«Non ne vuole,» replicò Vi. Prese il piatto e si sedette al tavolo.
«Ti ha detto perché?» le chiesi.
Mi rivolse un’occhiata incuriosita. «Immagino che non abbia fame,» rispose. «O forse non gli piace l’agnello.»
«Spero che non abbia qualche problema,» disse Morris, e ci misi un minuto per capire che si riferiva a suo figlio. «Non è un cattivo ragazzo, ma fa le cose senza pensare. Esuberanza giovanile, tutto qui.»
«Non ha voluto neanche la torta,» dissi. «Ti ha detto perché non voleva la bistecca di agnello?»
«Se il signor Settle non la vuole, allora la porti al signor Renfrew,» disse secca la signora Lucy. Riprese il piatto da Vi con un gesto brusco. «E non gli permetta di dire che non ha fame. Deve mangiare. È andato molto giù, fisicamente.»
Vi sospirò e si alzò. La signora Lucy le restituì il piatto, e lei andò nell’altra stanza.
«Tutti abbiamo bisogno di mangiare del buon cibo e di fare dei lunghi sonni.» disse la signora Lucy in tono di rimprovero. «Per mantenerci in forze.»
«Ci ho scritto un articolo, sul giornale,» disse Twickenham, raggiante. «È nota come “La morte che cammina”, ed è causata dalla mancanza di sonno e dalla alimentazione insufficiente, insieme all’ansia provocata dalle incursioni. Il morto che cammina rivela un tempo di reazione rallentato e una capacità di giudizio indebolita, il che si traduce in un maggior numero di incidenti sul lavoro.»
«Be’, io non voglio morti che camminano in mezzo a noi, miei cari guardiani,» disse la signora Lucy, servendo sui piatti le altre bistecche. «E appena avrete finito queste, voglio che andiate tutti a letto.»
Il sapore delle bistecche era ancora migliore del loro profumo. Mangiai la mia mentre leggevo l’articolo di Twickenham sui morti che camminano. Diceva che la mancanza di appetito era una reazione comune alle incursioni. Diceva anche che la mancanza di sonno poteva provocare un comportamento compulsivo e strane fissazioni. «Il morto che cammina può arrivare a convincersi che qualcuno lo abbia avvelenato o che un amico o un parente sia un agente tedesco. Può avere allucinazioni, udire delle voci, avere delle visioni o credere in cose fantastiche.»
«Aveva dei problemi a scuola, prima della guerra, ma da quando si è arruolato ha messo la testa a posto,» disse Morris. «Mi chiedo che abbia fatto.»
Alle tre del mattino successivo una mina terrestre esplose più o meno nello stesso punto di Old Church Street dove era caduta la bomba ad alto esplosivo. Nelson mandò Olmwood a cercare aiuto, e la signora Lucy ordinò a Swales, a Jack e a me di andare con lui.
«La mina non è caduta a più di due case di distanza dal primo cratere,» disse Olmwood mentre ci organizzavamo. «I crucchi non avrebbero potuto andare più vicino nemmeno se avessero preso la mira.»
«Io lo so dove stanno mirando,» disse Renfrew dalla soglia. Aveva un aspetto terribile, pallido e tirato come un fantasma. «E so perché avete chiesto rinforzi per la postazione. È per me, vero? Qualcuno dovrà sostituire me.»
«Nessuno di noi dovrà essere sostituito,» disse decisa la signora Lucy. «Sono tre chilometri più in su. E non stanno mirando a niente.»
«Perché mai Hitler dovrebbe voler bombardare te piuttosto che noialtri?» domandò Swales.
«Non lo so.» Si accasciò su una delle sedie e si prese la testa fra le mani. «Non lo so. Ma ce l’hanno con me. Lo sento.»
La signora Lucy aveva mandato Swales, Jack e me nel luogo dell’incidente perché “voi ci siete già stati prima, conoscete il territorio”. Ma era solo una pia speranza. Dal momento che esplodono al di sopra del livello del suolo, le mine terrestri provocano un danno assai più considerevole delle bombe ad alto esplosivo. Adesso c’era una collina dove c’era stata la tenda del responsabile addetto all’incidente, e altre tre subito dopo, una piccola catena montuosa nel cuore di Londra. Swales si arrampicò in cima alla vetta più vicina per individuare la luce del responsabile.
«Jack, di qua!» gridò qualcuno dalla collina alle nostre spalle, e tutti e due risalimmo il pendio in direzione della voce.
Un gruppetto di cinque uomini era a mezza costa e guardava dentro una buca.
«Jack!» gridò nuovamente l’uomo. Indossava sul braccio una fascia azzurra da caposquadra e stava guardando proprio dietro di noi qualcuno che si affannava a risalire la china brandendo quello che sembrava un estintore portatile. Pensai, non penseranno davvero di spegnere un incendio dentro quella buca, e poi mi resi conto che non era un estintore. Era in effetti il martinetto di un’automobile, e l’uomo con la fascia azzurra allungò la mano in mezzo a noi per prenderlo, poi lo gettò nella buca e vi si infilò dentro.
Gli altri componenti della squadra di soccorso rimasero a guardare nel buio come se potessero veramente fare qualcosa. Dopo un po’ cominciarono a calare dei secchi vuoti dentro la buca e a ritrarli pieni di mattoni rotti e pezzi di legno scheggiato. Nessuno di essi fece caso a noi, nemmeno quando Jack protese le mani per prendere uno dei secchi.
«Veniamo da Chelsea,» gridai al caposquadra cercando di superare il rumore degli aerei e delle bombe. «Come possiamo esservi utili?»
Continuarono passarsi i secchi l’un l’altro, per svuotarli. Dentro uno di essi apparve una teiera di porcellana, tutta impolverata ma senza nemmeno un graffio.
Tentai di nuovo. «Chi c’è laggiù?»
«Sono in due,» rispose l’uomo più vicino a me. Prese la teiera dal mucchio di macerie e la porse all’uomo che indossava un passamontagna sotto l’elmetto. «Un uomo e una donna.»
«Veniamo da Chelsea,» gridai sopra una raffica della contraerea. «Che cosa volete che facciamo?»
Prese la teiera dalle mani dell’uomo con il passamontagna e me la diede. «Portala sul marciapiede insieme agli altri oggetti di valore.»
Mi ci volle un bel po’ per ridiscendere il pendio, tenendo la teiera con una mano e il coperchio con l’altra, attento a non inciampare sui mattoni infranti, e impiegai ancora più tempo a trovare un marciapiede. La mina terrestre lo aveva sollevato quasi tutto, insieme alla strada.
Alla fine lo trovai, un fazzoletto di marciapiede intatto davanti a una panetteria sventrata, con gli “oggetti di valore” allineati in bell’ordine su di esso: una radio, uno stivale, due cucchiai da portata simili a quello con il quale il colonnello Godalming mi aveva minacciato, una borsetta elegante da donna con delle perle. C’era di guardia uno della squadra di soccorso.
«Alt!» ordinò, mettendovisi davanti mentre mi avvicinavo, e puntandomi addosso una torcia o una pistola. «Nessuno è ammesso all’interno del perimetro dell’incidente.
«Sono del Servizio di Pronto Intervento Antiaereo,» mi affrettai a dire. «Jack Harker. Chelsea.» Protesi la teiera. «Mi hanno detto di venire qui con questa.»
Era una torcia. La accese e la rispense subito, un battito di ciglia. «Scusami,» disse. «Di recente abbiamo avuto molti casi di sciacallaggio.» Prese la teiera e la sistemò accuratamente vicino alla borsetta da sera. «La scorsa settimana abbiamo pizzicato un tizio che andava frugando nelle tasche dei cadaveri in attesa del carro mortuario. È terribile come certa gente si approfitti di cose come queste.»
Tornai nel punto in cui i soccorritori erano al lavoro. Jack era accanto all’imboccatura della buca, sollevando secchi pieni e restituendoli vuoti. Mi misi in fila alle sue spalle.
«Non li hanno ancora trovati?» gli chiesi appena ci fu una pausa nel bombardamento.
«Zitti!» gridò una voce dalla buca, e l’uomo con il passamontagna ripeté: «Zitti tutti! Abbiamo bisogno di silenzio assoluto!»
Tutti smisero di lavorare e ascoltarono. Jack mi aveva passato un secchio pieno di mattoni, e la maniglia mi segava le mani. Per un secondo vi fu un silenzio totale, poi si udirono di nuovo il ronzio di un aereo e il sibilo e il fragore lontani di una bomba ad alto esplosivo.