Peter spinse la pesante porta di legno del The Bishop e qualche passo più avanti si fermò, per dar tempo agli occhi di adattarsi alla penombra rosata dell’interno. Sulla sinistra c’era una lavagna con le specialità del giorno scritte in verde. Sulla destra era appeso un manifesto della Molson’s Canadian rappresentante una bionda prosperosa in un bikini rosso, con foglie d’acero appiccicate a tutte le curve. Sesso nella pubblicità della birra, pensò Peter: passato, presente, e senza dubbio anche eternamente nel futuro.
Oltrepassò il pergolato e girò lo sguardo per il pub, in cerca di Cathy. Lunghi tavoli di legno grigio angolati apparentemente a caso riempivano tutta la sala anteriore del locale, come portaerei ancorate in una baia affollata. Nella sala posteriore due persone stavano giocando con le freccette.
Ah, eccoli là: riuniti intorno a un tavolo presso la parete di fondo. Quelli che davano le spalle al muro — decorato con un altro poster delle femmine Molson’s — sedevano su un divano rosso. Gli altri occupavano sedie dallo schienale alto, e tutti avevano i loro drink in mano. Alcuni si dividevano una coppa di narchos. Il tavolo era abbastanza lungo da consentire lo svolgersi di due o tre conversazioni separate, per partecipare alle quali si doveva alzare la voce sopra la musica, una vecchia canzone di Mitsou, diffusa a un volume maggiore di quello che gli avventori del locale avrebbero gradito.
Cathy era una conversatrice brillante; questa era stata una delle prime cose che lo avevano attratto di lei. Soltanto in un secondo tempo Peter aveva rimodellato i suoi canoni di bellezza femminile, che in precedenza tendevano verso le bionde prosperose, accorgendosi che trovava eccitanti le labbra sottili di Cathy e i suoi capelli, neri come il giaietto. Sedeva sul divano, con due colleghi — Toby, si chiamava così? e quello zoticone di Hans Larsen — a destra e a sinistra, cosicché non avrebbe potuto uscire se uno di loro non si fosse alzato per primo.
Cathy girò lo sguardo da quella parte mentre Peter si avvicinava, sorrise del suo radioso sorriso e agitò una mano. Peter provava ancora un fremito quando la vedeva sorridere in quel modo. Avrebbe voluto sedersi al suo fianco, ma la posizione degli individui che le stavano attorno lo rendeva impossibile. Lei sorrise ancora, con espressione calda e affettuosa; poi scrollò le spalle in segno di scusa e gli accennò di prendere una sedia libera dal tavolo accanto. Peter eseguì, e i colleghi di lei si scostarono docilmente per fargli posto. Si trovò seduto fra una delle truccatissime giovani donne alla sua sinistra — segretarie e direttrici di produzione, accomunate dal fatto che usavano troppo makeup e abiti molto stretti, e il pseudointellettuale alla sua destra. Come al solito, Pseudo aveva un lettore acceso davanti a sé, con a schermo la copertina dell’ultimo best seller di cui si discuteva nei talk show e quella di un romanzo di Proust. Bastardo vanitoso.
— ‘Sera, Doc — disse Pseudo.
Peter sorrise. — Come ti va?
Pseudo era sulla cinquantina, magro e sofferto come la figura della Vittoria sulla Stanley Cup. Aveva capelli lunghi, poco puliti, e unghie lunghe poco pulite. Un Howard Hughes in addestramento.
Anche gli altri presero atto della presenza di Peter, e dalla parte opposta del tavolo Cathy gli elargì un secondo sorriso speciale. Il suo arrivo aveva momentaneamente interrotto le varie conversazioni. Hans Larsen, sulla destra di Cathy, approfittò di quell’opportunità per afferrare l’attenzione di tutti. — La mia vecchia palla-al-piede non è a casa, stasera — annunciò ai colleghi. — È fuori, a far visita alle sue nipoti. — Hans non sembrava dar peso al fatto che fossero anche le sue nipoti. — Questo significa che sono libero. Lo dico per le signore.
Le signore intorno al tavolo sbuffarono o ridacchiarono.
Erano abituate a sentirgli fare quelle battute. Hans Larsen non era quel che si poteva definire un bell’uomo: aveva capelli biondo-sporco e una faccia squadrata che ricordava Pillsbury Doughboy. Tuttavia la sua incrollabile sfacciataggine aveva una specie di fascino perverso. Perfino Peter, che trovava disgustosa la sua infedeltà coniugale, doveva ammettere che in quell’individuo c’era qualcosa di attraente.
Una delle truccatissime ragazze si girò a guardarlo. Il suo rossetto scarlatto era stato applicato alquanto all’esterno delle labbra per modificarne la forma. — Mi spiace, Hans, ma ormai ho appuntamento col parrucchiere… stanotte.
Risate generali. — Che male c’è se mi piace farmi lavare i capelli a letto? — continuò la ragazza. Altre risate. Peter si girò a guardare il pseudointellettuale per vedere se il concetto di lavaggio dei capelli gli faceva balenare alla mente qualcosa di dimenticato. — Del resto — continuò lei, — una ragazza non deve scendere sotto i suoi standard. E temo che i tuoi standard dovrebbero ingrossarsi parecchio per arrivare ai miei.
Toby, sulla sinistra di Cathy, ridacchiò. — Già — commentò. — Non per nulla lo chiamano piccolo Hans.
Larsen sorrise da un orecchio all’altro. — Come il mio paparino usava dire, ciò che conta non è la quantità ma la qualità. — Guardò la ragazza dalle labbra scarlatte. — Inoltre, non colpire sotto la cintura… finché non sei stata colpita sotto la cintura da me! — E ruggì una risata, soddisfatto della sua spiritosaggine. — Domanda pure a Jean Marie, se non ci credi. Lei può darti le mie referenze.
— Anna Marie — lo corresse Cathy.
— Io la chiamo sempre «la mia cavallina» — disse Hans, agitando una mano per mostrare che quei particolari non gli importavano. — Ma se lei non vuole darti le mie referenze, puoi chiederle alla bionda dell’ufficio clienti… quella che non indossa mai il reggiseno.
Peter si stava già stancando di quelle chiacchiere. — Perché non provi a portarti a casa quella bionda lì? — disse, indicando la ragazza sul manifesto della Molson’s. — Così, se tua moglie rientra senza preavviso e vi trova a letto, puoi sempre ripiegarla sotto il cuscino e dire che ti stavi facendo una cavallina da solo.
Hans ruggì un’altra risata. Era di carattere gioviale, Peter doveva ammetterlo. — Ehi, il Doc ha fatto una battuta! — esclamò, guardando gli altri uno per uno come per invitarli a meravigliarsi di quella inaspettata novità. Imbarazzato Peter si girò da un’altra parte, e si accorse di aver attirato lo sguardo del cameriere del pub. Gli fece cenno, e il ragazzo si avvicinò al tavolo. Peter ordinò un succo d’arancia; non beveva alcolici.
Hans non era però tipo da lasciar perdere, anche quando non era il caso d’insistere. — Avanti, Doc, coraggio. Raccontaci un’altra barzelletta. Devi averne sentite raccontare un sacco, col tuo lavoro… una più stupida dell’altra. — E rise ancora.
— Be’ — si adattò Peter, decidendo di fare uno sforzo per amore di Cathy, — ieri parlavo con un avvocato, e lui me ne ha raccontata una divertente. — Due delle ragazze ripresero ad annusare il narchos, evidentemente poco interessate alle sue barzellette, ma il resto del gruppo lo guardò con aria d’attesa. — Dunque… c’era una donna che aveva ammazzato il marito colpendolo alla testa con un contenitore di olio e aceto per le insalate. — Quando la barzelletta era stata raccontata a lui parlava di un marito che aveva ammazzato la moglie, ma Peter non potè resistere alla tentazione di rovesciare i ruoli, nella speranza di far scivolare nella mente di Hans l’idea che sua moglie poteva non approvare che lui facesse il cascamorto con le colleghe di lavoro.
— La donna fu arrestata — continuò Peter, — il caso venne portato in tribunale, e il pubblico ministero presentò l’arma del delitto. Prese la doppia ampolla che era sulla sua scrivania, ancora piena a metà di olio e di aceto, e la portò verso la Corte. «Vostro onore» disse al giudice, «questo è lo strumento con cui il delitto è stato compiuto. Voglio iscriverlo agli atti come prova numero uno.» E sollevò l’ampolla verso la luce. «Come lei può vedere, contiene ancora una certa quantità d’olio e di aceto.» In quel momento l’avvocato della difesa balzò in piedi e agitò un pugno. «Obiezione, Vostro Onore!» gridò. «Questa prova non è immiscibile!»