«Jane!» fece una voce.
Vickers alzò la testa, e vide una donna, elegante e bella di una bellezza matura, che gli sorrideva.
«Non le dia retta, signor Vickers,» disse.
«Oh, non mi disturba certamente. È una bambina meravigliosa.»
«Io sono la signora Leslie,» disse la donna, «la mamma di Jane. Siamo vicini da tanto tempo, ormai, ma non ci siamo mai incontrati personalmente.»
La donna sedette al tavolo.
«Ho letto alcuni dei suoi libri,» disse, «e sono davvero splendidi. Purtroppo, però, non li ho letti tutti. Ho così poco tempo.»
«Grazie, signora Leslie,» disse Vickers, e si chiese se lei avrebbe pensato che la ringraziava perché non aveva letto tutti i suoi libri.
«Avevo intenzione di venirla a trovare,» continuò la signora Leslie. «Stiamo organizzando un Circolo Finzionista, e io ho il suo nome nel mio elenco.»
Vickers scosse il capo.
«Ho molto da fare,» disse, «E per principio non faccio parte di nessun circolo.»
«Ma questo,» disse la signora Leslie, «sarebbe proprio… be’, si può dire che è del suo genere.»
«Le sono grato per avere pensato a me.»
La signora Leslie rise.
«Lei ci giudicherà un po’ sciocchi, signor Vickers.»
«No,» disse lui, «Non sciocchi.»
«Infantili, allora.»
«Visto che lei mi ha suggerito questa parola,» disse Vickers, «sì, sono d’accordo. Sì, devo ammetterlo, mi sembra un po’ infantile.»
L’ho fatta grossa, pensò. Adesso rigirerà il discorso in modo da far sembrare che sono io e non lei a dirlo. Racconterà ai vicini che io ho le detto in faccia che il circolo è una cosa infantile.
Ma la donna, stranamente, non sembrava offesa, e neppure risentita.
«Sì, immagino che debba sembrare infantile a uno come lei, che ha tanto da fare a ogni minuto, che ha tutte le ore della giornata piene. Ma vede, mi hanno detto che è un sistema eccellente per trovare un interesse… un interesse al di fuori di quelli abituali, voglio dire.»
«Non ne dubito,» disse Vickers.
«C’è molto da lavorare, a quanto ho capito. Quando lei ha deciso il periodo nel quale le piacerebbe fingere di vivere, deve leggere il più possibile su quell’epoca, e far molte ricerche, e poi bisogna tenere il diario, giorno per giorno, per esporre tutte le attività quotidiane, e non soltanto un paio di frasi: e bisogna renderlo interessante, se possibile emozionante.»
«Vi sono molti periodi storici,» disse Vickers, «che possono venire resi emozionanti.»
«Sono lieta che lei la pensi così,» fece la signora Leslie, di slancio. «Potrebbe suggerirmene uno? Se lei dovesse scegliere un periodo molto emozionante, signor Vickers, quale preferirebbe?»
«Mi dispiace, ma dovrei pensarci meglio.»
«Ma ha detto che ce ne sono tanti…»
«Lo so. Ed è vero. Eppure, pensandoci bene, mi sembra che anche quello attuale potrebbe essere emozionante… quanto tutti gli altri.»
«Ma come? Se non succede niente?»
«Succedono troppe cose,» la corresse Vickers.
Era un’idea penosa, naturalmente… adulti che fingevano di vivere in qualche altra epoca, ammettendo pubblicamente di non essere capaci di integrarsi nel loro tempo, di essere costretti a scavare negli avvenimenti del passato per provare il brivido di un’esistenza vicaria. Era il segno di un fallimento nella vita di quegli individui, di un vuoto terribile, che non li lasciava tranquilli, un vuoto urlante che bisognava colmare in qualche modo.
Ricordò le due donne sedute in autobus dietro di lui, e si chiese per un attimo quale soddisfazione vicaria poteva ricavare il Finzionista che viveva il tempo di Pepys. Naturalmente doveva esserci la vita piena dello stesso Pepys, la sua curiosità, gli incontri con tanta gente, le piccole taverne che offrivano formaggio e vino, i teatri, la buona compagnia e le conversazioni a notte inoltrata, i tanti interessi che avevano reso Pepys così pieno di vita, in modo naturale, mentre quei Finzionisti erano così vuoti.
Il movimento, in se stesso, era un’evasione, naturalmente: ma evasione da che? Forse dall’insicurezza. Dalla tensione, dal disagio quotidiano e onnipresente che non sfociava mai nella paura, ma che non si acquietava mai nella serenità. Forse la condizione del non essere mai sicuri… uno stato d’animo che non poteva venire compensato dalla raffinatezza di una tecnologia estremamente avanzata.
«Ormai dovrebbe avere impacchettato il nostro gelato,» disse la signora Leslie, raccogliendo i guanti e la borsetta. «Signor Vickers, lei deve proprio venire a passare una serata con noi.»
Vickers si alzò insieme a lei.
«Ma certo. Una di queste sere… sul presto.»
Sapeva benissimo che non sarebbe andato, e sapeva che lei non voleva in realtà che andasse: ma entrambi rendevano omaggio all’antica favola dell’ospitalità.
«Vieni, Jane,» disse la signora Leslie. «È stato un piacere conoscerla, signor Vickers, dopo tutti questi anni.»
Senza attendere la risposta di lui, si allontanò.
Jane indugiò per qualche istante.
«Sa, signor Vickers, adesso a casa nostra va tutto bene,» disse la bambina. «Mamma e papà hanno rifatto pace.»
«Ne sono contento,» disse Vickers.
«Papà dice che non correrà più dietro alle altre donne.»
«Sono contento anche di questo,» disse Vickers.
La madre chiamò Jane, dall’altra parte del negozio.
«Devo andare, adesso,» disse Jane. Scivolò giù dalla sedia, e corse a fianco della madre, poi si voltò a salutarlo con la mano, mentre uscivano.
Povera piccola, pensò Vickers, che razza di vita l’aspetta. Se io avessi una bambina così… Scacciò quel pensiero. Non aveva nessuna bambina. C’era invece uno scaffale di libri, e c’era il manoscritto che l’aspettava, con tutte le sue promesse e la sua gloria. E all’improvviso si rese conto di quanto fosse fievole la promessa, di quanto potesse essere falsa e superficiale la gloria. I libri e il manoscritto, pensò.
Non erano molto, per costruirci sopra una vita.
Ed era proprio così, naturalmente. Era un problema che non riguardava soltanto lui, ma tutti… nessuno, ormai, pareva avere molto su cui costruire la propria vita. Per tanti anni il mondo aveva vissuto con la guerra o con la minaccia della guerra. Prima era stata una specie di frenesia, di fuga, e poi solo un torpore morale e mentale che non si notava neppure, una condizione che si accettava come un normale modo di vivere.
Non era sorprendente che ci fossero i Finzionisti, si disse. Con i suoi libri e il suo manoscritto, anche lui era uno di loro.
10
Guardò sotto il vaso di fiori, all’angolo del terrazzo coperto per prendere la chiave, ma non c’era; e allora ricordò che aveva lasciato la porta aperta, in modo che Joe potesse entrare a sbarazzarlo dei topi.
Girò la maniglia ed entrò e si avviò per andare ad accendere la lampada sulla scrivania. Sotto la lampada c’era un foglio di carta bianca, coperto di goffi scarabocchi a matita:
Jay: ho fatto il lavoro poi sono tornato indietro e ho aperto le finestre per fare andar via l’odore. Ti darò cento dollari per ogni topo che riesci a trovare. Joe.
Un rumore lo fece voltare, e allora vide che sotto il portico c’era qualcuno, seduto sulla sua sedia preferita, qualcuno che si dondolava avanti e indietro, pigramente, mentre la brace della sigaretta accesa tracciava nell’oscurità una linea sottile, ondulata e danzante.
«Sono io,» disse Horton Flanders. «Ha già mangiato?»