Qualcuno, aveva detto Eb, aveva montato loro la testa. E non era stato difficile montar loro la testa, pensò Vickers. Perché in realtà non chiedevano altro. Le loro giornate scorrevano vuote perché c’erano troppe cose e la mente non riusciva ad assorbirle tutte, e così dovevano rifugiarsi nei giochi dei Finzionisti, oppure cercare di vivere alla giornata, e se accadeva qualcosa che potesse liberarli dalle loro frustrazioni, non avrebbero detto certamente di no. Qualcuno avrebbe potuto montare loro la testa facilmente, soprattutto pensando a Jay Vickers, lo scrittore che se ne stava distaccato da tutti, e aveva la giornata piena, e non aveva bisogno di rifugiarsi, come gli altri, nei giochi senza senso e nelle convenzioni della comunità, e perciò era diverso, un uomo da invidiare…
Qualcuno aveva montato loro la testa, aveva detto Eb; e chi poteva essere stato?
Forse… qualcuno che lo odiava.
Non soltanto perché lui era diverso, non soltanto per quei piccoli motivi che sapeva, ma perché provava per lui un odio vero, autentico.
E mentre lo pensava, comprese chi era. Sentì di nuovo il senso di minaccia, e la paura che aveva provato quando si era trovato faccia a faccia con Crawford… e il pericolo e la paura indistinti che lo avevano indotto a rifiutare la proposta d scrivere il libro per conto di Crawford e dell’organizzazione che lui rappresentava.
C’è sotto qualcosa, aveva detto Horton Flanders, fermo di fronte al negozio di casalinghi.
E c’era sotto qualcosa.
C’erano gli oggetti eterni fabbricati da aziende che non esistevano. C’era un’organizzazione mondiale di uomini d’affari, messa con le spalle al muro da un nemico cui non si poteva restituire colpo per colpo. C’era Horton Flanders che parlava di nuovi, strani fattori che tenevano il mondo lontano dalla guerra. C’erano i Finzionisti, che si nascondevano dalla realtà odierna, e giocavano alla casa delle bambole con il passato.
E, infine, adesso c’era Jay Vickers che fuggiva verso ovest.
A mezzanotte, comprese ciò che stava facendo, e dove stava andando.
Stava andando dove Horton Flanders gli aveva detto di andare, stava facendo ciò che solo poche ore prima aveva detto che non avrebbe fatto mai.
Stava ritornando alla propria infanzia.
18
Loro erano esattamente come lui si aspettava.
Erano seduti davanti all’emporio, sulla panca e sulle casse rovesciate, e lo guardavano a occhi socchiusi, e dicevano: «Peccato per tuo padre, era un così brav’uomo.»
Dicevano: «Dunque scrivi dei libri, adesso. Perdio, un giorno o l’altro dovrò leggerne uno. Non ne ho mai sentito parlare.»
Dicevano: «Vai a casa tua?»
«Questo pomeriggio,» disse Vickers, umilmente.
«È cambiata,» lo avvertirono. «È cambiata parecchio. Adesso non ci abita più nessuno.»
«I campi vanno in malora,» gli dissero. «Non ci si guadagna più niente con la terra. Tutta quella storia dei carboidrati, accidenti a loro. Molti non ce l’hanno più fatta a tenere le loro fattorie. Le banche gliele hanno portate via, oppure hanno dovute venderle per quattro soldi. Molte fattorie, qui in giro, sono state comprate per farci dei pascoli… aggiustano i recinti e ci mettono dentro il bestiame. Non cercano neppure di coltivare la terra. Comprano il bestiame all’ovest e d’estate lo lasciano libero, e poi lo ingrassano per l’autunno.»
«Anche a casa mia è successo lo stesso?»
Quelli annuirono, solennemente.
«Proprio lo stesso, figliolo. Il tizio che l’aveva comprata, dopo che è morto tuo padre, non ce l’ha fatta a mandare avanti.
«Proprio lo stesso, figliolo. Il tizio che l’aveva comprata, dopo che è morto tuo padre, non ce l’ha fatta a mandarla avanti. La terra di tuo padre non è stata la sola. Ce ne sono state tante altre. Ricordi la vecchia tenuta dei Preston, no?»
Vickers annuì
«Be’, è successo lo stesso anche a quella. Proprio la stessa cosa. Eppure era terra buona, ricordi? Una delle migliori. Non c’erano terre migliori in tutta la regione, dico io.»
«Non ci abita più nessuno?»
«Neanche un’anima. Qualcuno ha chiuso con le assi le porte e le finestre. Secondo te, per quale motivo qualcuno avrebbe dovuto prendersi tutto il disturbo di chiudere la casa con delle assi?»
«Non saprei,» disse Vickers.
Il bottegaio uscì fuori, e venne a sedersi sui gradini.
«Dove stai adesso, Jay?» chiese.
«All’est,» disse Vickers.
«Te la passerai bene, immagino.»
«Mangio tutti i giorni.«
«Bene,» disse il bottegaio, «allora non ti va male. Chiunque riesca a mangiare una volta al giorno se la passa bene.»
«Cos’è quell’automobile che hai?» domandò un altro.
«È un nuovo tipo di auto,» spiegò Vickers. «L’ho presa proprio l’altro giorno. Si chiamano Aeterna.»
E loro dissero:
«Che razza di nome da dare a una macchina.»
Dissero: «Immagino che ti sarà costata una barca di soldi.»
Dissero: «Quanti chilometri fa con un litro?»
Lui salì in macchina e se ne andò, attraverso il paesino polveroso, con le vecchie automobili stanche parcheggiate lungo le strade, e la chiesa metodista sulla collina, e i vecchi che camminavano per la via con i bastoni da passeggio e i cani addormentati nella polvere sotto gli arbusti di lillà.
19
Il cancello della fattoria era chiuso con una catena, e la catena era chiusa da un grosso lucchetto, e perciò Vickers fermò la macchina sul bordo della strada e percorse a piedi i quattrocento metri per arrivare fino alla casa.
La strada della fattoria era invasa dall’erba, in certi punti, in altri dalle erbacce e dagli sterpi polverosi, e solo qua e là si scorgevano i solchi lasciati dal passaggio delle ruote. I campi non erano arati, e gli arbusti erano spuntati lungo le recinzioni, e ciuffi di sterpi crescevano nei tratti più impoveriti, là dove anni e anni di coltivazione avevano privato il suolo di ogni energia, di tutta quella forza umida e bruna che rende buona e fertile la terra.
Dalla strada, gli edifici gli erano parsi quali li ricordava, tranquillamente raggruppati, forti dell’aura di casa, ma quando si avvicinò cominciò a scorgere i segni dell’abbandono, e lo colpirono dolorosamente, come schiaffi in pieno viso, e gli parve che fossero altrettanto ingiusti. L’aia intorno alla casa era piena d’erba e di sterpi, e le aiuole erano tutte scomparse, e il rosaio all’angolo del portico stava morendo, era ridotto a una pianta stenta, piena di spine brune, con solo due o tre boccioli mangiati dagli insetti, mentre in passato era sempre stato uno splendore, carico di fiori e di profumi e circondato da nugoli di api ebbre di nettare. Il pruno all’angolo dello steccato era cresciuto enormemente, e lo steccato era traballante, e in certi punti era completamente scomparso. Alcune finestre erano rotte, probabilmente per colpa delle sassate dei monelli che avevano girato in quei paraggi; e la porta che dava sul portico, dietro la casa, si era aperta e dondolava al vento.
Vickers guardò quel grande mare d’erba, avvicinandosi alla casa, stupito nel constatare con quanta tenacia i segni della vita rimanevano ancora abbarbicati a quel luogo, più tenaci delle radici sui dirupi sabbiosi. Là, sull’esterno del camino, c’erano le impronte delle sue mani di bambino di dieci anni, impresse nella calce umida, e un tratto dello scivolo rimaneva ancora, sopra la finestra della cantina, ammaccato dai pezzi di legno gettati giù per alimentare la vecchia caldaia a legna. All’angolo della casa trovò la vecchia vasca da bagno, dove a ogni primavera sua madre aveva piantato i nasturzi, ma la vasca era stata divorata quasi completamente dalla ruggine, ed era rimasto soltanto un mucchio di terra. Il frassino di montagna era ancora là, sull’aia, e Vickers andò nella sua ombra, e alzò gli occhi verso il baldacchino di foglie, e tese la mano e accarezzò il tronco liscio, ricordando che l’aveva piantato lui, da ragazzo, orgoglioso che loro avessero un albero così bello… un albero che solo loro possedevano, un albero che non si trovava nelle case di nessuno dei vicini.