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«Raggio di Schwarzschild? Si spieghi meglio, la prego». Eloise si rese conto che era stato Lucifero a parlare tramite lei.

«Se ci riesco senza ricorrere a termini matematici. Vede, questa massa che stiamo per studiare è così grande e così concentrata che nessuna forza può superare quella gravitazionale. Non c’è nulla che possa controbilanciarla. Perciò il processo continuerà finché neppure la minima quantità di energia potrà sfuggire alla stella. Ed essa sarà praticamente sparita dall’universo. In realtà, la contrazione continuerà fino a raggiungere il volume zero. Naturalmente, come ho detto, per quanto ci riguarda la cosa durerà in eterno. E la teoria ignora le considerazioni sui quanti meccanici che entrano in gioco verso la fine. Non si è ancora capito bene come funzionano. Spero di saperne di più proprio con questa missione». Mazundar si strinse nelle spalle. «In ogni modo, signorina Waggoner, mi stavo domandando se la variazione di frequenza conseguente non potrebbe impedire al nostro amico di comunicare con noi, quando fosse vicino alla stella».

«Ne dubito». Era stato ancora Lucifero a parlare; lei era il suo strumento, e non si era mai resa conto di quanto fosse bello essere utile a qualcuno a cui si voleva bene. «La telepatia non è un fenomeno di onde. Non potrebbe esserlo, dal momento che la trasmissione è istantanea. Né sembra che sia limitato dalla distanza. Piuttosto, è un fatto di risonanza. Poiché siamo in sintonia, noi due possiamo continuare benissimo a comunicare per tutta l’ampiezza del cosmo; e non so di alcun fenomeno materiale che potrebbe interferire».

«Capisco». Muzundar lo fissò a lungo. «Grazie», disse poi, un po’ a disagio. «Ah… Devo ritornare al mio posto. Buona fortuna». E si dileguò senza attendere la risposta.

Eloise non ci fece caso. La sua mente era diventata una fiamma e un canto. «Lucifero!», esclamò ad alta voce. «È vero?».

«Credo di sì. Noi siamo tutti telepatici, e quindi ne sappiamo in proposito più di voi. La nostra esperienza ci porta a pensare che non vi siano limiti.»

«Puoi essere sempre con me? Lo vorrai sempre?».

«Se desideri così, ne sono ancora più contento.»

Il corpo a forma di cometa volteggiò e danzò, il cervello di fuoco rise sommessamente. — Sì, Eloise, mi piacerebbe molto rimanere con te. Nessun altro ha mai… Gioia. Gioia. Gioia.

Ti hanno dato un nome migliore di quanto immaginassero, Lucifero, lei voleva dire, e forse lo disse. Pensavano che fosse uno scherzo, e che, chiamandoti come il diavolo, potessero farti diventare piccolo e innocuo come loro. Ma Lucifero non è il vero nome del diavolo. Significa soltanto «colui che porta la luce». C’è perfino una preghiera latina che si rivolge a Cristo chiamandolo Lucifero. Perdonami, Dio, non posso fare a meno di ricordarlo. Ti dispiace? Lucifero non è cristiano, ma non credo che abbia bisogno di esserlo; credo che non abbia mai saputo che cos’è il peccato. Lucifero, Lucifero.

Lei continuò a far andare la musica finché le fu consentito.

La nave balzò. Con un unico cambiamento di parametri si avvicinò di venticinque anni luce alla distruzione.

Ciascuno visse la cosa a suo modo, tranne Eloise che la divise con Lucifero.

Lei avvertì l’urto e udì il metallo straziato gridare, sentì l’odore dell’ozono e la puzza di bruciato e precipitò per l’infinita caduta che è l’assenza di peso. Intontita cercò a tastoni l’intercom. Ne uscirono parole gracchiate: «…Unità saltata… Aumentare forza elettromotrice… Come faccio a sapere per quanto tempo devo fissare quell’affare?… Allontanarsi, allontanarsi…». E su tutto l’ululare della sirena d’emergenza.

Il terrore le crebbe dentro, e lei si aggrappò al crocifisso che portava al collo, e alla mente di Lucifero. Poi sorrise, orgogliosa della forza di lui.

Lucifero era schizzato via dalla nave appena dopo l’emersione, e ora fluttuava lungo la stessa orbita. Tutto intorno a lui la nebulosa riempiva lo spazio di mutevoli arcobaleni. Per lui, la Raven non era il cilindro metallico che avrebbero visto occhi umani, ma uno scintillio, con lo schermo protettivo che rifletteva l’intero spettro cromatico. Più avanti c’era il nucleo della supernova, piccolo a quella distanza, ma luminosissimo.

«Non aver paura (la accarezzò). Io capisco. Il tumulto è vasto, subito dopo la detonazione. Siamo emersi in una regione in cui il plasma è particolarmente denso. Rimasto senza difesa prima che lo scudo protettivo fosse ristabilito, il vostro generatore principale esterno allo scafo è andato in corto circuito. Ma siete salvi. Potete effettuare le riparazioni. E io mi trovo in un oceano di energia. Non mi sono mai sentito così vivo. Vieni, dividi con me queste onde.»

La voce del capitano Szili la richiamò bruscamente alla realtà. «Waggoner! Dica a quell’aurigeo di darsi da fare. La nostra orbita intercetta una sorgente di radiazioni, e forse i nostri schermi non ce la faranno a sopportarla». Diede le coordinate. «Che c’è?».

Per la prima volta, Eloise sentì l’allarme in Lucifero. Lui si incurvò e si allontanò dalla nave.

Subito le giunse il suo pensiero, non meno vivido. Non riuscì a trovare le parole per descrivere il terribile splendore che vedeva insieme a lui: una sfera di gas ionizzato grande un milione di chilometri, dove la luminosità avvampava e le scariche elettriche guizzavano, rimbombando attraverso la nebbia che circondava il cuore esposto della stella. Tutto ciò non poteva fare alcun rumore, perché lì lo spazio era un vuoto assoluto, secondo i limitati parametri terrestri; ma lei udì il tuono, e avvertì la furia che ne sgorgava.

Eloise disse per lui: «Una massa di materiale espulso. Deve aver perso la velocità radiale per l’attrito e per i gradienti statici, essere stata attratta in un’orbita cometaria e tenuta insieme per un po’ dai potenziali interni. Come se questo sole stesse ancora cercando di far nascere pianeti…».

«Ci colpirà prima che possiamo accelerare», disse Szili. «e si scaricherà sullo scafo. Se conosce qualche preghiera, la reciti».

«Lucifero!», gridò la ragazza; perché lei non voleva morire, se lui sopravviveva.

«Penso di poterla deflettere abbastanza», le disse con un accanimento che non aveva mai trovato in lui. «I miei campi mescolati ai suoi; ed energia libera da assorbire; e una configurazione instabile; sì, forse posso aiutarvi. Ma aiutami anche tu, Eloise. Combatti al mio fianco.»

La sagoma luminosa si diresse verso il mostro.

Lei sentì come il caotico campo elettromagnetico attanagliò quello di Lucifero. Lo sentì scuotersi e lacerarsi. Provò il suo dolore. Lui lottò per mantenere la propria coesione, e lei lottò con lui. L’aurigeo e la nube di gas si fusero insieme. Le forze che gli davano forma abbrancarono come se fossero delle braccia; riversò energia dal suo interno, trascinando con sé quella massa enorme e rarefatta lungo il torrente magnetico che scaturiva dalla stella; inghiottì atomi e li scagliò di nuovo fuori finché il getto si riversò per il cielo.

Lei se ne stava seduta nel suo cubicolo, offrendogli tutto il desiderio di vivere e di trionfare sulla nuvola che poteva dargli, picchiando i pugni sul tavolo fino a farli sanguinare.

Passarono le ore, sempre in quel frastuono.

Alla fine lei riuscì appena a cogliere il messaggio che sgorgò flebile dalla spossatezza di lui. «Vittoria.»