«Non preoccupatevi,» gridò la voce dalla buca, «Ci siamo quasi.» I secchi ripresero a salire dal basso.
Io non avevo sentito niente, ma sembrava che in fondo alla buca avessero sentito una voce, oppure un rumore di qualcuno che batteva, e mi sentii sollevato, sia per il fatto che almeno uno dei due era ancora vivo, sia perché i soccorritori avevano ripreso a lavorare. Mi era capitato di essere presente a un incidente, a ottobre, in cui era stato necessario fermarsi a metà del lavoro e scavare una seconda buca perché le macerie distorcevano il rumore, facendo sembrare che provenisse da un’altra parte. Anche se lo scavo era proprio sopra la vittima, il suono tendeva a deflettersi man mano che incontrava degli ostacoli, e l’unico modo per scavare diritto era quello di lanciare dei richiami con una certa continuità. Mi tornò alla mente Jack che scavava con il pezzo di ringhiera per liberare il colonnello Godalming. Sembrava che sapesse esattamente in quale direzione andare.
Gli uomini dentro la buca richiesero nuovamente il martinetto, e io e Jack lo calammo verso di loro. Mentre l’uomo in basso allungava la mano per prenderlo, Jack si fermò. Sollevò la testa, come se stesse ascoltando.
«Che c’è?» dissi. Sentivo solo i cannoni della contraerea in Hyde Park. «Hai sentito qualcuno che chiama?»
«Dov’è quel fottuto martinetto?» gridò il caposquadra.
«È troppo tardi,» disse Jack. «Sono morti.»
«Andiamo, calalo giù.» disse il caposquadra. «Non abbiamo tempo da perdere.»
Jack calò il martinetto.
«Zitti,» gridò il caposquadra, e sopra di noi, come un’eco spettrale, sentimmo l’uomo con il passamontagna che ripeteva: «Zitti tutti, per favore.»
L’orologio di una chiesa cominciò a battere le ore, e potei sentire l’uomo con il passamontagna che diceva in tono irritato: «Abbiamo bisogno di assoluto silenzio.»
L’orologio batté le quattro, poi tacque, e si udì il rumore frusciante dei detriti che cadevano sul metallo. Poi silenzio, quindi un debole suono.
«Zitti!» esclamò di nuovo il caposquadra, e vi fu un altro silenzio. Una specie di piagnucolio. O un gemito. «Vi sentiamo,» gridò. «Non abbiate paura.»
«Uno di loro è ancora vivo,» dissi.
Jack non disse niente.
«Ma se lo abbiamo sentito,» incalzai, infuriato.
Jack scosse la testa.
«Ci serve del legname per sostenere lo scavo,» disse l’uomo col passamontagna a Jack, e io mi aspettavo che gli dicesse che era inutile, invece corse subito via e tornò poco dopo trascinando una libreria di legno bianco.
C’erano ancora dentro tre libri. Aiutai Jack e l’uomo con il passamontagna a staccare gli scaffali dall’intelaiatura, poi portai i libri al punto di raccolta degli “oggetti di valore”. La guardia era seduta sul marciapiede e stava frugando dentro la borsetta con le perle.
«Sto facendo l’inventario,» disse, rialzandosi in piedi in tutta fretta. Infilò nella borsa un rossetto e un fazzoletto. «Tanto per essere sicuro che non venga rubato niente.»
«Ti ho portato qualcosa da leggere,» dissi, e posai i libri accanto alla teiera. «Delitto e castigo.»
Mi arrampicai di nuovo sulla collinetta e aiutai Jack a calare gli scaffali dentro la buca, e dopo qualche minuto cominciarono a venir fuori altri secchi. Tornammo a formare una fila irregolare per svuotare i secchi, l’uomo con il passamontagna all’inizio, io e Jack in coda.
Giunse il cessato allarme. Prima di scavare ancora, il caposquadra fece un altro sondaggio. Questa volta non sentimmo niente, e quando tornarono a emergere i secchi lì porsi a Jack senza guardarlo in faccia.
Verso est cominciava a schiarire, e le alture intorno a noi assumevano pian piano una sfumatura grigiastra. Due di esse, alte parecchi piani, si trovavano nel punto in cui era la fila di case che la notte prima era sfuggita al bombardamento, e ci facevano ombra, anche se adesso riuscivo a vedere la buca, con l’estremità di uno degli scaffali bianchi che sporgeva da essa come una pietra tombale.
I secchi cominciarono a uscire con maggior lentezza.
«Spegnete le sigarette!» gridò il caposquadra, e tutti ci bloccammo, cercando di cogliere l’odore del gas. Se erano morti, come aveva detto Jack, era stato molto probabilmente il gas uscito dalle condutture spezzate che li aveva uccisi, e non le lesioni interne. La settimana prima avevamo tirato fuori un ragazzo con il suo cane, senza nemmeno una scalfittura. Il cane non aveva fatto che abbaiare e uggiolare fino a poco prima che li trovassimo, e l’autista dell’ambulanza aveva detto che secondo lei dovevano essere morti solo da qualche minuto.
Non sentivo odore di gas, e dopo un minuto il caposquadra disse, eccitato: «Li vedo!»
L’uomo con il passamontagna si piegò sullo scavo, le mani sulle ginocchia. «Sono vivi?»
«Sì! Fai venire un’ambulanza!»
L’uomo con il passamontagna corse già lungo il pendio, scivolando sui mattoni rotti e provocando piccole valanghe.
Mi inginocchiai sulla buca. «Ci sarà bisogno di una barella?» gridai.
«No,» disse il caposquadra, e capii dal suono della sua voce che erano morti.
«Tutti e due?» domandai.
«Sì.»
Mi rialzai. «Come facevi a sapere che erano morti?» chiesi a Jack, voltandomi verso di lui. «Come facevi…»
Non c’era più. Guardai giù per la collina. L’uomo con il passamontagna era arrivato quasi in fondo, e si era aggrappato al telaio di una finestra rotta per rallentare la sua corsa sfrenata, lasciandosi dietro una nebbiolina di polvere… ma Jack non si vedeva da nessuna parte.
Era quasi l’alba. Potevo distinguere le collinette grigie e, nel punto più lontano, il guardiano con i suoi “oggetti di valore”. Sulla terza collina c’era un’altra squadra di salvataggio, ancora intenta a scavare. Riuscii a vedere Swales che calava un secchio.
«Dammi una mano,» disse impaziente il caposquadra, e mi porse il martinetto. Lo presi e lo posai più in là, poi tornai per aiutare il caposquadra a uscire dalla buca. Aveva le mani sporche, ricoperte da una fanghiglia rosso scura.
«È il gas che li ha uccisi?» gli chiesi, anche se stava già tirando fuori un pacchetto di sigarette.
«No,» disse, prendendo una sigaretta e mettendosela fra le labbra. Si pulì le mani sul davanti della tuta, lasciando strisce rosse.
«Da quanto tempo sono morti?» gli domandai.
Trovò i fiammiferi, ne strofinò uno e accese la sigaretta. «Poco dopo che li abbiamo sentiti per l’ultima volta, direi,» mi rispose e io mi dissi che invece allora erano già morti. E Jack lo sapeva. «Sono morti da almeno due ore.»
Guardai l’orologio. Erano passate da poco le sei. «Allora non è stata la mina a ucciderli?»
Il caposquadra prese la sigaretta fra le dita ed emise una lunga boccata di fumo. Quando tornò a metterla in bocca, su di essa era c’era una riga rossa. «No, sono morti dissanguati.»
La notte successiva la Luftwaffe arrivò in anticipo. Dopo l’incidente non avevo dormito molto. Morris ci aveva assillato per tutto il giorno parlando di suo figlio, e Swales aveva stuzzicato spietatamente Renfrew. «Göring ha saputo che fai la spia,» gli aveva detto, «e ha mandato i suoi Stukas contro di te.»
Alla fine salii al quarto piano e cercai di dormire nella sedia dell’osservatore, ma c’era troppa luce. Il pomeriggio era nuvoloso, e i fuochi che bruciavano nell’East End conferivano al cielo una sfumatura rossastra e minacciosa.
Qualcuno aveva lasciato per terra una copia delle Chiacchiere di Twickenham. Rilessi l’articolo sui morti che camminano e poi, ancora incapace di prendere sonno, anche tutte le altre notizie. C’era un resoconto sull’invasione della Transilvania da parte di Hitler, una ricetta per una torta alle fragole senza burro, e infine un servizio sul tasso di criminalità. Veniva citato Nelson come fonte dell’affermazione: «Londra è il luogo perfetto per la criminalità. Dobbiamo stare sempre all’erta contro la delinquenza.»