Hume negò l’esistenza di uno spazio assoluto, nel quale ogni cosa avesse un suo posto preciso. Borges nega l’esistenza di un unico tempo, nel quale tutti gli eventi siano collegati.
Jeffty riceveva programmi radio da un luogo che non poteva, secondo logica, esistere nello schema naturale dello spazio-tempo come l’aveva concepito Einstein. Ma questo non era tutto quello che riceveva. Gli arrivavano per posta premi che nessuno fabbricava. Leggeva fumetti defunti da trent’anni almeno. Vedeva film con attori morti da vent’anni. Era il terminal ricevente d’inesauribili gioie e piaceri del passato, che il mondo aveva perduto strada facendo.
Nel suo volo suicida, a capofitto verso Domani Sempre Nuovi e Diversi, il mondo aveva letteralmente raso al suolo la sua reggia di semplici felicità, aveva rovesciato cemento sopra i suoi giardini incantati, disperdendo folletti e fantasie, e tutto questo, miracolosamente, nel più impossibile dei modi, veniva restituito al presente grazie a Jeffty. Rivivificato, aggiornato, reso attuale nel più scrupoloso rispetto della tradizione. Jeffty era un Aladino che non aveva bisogno del genio; la sua stessa natura era la magica lampada che ricreava, concretamente, la sua realtà.
E mi condusse nel suo mondo.
Perché si fidava di me.
Facemmo colazione a base di Quaker Puffed Wheat Sparkies e Ovomaltina bollente che sorseggiammo in tazze di quest’anno della Little Orphan Annie Shake-Up. Andammo al cinema, e mentre tutti si sorbivano una commedia con Goldie Hawn e Ryan o’Neal, Jeffty e io ci godemmo Humphrey Bogart nei panni di Parker, il ladro professionista, nella brillante riduzione di John Huston del romanzo di Donald Westlake, Slayground. Il secondo film in programma era Leinengen Versus the Ants, un film prodotto da Val Lewton, con Spencer Tracy, Carole Lombard e Laird Cregar.
Due volte al mese andavamo all’edicola, ad acquistare i nuovi numeri di «The Shadow», «Doc Savage» e «Startling Stories». Jeffty e io ci mettevamo seduti fianco a fianco e io gli leggevo le riviste. Gli piacquero in particolare il nuovo romanzo breve di Henry Kuttner, The Dreams of Achilles, e la nuova serie di racconti di Stanley G. Weinbaum, ambientati nell’universo subatomico di Redurna. Ci godemmo la prima puntata delle nuove avventure di Conan, scritte da Robert E. Howard (il romanzo, dal titolo Isle of the Black Ones, cominciò ad apparire in settembre sulle pagine di «Weird Tales»); questo ci rianimò, dopo la parziale delusione che ci aveva procurato il quarto romanzo di Edgar Rice Burroughs della serie di Giove, con protagonista John Carter di Barsoom: Corsairs of Jupiter. Ma il direttore di «Argosy All-Story Weekly» promise che vi sarebbero stati altri due romanzi della serie di Giove, e questa inaspettata rivelazione rinnovò i nostri entusiasmi per John Carter.
Leggemmo insieme i fumetti, e ancor prima di ritrovarci e discuterne, Jeffty ed io avevamo deciso entrambi che i nostri personaggi preferiti erano Doll Mann, Airboy e The Heap. Adoravamo inoltre le strisce di George Carlson nei «Jingle Jangle Comics», in particolare il Pie-Face Prince delle storie di Old Pretzelburg, che leggemmo insieme, ridendoci sopra insieme, anche se dovetti spiegare a Jeffty alcune delle battute più sottili, perché era troppo giovane per avere quel genere d’intuito.
Come spiegarlo? Non posso. Avevo studiato abbastanza fisica al college da poterci improvvisar sopra un paio di congetture, ma è più probabile che io abbia torto piuttosto che ragione. Occasionalmente la legge della conservazione dell’energia perde di valore. Queste sono le leggi che i fisici definiscono «debolmente violate». Forse Jeffty catalizzava inconsciamente queste «deboli violazioni» della legge della conservazione, della cui esistenza soltanto adesso cominciamo a renderci conto. Cercai nei testi più recenti qualcosa, in questo campo: decadimenti «proibiti», come ad esempio il decadimento gamma che non comprende il muone neutro fra i suoi prodotti, e simili… ma niente di ciò in cui m’imbattei, neppure le ultime interpretazioni dell’Istituto Svizzero per le Ricerche Nucleari vicino a Zurigo, mi fornirono qualche indicazione. Mi ritrovai a dover accettare quel vago principio filosofico secondo il quale il vero nome della scienza è magia.
Nessuna spiegazione, ma un periodo terribilmente bello.
Il periodo più felice della mia vita.
Avevo il mondo reale, il mondo del mio negozio, dei miei amici e della mia famiglia, il mondo dei profitti e delle perdite, delle tasse e degli acquisti, della politica, delle ragazze, del caffè che aumentava sempre di prezzo e dei forni a microonde.
E avevo il mondo di Jeffty nel quale esistevo soltanto quand’ero con lui. Le cose del passato, che lui conosceva così fresche e nuove, potevo sperimentarle soltanto quand’ero in sua compagnia. E la barriera fra i due mondi divenne sempre più sottile, luminosa e trasparente. Io avevo il meglio dei due mondi. E sapevo, in qualche modo, che non avrei potuto portare niente dall’uno all’altro.
L’essermi dimenticato di ciò per un solo istante, tradendo Jeffty in un attimo di distrazione, causò la fine di tutto.
Mi divertivo così tanto che divenni imprudente e non considerai con la dovuta attenzione quanto fosse realmente fragile il. rapporto fra il mondo di Jeffty e il mio. Perché il presente invidia l’esistenza del passato. Non lo compresi mai, finché non fu troppo tardi. In nessun libro sulle belve feroci, dove la sopravvivenza viene raffigurata a base di battaglie fra artigli e zanne, tentacoli e sacche di veleno, è illustrata la ferocia con cui il presente guata sempre il passato. In nessun luogo esiste una descrizione di come il presente sta in agguato, pronto, in attesa che Quello Che Era diventi Adesso, Questo Momento, per farlo a brani con le sue fauci spietate. Chi poteva sapere una cosa del genere… a un’età qualunque… e non certamente alla mia età… Chi poteva capire una cosa del genere?
Sto cercando di discolparmi, ma non posso. Fu colpa mia.
Era un altro sabato pomeriggio.
— Che cosa danno, oggi? — gli chiesi, mentre ci recavamo in macchina in centro.
Lui alzò lo sguardo su di me dall’altro lato del sedile anteriore e mi gratificò di uno dei suoi meravigliosi sorrisi: — Ken Maynard in Bullwhip Justice e L’uomo disintegrato. — Continuò a sorridermi, sapendo di avermi genuinamente sorpreso. Lo fissai, incredulo.
— Stai scherzando! — esclamai, deliziato. — L’uomo disintegrato di Bester? — Egli annuì, deliziato che io fossi deliziato. Sapeva che era uno dei miei libri preferiti. — Oh, ma è magnifico!
— Stramagnifico — disse lui.
— E chi c’è?
— Franchot Tone, Evelyn Keys, Lionel Barrymore e Elisha Cook jr. — Lui ne sapeva sugli attori molto più di quanto ne avessi mai saputo io. Sapeva i nomi di tutti gli attori di qualunque film avesse visto. Perfino quelli dei caratteristi.
— E i disegni animati?
— Ce ne sono tre, Little Lulu, Paperino e Bunny. E una Pete Smith Speciality, e un Lew Lehr Monkeys da Cr-r-r-aziest Peoples.