, ma dovevo anche mantenere l’equilibrio per non cadere. Il ruggito divenne un urlo stridulo, il marciapiede sussultò con violenza, e io caddi.
«Stai bene?» mi chiese Jack.
Ero seduto accanto all’autocarro, che si era rovesciato sul fianco. I travi erano caduti a terra. «Siamo stati colpiti?» chiesi.
«No,» rispose lui, ma già lo sapevo, e prima che avesse finito di rimettermi in piedi già correvo verso la postazione, che la polvere mi impediva di vedere.
La signora Lucy aveva detto a Nelson che mandare tutti fuori in pattugliamento significava che in caso di emergenza non ci sarebbe stato nessuno a disposizione, ma questo non era vero. Arrivarono tutti entro pochi minuti, Swales, Morris e Violet, ticchettando sui suoi tacchi alti, e Petersby. Giunsero di corsa, uno dopo l’altro, e si fermarono a guardare stupidamente lo spazio che era stata la casa della signora Lucy, come se non riuscissero a capire che cosa fosse.
«Dov’è Renfrew?» chiese Jack.
«A Birmingham,» disse Vi.
«Non si trovava qui,» gli spiegai. «È in licenza per malattia.» Scrutai in mezzo al fumo e alla polvere, cercando di mettere a fuoco i loro volti. «Dov’è Twickenham?»
«Qui,» rispose.
«E la signora Lucy?» chiesi.
«Laggiù,» rispose Jack, e indicò in mezzo alle macerie.
Scavammo per tutta la notte. Giunsero in aiuto due diverse squadre di soccorso. Continuarono a chiamare ogni mezz’ora ma non ci fu risposta. Vi si fece prestare una lampada da qualcuno, vi pose sopra un fazzoletto azzurro, e funse da responsabile addetto all’incidente. Giunse un’ambulanza, attese un poco, se ne andò verso un altro incidente, ritornò. Venne Nelson a rilevare Vi come responsabile dell’incidente, e Vi tornò a darci una mano. «È viva?» ci domandò.
«Sarà meglio che lo sia,» risposi, guardando Jack.
Cominciò a calare la nebbia. Continuarono a passare gli aerei, lanciando razzi e bombe incendiarie, ma nessuno smise di lavorare. Dai cesti spuntò la macchina da scrivere di Twickenham, e una delle bottiglie di vino della signora Lucy.
Verso le tre Morris credette di aver sentito qualcosa, allora ci fermammo e chiamammo, ma non ci fu risposta. La nebbia si trasformò in una pioggerella. Alle quattro e mezza gridai qualcosa alla signora Lucy e lei rispose, da molto in basso. «Sono qui.»
«Sta bene?» le chiesi ad alta voce.
«Ho una gamba ferita. Credo che sia rotta,» gridò lei con voce calma. «Dovrei essere sotto il tavolo.»
«Non si preoccupi,» strillai. «Ci siamo quasi.»
La pioggerella ridusse l’intonaco a una melma viscida e disgustosa. Dovemmo rinforzare in continuazione la galleria e ricoprirla con una tela cerata, ed era troppo buio per vedere bene dove si scavava. Swales era sopra di noi e teneva una lampada tascabile sopra le nostre teste in modo da consentirci un minimo di visibilità. Suonò il cessato allarme.
«Jack!» esclamò la signora Lucy.
«Sì!» gridai.
«Era il cessato allarme?»
«Sì,» risposi, sempre gridando. «Non si preoccupi. La tireremo fuori in un attimo.»
«Che ora è?»
Nella galleria era troppo buio per vedere l’orologio. Andai a casaccio. «Le cinque e qualche cosa.»