L’impronta del pollice di Cathy fece scattare la serratura della porta, e Peter la seguì nell’interno. — Siamo qui! — chiamò la giovane donna; sua madre apparve in cima alle scale per salutarli. Bunny Churchill (che le piacesse o meno, questo era il suo nome) era una donna piccola e ben curata, di sessantadue anni, coi capelli grigi. A Peter piaceva immensamente. Cathy si tolse la pelliccia e andò nel soggiorno. Erano molti anni che Peter veniva in casa dei suoceri, ma ancora non s’era abituato a quella stanza. A parte le poltrone l’unico mobile era uno scaffale piuttosto piccolo, su cui c’era un impianto audio CD e alcuni dischi video, uno dei quali conteneva una collezione di tutti i Calendari con le Playmate di Playboy pubblicati dal 1998.
Il padre di Cathy era un professore di educazione fisica. Quando Peter andava al liceo gli insegnanti di ginnastica gli avevano tormentato l’esistenza, convincendolo che non tutti i professori di scuola erano necessariamente forniti di intelligenza umana. E Rod Churchill, che dirigeva la sua famiglia come fosse una squadra di football delle scuole superiori, non gli aveva fatto cambiare idea.
Tutto era regolato e scandito dall’orologio; anche quel pomeriggio Bunny stava correndo per la casa in modo da poter servire la cena alle sei in punto e non un minuto più tardi. Tutti conoscevano il loro posto a tavola, e sia prima che dopo il pasto tutti si spostavano seguendo le istruzioni dell’Allenatore Rod.
Appena tutto fu pronto Rod gettò un’occhiata all’orologio e sedette a capotavola, con Bunny all’estremità opposta e Peter e Cathy che si fronteggiavano sui due lati più lunghi. Questo consentiva loro di distrarsi facendo piedino, quando Rod s’imbarcava in una delle sue storie lunghe e noiose.
Le cene della prima-domenica-del-mese ruotavano su tre soli menu: tacchino, roast-beef, e pollo arrosto. Quel mese toccava al tacchino. Rod impugnò il coltello da carne e fece le porzioni. Per primo serviva sempre Peter. — L’ospite ha la precedenza — disse anche quella volta, senza rendersi conto che dopo tredici anni di matrimonio con sua figlia trattare Peter come un estraneo non era poi una gran cortesia. — So cosa ti piace di più, Peter… ecco qua, la coscia, ben rosolata.
— A dire la verità preferisco la carne bianca del petto.
— Credevo che ti piacesse la coscia.
— Mi piace la coscia del pollo — precisò Peter, come precisava ogni tre mesi. — Quando c’è tacchino, preferisco la carne bianca del petto.
— Ne sei sicuro? — domandò Rod.
No, faccio ogni volta questa fottuta scena perché sono stupido. — Sì.
Rod scrollò le spalle e cominciò a tagliare fette dal petto. Era un uomo abbastanza vanitoso. A un anno dalla pensione portava i capelli (ciò che ne restava) tinti di uno scintillante colore bruno rame. Li teneva lunghi sul lato destro in modo da poterli pettinare sopra la vasta calvizie centrale. Un Dick Van Patten in tuta da ginnastica.
— Cathy voleva sempre la coscia, quand’era bambina — disse Rod. — Strano come cambiano i gusti.
— Mi piace ancora — disse Cathy, ma Rod parve non sentirla.
— Le davo sempre la coscia più grossa, e poi stavo a Guam-dare mentre ne mangiava enormi bocconi.
— La incoraggiavi a ingozzarsi. Ma lei avrebbe potuto soffocarsi con una cartilagine e morire — disse Bunny.
Rod grugnì. — I bambini sanno badare a se stessi meglio di noi — sentenziò. — Ricordo ancora quella volta che cadde dalle scale.
Rise, come se la vita fosse una commedia e la loro casa nulla più di un palcoscenico. Indicò Bunny a Peter. — Mia moglie era più agitata della bambina. Cathy aspettò di avere un pubblico di estranei prima di cominciare a piangere. — Scosse il capo. — I bambini hanno le ossa di gomma. Ecco qua… — Consegnò a Peter un piatto con due malridotte fette di petto di tacchino. Lui prese il cucchiaio e si servì dal vassoio delle patate fritte. Le riunioni del venerdì sera al The Bent Bishop non gli sembravano molto insopportabili, in quei momenti.
— Restai ingessata per cinque settimane — si giustificò Cathy.
Rod ridacchiò. — Che botta facesti, sul pavimento.
Peter aveva una lunga cicatrice su un polpaccio, ricordo di un incidente avvenuto a scuola durante una lezione di ginnastica. Quel dannato insegnante non s’era accorto del bullone che sporgeva dal suo dannato cavallo con maniglie. Un tipo allegro ed energico, proprio come Rod. Attese che gli altri si fossero serviti, si versò un po’ di salsa e passò la tazza al padrone di casa.
— No, grazie — disse Rod. — Devo fare a meno della salsa, da qualche giorno.
Peter pensò di chiedergli il perché, poi decise di non farlo e passò la tazza a Cathy. Si girò verso la suocera e sorrise. — E lei ha qualche novità, Bunny?
— Oh, sicuro — annuì la donna. — Ho cominciato un corso, ogni mercoledì sera… lezioni di francese. Ho deciso che è dovere di ogni buon cittadino imparare questa lingua.
Peter ne fu impressionato. — Un’ottima idea — si complimentò. Guardò il suocero. — Questo significa che lei resta a casa da solo tutti i mercoledì sera? E per la cena?
Rod grugnì con aria infelice. — La ordino al Food Food.
Peter lo compatì annuendo, con un sorrisetto.
Cathy si volse a sua madre. — Questo tacchino è delizioso.
— Grazie, tesoro — disse Bunny. Sospirò. — Sai, ricordo ancora quando recitavi la parte del tacchino, nello spettacolo scolastico, per la festa del Ringraziamento.
Peter inarcò un sopracciglio. — Sul serio recitavi a scuola, Cathy? Non me l’hai mai detto. — Guardò il suocero. — Ed era una brava attrice?
— Ah, non lo so. Non sono mai andato a vederla. Stare lì mentre dei bambini travestiti starnazzano su un palcoscenico non è la mia idea di una serata divertente.
— Ma lei era sua figlia — osservò Peter, e subito si pentì di averlo detto.
Rod si servì un’altra porzione di carote bollite. Peter sospettava che se l’uomo avesse avuto un figlio maschio sarebbe andato a vederlo giocare nella Little League.
— A papà i bambini non sono mai interessati molto — disse Cathy, con voce accuratamente neutra.
Rod annuì, come se quella fosse l’unica e la più ragionevole linea di condotta per un padre. Peter accarezzò dolcemente una caviglia di Cathy con un piede.
Capitolo quarto
Il mondo attraversa due stagioni in sei mesi. Dovrebbe sorprenderci che anche altre cose cambino molto in quel periodo di tempo?
Peter aveva pagato per avere a schermo il Time di quella settimana su Internet, e stava guardando i titoli. Notizie dal mondo, con video interattivi. Politica interna. Cultura. Cronaca nera. Cronaca spicciola.
Cronaca spicciola.
Nascite, matrimoni, divorzi, decessi.
Non tutta la cronaca della vita umana era così scarna. Chi poteva leggere in quelle date spoglie la disintegrazione di una storia d’amore? Quali note giornalistiche potevano riassumere lo svuotarsi di un sentimento, la perdita di ciò che era stata l’anima di una coppia? Dov’era l’articolo che riportava la nascita di un affetto, o la morte della felicità?
Peter ricordava com’erano stati i pomeriggi del sabato fino a sei mesi prima. Pigri. Affettuosi. Leggere una rivista insieme. Guardare un po’ di TV seduti sul divano. A un certo punto alzarsi e andare in camera da letto.
Cronaca spicciola.
Cathy scese dal piano di sopra. Peter si girò un momento verso le scale.