— Cinque. Quattro. Tre.
— A un anno migliore — disse Cathy.
Migliaia di voci tuonarono dagli altoparlanti stereo: — Buon anno!
Peter si piegò verso sua moglie e la baciò.
L’orchestra cominciò a suonare le note di Auld Lang Syne.
Cathy guardò Peter dritto negli occhi. — Ti amo — disse, e lui seppe che quelle parole erano vere, seppe che non c’era inganno. Aveva fiducia in lei, completamente, senza riserve.
Guardò nei suoi grandi occhi pieni di luce e sentì un impeto di emozione, quella specie di selvaggia tristezza/felicità che era sia biologica che intellettuale, del corpo e della mente… il fremito ormonale dell’emotività che apparteneva alla natura umana.
— Anch’io ti amo — disse. La circondò con le braccia e la strinse a sé, con calore. — Ti amo con tutto il cuore, e con tutta l’anima.
Spirito sapeva quale fosse stata la scelta di Peter Hobson. Dell’altro Peter Hobson, cioè. Quello di carne ed ossa. Quali che fossero le risposte alle sue domande sulla vita dopo la morte, prima o poi le avrebbe sapute. Spirito aveva sofferto per la morte di suo fratello e ne sentiva la perdita… ma soffriva anche per se stesso, quel «se stesso» artificiale che in vita non avrebbe mai avuto accesso ai dati dell’aldilà.
Comunque, se il Peter biologico sarebbe alla fine andato a togliersi ogni curiosità dinnanzi al suo Creatore, Spirito — la simulazione di un’anima — era diventato un creatore. In quegli anni le Reti erano cresciute in modo esponenziale. Un enorme numero di sistemi, una enorme quantità di risorse. E di quell’immenso cervello, così come nel cervello biochimico dell’uomo, soltanto una frazione veniva effettivamente usata. Spirito non aveva avuto difficoltà nel trovare tutte le risorse che gli servivano per scolpire e modellare un nuovo universo, e se ne era impadronito.
Poi, come ogni vero creatore, aveva fatto un giorno di pausa per riflettere sulla sua opera.
D’accordo, era soltanto vita artificiale.
Tuttavia anche lui era esattamente questo. O meglio, lui era vita artificiale dopo la morte. Ma non per questo si sentiva meno reale. E forse, in ultima analisi, questo era ciò che contava davvero.
Peter — l’organico, chimico Peter legato alla sua carne — sapeva, dentro di sé, che la vita di un simulacro non era reale, non era biologica, e quindi non esisteva.
Ma Peter non aveva fatto le esperienze che Spirito stava facendo negli straordinari labirinti virtuali dell’energia.
Cogito, ergo sum.
Nessuno può negare che penso, nessuno osi negare che esisto.
Spirito non era solo. La sua ecologia artificiale aveva continuato a evolversi, con lui come giudice di ciò che era giusto. Spirito imponeva i suoi criteri di selezione. Spirito modellava la direzione che la vita doveva prendere.
E alla fine aveva trovato l’algoritmo genetico che desiderava trovare, lo schema capace di svilupparsi col maggiore successo nel particolare ambiente del suo mondo simulato.
Nella realtà di Peter e di Cathy Hobson la migliore strategia di sopravvivenza per una specie consisteva nello spargere i geni degli individui con accoppiamenti continui, distribuendoli alla cieca in tutte le occasioni e direzioni possibili. Questo fatto aveva plasmato il comportamento dell’uomo — in realtà il comportamento di ogni forma di vita sulla Terra — fin dall’inizio.
Ma quella realtà si era sviluppata basandosi sulla scelta casuale. L’evoluzione della vita terrestre, a quel che Spirito poteva capire, non aveva scopi né traguardi finali, e i criteri attraverso cui cercava il successo mutavano col mutare dell’ambiente.
Invece lì, nell’universo che Spirito aveva creato, l’evoluzione era guidata. Non c’era nessuna selezione naturale. C’era soltanto lui.
La sua vita artificiale aveva ormai sviluppato l’intelligenza, il pensiero cosciente, il linguaggio, e una cultura. Le sue creature rivaleggiavano con gli esseri umani in complessità e sfumature. Differivano soltanto in un modo, importante e fondamentale: per i figli di Spirito l’unica strategia che funzionava, l’unica che trasferiva i geni di un individuo nella generazione successiva, non prevedeva l’indebolimento dei fattori di sopravvivenza attraverso la mescolanza casuale di due individui.
Era occorso molto perché la sua evoluzione simulata sviluppasse organismi che funzionavano in quel modo, organismi per cui la monogamia era la migliore tattica di sopravvivenza, organismi che prosperavano grazie alla sinergia di due, e soltanto due, esseri uniti in una vera coppia legata per la vita.
C’erano state conseguenze sia sottili che macroscopiche. Al livello più esteriore Spirito era stato sorpreso nel constatare che quelle creature non facevano la guerra, non lottavano per sopraffare i vicini, e non complottavano per impadronirsi del territorio altrui.
Ma questo era un vantaggio.
Una vita di buoni contatti sociali. Una vita senza criminalità.
Spirito abbassò lo sguardo sul suo nuovo mondo, il mondo che lui aveva creato, il mondo dove lui era Dio.
E per la prima volta da molto tempo a quella parte capì che avrebbe voluto compiere un’azione fisica; avrebbe voluto fare una cosa che richiedeva la carne e il sangue, i muscoli e le ossa.
Avrebbe voluto sorridere.
Ringraziamenti
Questo romanzo è venuto alla luce con l’aiuto di molti spiriti eletti, fra i quali Christopher Schelling e John Silbersack di HarperCollins, Stanley Schmidt di Analog, e Richard Curtis, il mio agente. I consigli professionali del Dr. David Gotlib mi sono stati molto preziosi. Ho tratto sostegno dalle opinioni di scrittori già affermati, come Barbara Delaplace, Terence M. Green, Edo van Belkom e Andrew Weiner. Nello stesso modo, utili idee mi sono state suggerite da alcuni amici: Shaheen Hussain Azimi, Asbed Bedrossian, Ted Bleaney, David Livingstone Clink, Richard Gotlib, Howard Miller e Alan B. Sawyer. Un ringraziamento speciale all’Ontario Arts Council per avermi fornito una riserva di talenti a cui attingere nella creazione di questo romanzo. E infine, sono profondamente grato a mia moglie, Carolyn Clink.
Robert J. Sawyer