La signora Lucy guardò la sua fetta di torta, come se fosse sorpresa di averla mangiata quasi tutta. «Non l’ha detto,» rispose.
«Voglio dire, è carino?» disse Vi, posando una forchetta sul piattino. «Forse è meglio che gliela porti io.»
«È mingherlino. E pallido,» disse Swales, con la bocca piena di torta. «Sembra tisico.»
«Nelson non ce lo porterà via, questo è sicuro.» disse Morris.
«Oh, be’, allora,» disse Vi e mi porse il piattino.
Lo presi e salii le scale, fermandomi al secondo piano per passarlo sulla mano sinistra, mentre con la destra accendevo la lampada tascabile.
Jack era in piedi accanto alla finestra, il binocolo a penzoloni sul collo, e fissava oltre i tetti, in direzione del fiume. La luna era alta, e il suo biancore si rifletteva sull’acqua come uno dei razzi luminosi che i bombardieri tedeschi lanciavano per illuminare il cielo davanti a loro.
«Ancora niente nel nostro settore?» gli chiesi.
«No,» rispose lui senza girarsi. «Sono ancora verso est.»
«Ti ho portato una fetta di torta ai lamponi,» dissi.
Si voltò e mi guardò.
Gli porsi il piattino. «Ce l’ha fatta avere il tizio della RAF che è amico di Violet.»
«No, grazie,» disse. «Non mi piacciono i dolci.»
Lo guardai con la stessa incredulità che avevo provato sentendo che il nome di Violet era disegnato su uno Spitfire. «Ce n’è un bel po’,» dissi. «Violet ha portato una torta intera.»
«Non ho fame, grazie. Mangiala tu.»
«Ne sei sicuro? Di questi tempi non è facile rimediare roba del genere.»
«Ne sono sicuro,» disse, e tornò a voltarsi verso la finestra.
Guardai dubbioso la fetta di torta, sentendomi colpevole per la mia avidità, ma detestando la sola idea che potesse andare sprecata mentre avevo ancora fame. Come minimo avrei dovuto rimanere sveglio e tenergli compagnia.
«Violet è la guardiana di cui hai preso il posto stasera, quella che era in ritardo,» dissi. Mi misi a sedere sul pavimento, appoggiando la schiena contro il battiscopa dipinto, e cominciai a mangiare. «Lavora qui a tempo pieno. Ne abbiamo cinque, che lavorano a tempo pieno. Violet e io e Renfrew — non lo hai ancora conosciuto, stava dormendo. Ha avuto una giornataccia. Di giorno non può dormire — e Morris e Twickenham. Poi c’è Petersby. Fa l’orario ridotto come te.»
Mentre parlavo non si girò e non disse nulla: continuò a guardare fuori dalla finestra. Una pioggia di razzi di segnalazione scendeva lentamente dal cielo, illuminando la stanza.
«Sono un bel gruppo,» dissi, tagliando con la forchetta un pezzetto di torta. Sotto la luce strana dei razzi la marmellata sembrava nera. «Swales può essere un po’ irritante con le sue battute, e Twickenham è il tipo che ti tempesta di domande, ma quando c’è un incidente è gente che sa il fatto suo.»
Si voltò. «Domande?»
«Per il notiziario delle postazioni. Comunicazioni, insomma, notizie sui nuovi modelli di bombe, le disposizioni del Servizio di Pronto Intervento Antiaereo, roba del genere. Tutto ciò che Twickenham deve fare è batterlo a macchina e distribuirlo nelle altre postazioni, ma credo che abbia sempre sognato di fare lo scrittore e questa è la sua grande occasione. Ha chiamato il suo notiziario Le chiacchiere di Twickenham, e ci inserisce ogni genere di cose… disegni, notizie, pettegolezzi, interviste.»
Mentre parlavo il ronzio dei motori sopra la nostra testa era diventato sempre più forte. A un certo punto ci fu un sibilo soffocato, subito seguito da un fischio che si trasformò in un gemito.
«Le scale,» dissi, lasciando cadere il piatto. Lo afferrai per un braccio e lo trascinai dentro il rifugio nel pianerottolo. Ci rannicchiammo in attesa dell’esplosione, le mani sopra la testa, ma non successe niente. Il gemito divenne un suono stridulo, poi tutto a un tratto sembrò allontanarsi. Sporsi cautamente la testa attraverso i travi di rinforzo e guardai verso la finestra aperta. Una luce avvampò e poi ci fu l’esplosione, almeno tre settori più in là. «Lees,» dissi. Dirigendomi verso la finestra per cercare di individuare il punto preciso dell’impatto. «Bomba ad alto esplosivo.» Jack mise a fuoco il binocolo nel punto dove stavo guardando.
Andai al pianerottolo, mi misi le mani a coppa intorno alla bocca e gridai verso le scale: «Alto esplosivo. Lees.» Gli aerei erano ancora troppo vicini perché ci disturbassimo a tornare a sedere. «Twickenham ha fatto interviste a tutti i guardiani,» dissi appoggiandomi alla parete. «Vorrà sapere quello che facevi prima della guerra, perché hai scelto di fare l’osservatore, cose del genere. La settimana ha scritto un articolo su Vi.»
Jack aveva abbassato il binocolo e stava guardando il punto che gli avevo indicato. Quando cadeva una bomba ad alto esplosivo gli incendi non scoppiavano subito. Ci voleva un po’ prima che il gas fuoriuscito dai serbatoi infranti si infiammasse a contatto con i carboni accesi sparsi dappertutto. «Che faceva prima della guerra?» domandò.
«Vi? La stenografa,» risposi. «E faceva anche la tappezziera, direi. Per lei la guerra è stata proprio una benedizione.»
«Una benedizione,» ripeté Jack, guardando verso la bomba di Lees. Da dove mi trovavo non potevo vederlo in volto se non di profilo, e non potevo dire se disapprovasse il termine o ne fosse semplicemente divertito.
«Non intendevo dire una benedizione in quel senso. È piuttosto difficile chiamare benedizione una cosa così orribile. Ma la guerra ha offerto a Vi un’occasione che altrimenti non le sarebbe mai capitata. Morris dice che senza la guerra Vi sarebbe morta zitella, mentre adesso se la spassa.» Un razzo scese dal cielo, prima bianco poi rosso. «Morris dice che la guerra è la cosa migliore che le sia mai capitata.»
«Morris,» disse lui, come se non sapesse quale fosse, dei tanti.
«Capelli color sabbia, baffi a spazzola,» aggiunsi. «Suo figlio è pilota.»
«Sta facendo il suo dovere,» disse lui, e alla luce rossastra distinsi il suo viso, ma senza ancora riuscire a leggere la sua espressione.
Un grappolo di bombe incendiarie piovve sul fiume, scintillando come diamanti, e le fiamme esplosero dappertutto.
La mattina dopo vi fu un brutto incidente dalle parti di Old Church Street, due bombe ad alto esplosivo. La signora Lucy inviò Jack e me per vedere se potessimo essere di qualche aiuto. Era molto nuvoloso, il che in teoria avrebbe dovuto bloccare la Luftwaffe e invece non lo aveva fatto, e molto buio. Quando raggi ungemmo King’s Road ero completamente disorientato.
Sapevo che l’incidente doveva essere nei paraggi, però, perché ne sentivo l’odore. Non era un odore vero e proprio; era una fastidiosa irritazione del naso dovuta alla polvere e al fumo, e all’esplosivo, qualunque fosse, che i tedeschi mettevano nelle loro bombe. Faceva sempre starnutire Vi.
Cercai di individuare dei punti di riferimento, ma l’unica cosa che riuscivo a vedere era il profilo appena più scuro di una collinetta sulla mia sinistra. Dobbiamo esserci persi, pensai distrattamente. Non ci sono colline a Chelsea, poi mi resi conto che doveva trattarsi proprio dell’incidente.
«La prima cosa da fare è trovare il responsabile addetto all’incidente,» dissi a Jack. Mi guardai intorno in cerca della luce azzurra del responsabile, ma non riuscii a vederla. Doveva essere al di là della collinetta.
Mi arrampicai su di essa, seguito da Jack, cercando di non scivolare sul pendio accidentato. La luce era sul lato più lontano di un’altra collina, più bassa, una spettrale luminosità azzurrina sulla sinistra. «Laggiù,» dissi. «Dobbiamo fare rapporto. È molto probabile che il responsabile addetto all’incidente sia Nelson, e lui è un fanatico della procedura.»
Mi accinsi a scendere, scivolando sui frammenti di mattoni e calcinaccio. «Stai attento,» gridai a Jack. «È pieno di frammenti di legno e di vetro.»