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Sul pendio, dietro la casa, c’erano le stalle, ancora dipinte di bianco, ma di un bianco più smorto e scialbo di un tempo. Dopo le stalle, il terreno discendeva, e davanti a lui si apriva la valle in cui aveva passeggiato, l’ultima volta che l’aveva veduta.

Era una valle fatata, allora, lo ricordava, con i meli in fiore e il canto dell’allodola.

Era fatata, allora. Non lo era stata la seconda volta. Ma la terza?

Si disse che era pazzo, che stava andando a caccia dell’arcobaleno, ma mentre se lo ripeteva, già scendeva il pendio, oltre le stalle, verso la valletta.

Al termine della discesa si fermò e guardò la valle: non era fatata, ma lui la ricordava, come aveva ricordato il chiaro di luna sulle colonne… le colonne c’erano ancora, e anche la valle c’era ancora, e gli alberi erano là dove lui sapeva che dovevano essere, e il ruscello scorreva ancora tra i prati che lo fiancheggiavano.

Cercò di tornare indietro, e non poté: continuò ad avanzare nella valle. Vide i meli selvatici, con i fiori ormai caduti, e un’allodola si levò frullando dall’erba e s’involò alta nel cielo, e il suo volo era veloce e sicuro, e il cielo scoloriva nei suoi occhi mano a mano che lui levava lo sguardo per seguirne il volo.

Per molto tempo rimase a guardare il cielo e gli alberi e la valle. Poi si voltò, lentamente.

Alla fine tornò indietro: era come quella seconda volta. La terza visita, dopotutto, era stata identica alla seconda. Era stata lei che aveva trasformato quella valle prosaica in un luogo incantato. Era stato, dopotutto, un incantesimo dello spirito.

Per due volte aveva passeggiato nei luoghi fatati, per due volte nella sua vita era uscito dalla vecchia, solita Terra conosciuta da sempre.

Due volte. Una volta per una ragazza e in virtù dell’amore che c’era tra loro. E una volta a causa di una trottola.

No, la trottola era stata la prima volta.

Sì, la trottola…

Un momento! Calma, calma!

Ti sbagli, Vickers. Non poteva essere stato così.

Pazzo, pazzo che non sei altro! Perché stai correndo, ora?

21

Il direttore dell’emporio, quando Vickers lo cercò, parve capire benissimo, e immediatamente.

«Sì, vede, io comprendo benissimo quello che prova,» disse. «Anch’io avevo una trottola così, da bambino, ma adesso non ne fabbricano più. Non so perché… hanno smesso così, penso. Ci sono troppi giocattoli di tipo nuovi, sofisticati, automatici, a batteria, pieni di luci e di colori e di meccanismi complicatissimi, giocattoli che sanno fare tutto e insegnano tutto e sono più perfezionati delle macchine che li costruiscono. Ma non c’è niente che valga una buona, vecchia trottola. E ora non le fanno più. Un vero peccato.»

«Soprattutto quelle grosse,» disse Vickers. «Quelle con il manico, e si mettevano sul pavimento, si premeva il manico, e giravano fischiando.»

«Me le ricordo,» disse il direttore. «Ne avevo una anch’io, quand’ero bambino. Mi mettevo seduto e ci giocavo per ore e ore, solo per il piacere di guardarla.»

«Guardava dove finivano le strisce?»

«Non ricordo di avere mai pensato dove potevano andare a finire le strisce. Stavo solo lì seduto, a guardarla girare e ad ascoltare il fischio.»

«Io mi chiedevo sempre dove finivano, le strisce. Sa com’è. Girano in tondo e poi scompaiono, in alto.»

«Mi dica,» disse il direttore, «dove vanno?»

«Non lo so,» ammise Vickers.

«C’è un altro bazar più avanti, un isolato o due più in là,» disse il direttore. «Hanno molto ciarpame, è vero, ma potrebbe essere rimasta una trottola come quella.»

«Grazie,» disse Vickers.

«Potrebbe chiedere anche al negozio di ferramenta qui di fronte. Hanno anche parecchi giocattoli, ma penso che li tengano in cantina. Li tirano fuori soltanto per Natale.» Scosse il capo, pensieroso. «Se per caso trovasse qualcosa, vorrebbe… magari non le dispiacerebbe farmelo sapere?» Sembrava che si vergognasse un poco. «Non so perché, ma adesso che ci penso, sento terribilmente la mancanza di quel genere, nel nostro emporio.»

«Le farò sapere,» disse Vickers.

«Il mondo cambia in fretta,» insisté il direttore. «Lo si capisce dalle piccole cose. Le bombe e i razzi e i sottomarini e tutto il resto sono delle cose lontane. Non c’era niente come le trottole, per affascinare un bambino. Forse se i bambini giocassero oggi con quelle trottole, avrebbero più fantasia.»

«Forse,» ammise Vickers.

L’uomo del negozio di ferramenta disse che sapeva quel che voleva Vickers, ma erano anni che non vedeva più una di quelle trottole. Non ne avevano neppure all’altro bazar. No, disse la commessa, masticando chewing-gum e spingendo nervosamente avanti e indietro una matita nella crocchia di capelli dietro l’orecchio, no, non sapeva dove poteva trovarne una. Non ne aveva mai sentito parlare. Le trottole erano cose che le nonne preparavano per i bambini, quando la gente era molto povera e non aveva altro con cui giocare, vero? Lei non aveva mai sentito dire che si vendessero nei negozi. C’erano tanti altri giocattoli, lì, se voleva qualcosa per un bambino. Come quei nuovi missili che volavano davvero, o il robot che parlava e camminava e rispondeva alle domande, e la metropolitana con i vagoni di ricambio e gli scambi e tutto il resto, dei giocattoli che andavano bene per i bambini, perché i tempi erano cambiati e chi si sarebbe sognato di accontentarsi delle cose vecchie di un tempo?…

Vickers uscì, guardando la folla che andava per compere, nel tardo pomeriggio, in quella cittadina del Midwest. C’erano donne in abiti stampati, e altre donne in eleganti abiti a giacca, e c’erano ragazzi appena usciti da scuola e uomini d’affari usciti per prendere un caffè prima di chiudere la giornata e tornarsene a casa. Più avanti scorse una piccola folla di sfaccendati, raccolti intorno alla sua auto parcheggiata davanti al primo emporio. Era ora di mettere un’altra moneta nel parchimetro, si disse.

Si frugò in tasca, cercando un altro decino di dollaro: ce l’aveva… un decino, un quarto, e una monetina da cinque centesimi. Quando vide le monete nel cavo della sua mano si chiese quanto aveva ancora nel portafoglio, e lo estrasse, lo aprì, e vide che gli restavano soltanto due biglietti da un dollaro.

Poiché non poteva ritornare a Cliffwood, almeno non subito, non aveva più una casa. Aveva bisogno di soldi per l’alloggio e per i pasti e per la benzina… ma soprattutto, più di ogni altra cosa, aveva bisogno di una trottola musicale dipinta a strisce colorate.

Si fermò sul marciapiedi, pensando alla trottola e discutendo con se stesso: la logica gli diceva che doveva sbagliarsi. Non ti sbagli, diceva un’intuizione illogica, dentro di lui. Funzionerà. Aveva funzionato già una volta, quando lui era un bambino, prima che suo padre gli portasse via la trottola.

Cosa sarebbe stato di lui, se non gli fosse stata sottratta quella trottola? Si chiese se sarebbe ritornato continuamente, una volta trovata la strada, in quella terra incantata, e che cosa avrebbe potuto accadere lì, e chi e che cosa avrebbe potuto incontrare, e cosa avrebbe trovato nella casetta nascosta nel bosco. Perché, lo sapeva, dopo un po’ si sarebbe avvicinato a quella casa. Dopo averla spiata abbastanza a lungo, dopo essersi abituato, avrebbe percorso il sentiero nel bosco e si sarebbe avvicinato alla porta, avrebbe bussato.

Si chiese se qualcun altro aveva mai guardato girare una trottola finendo in quella terra incantata. E se alcuni l’avevano fatto, si chiese, che ne era stato di loro?

Il direttore dell’emporio non l’aveva fatto, ne era sicuro, perché aveva detto che non si era mai chiesto dove andassero a finire le strisce. Era solo rimasto seduto a guardare e ad ascoltare il fischio.