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Qualcosa.

Che cosa gli stava accadendo?

Che cosa gli stava accadendo, in realtà, dal mattino nel quale la bambina, Jane, aveva bussato alla porta e aveva chiesto di fare colazione con lui?

Quante cose lui sapeva, e aveva dimenticato, e quante altre cose credeva di ricordare, ed erano diverse da com’erano in realtà?

La cameriera ritornò, si fermò, puntellandosi con il gomito sul piano del tavolo.

«Stasera danno un film nuovo, al Grand,» disse. «Mi piacerebbe vederlo, ma non posso smontare presto.»

Vickers non rispose.

«Le piacciono i film?» chiese la ragazza.

«Non lo so,» disse Vickers; «vado al cinema così di rado.»

L’espressione di lei era tutta pietà per coloro che non andavano al cinema.

«Sa, io vivo solo per i film,» disse. «Sono così… grandi! Così reali. Così naturali

Vickers alzò gli occhi verso la ragazza, e vide che aveva una faccia qualunque. Un viso che valeva un altro, di una giovane donna che cercava qualcuno per farsi accompagnare al cinema, un’avventuretta che servisse a distrarla della monotonia della vita di ogni giorno. Era il viso delle due donne che chiacchieravano sull’autobus dietro di lui; era il viso della signora Leslie che gli diceva, «Stiamo organizzando un circolo Finzionista…» Era il volto di coloro che non osavano parlare con se stessi, coloro che non potevano rimanere soli neppure per un momento, coloro che erano stanchi senza sapere di essere stanchi, e impauriti senza sapere di che cosa avevano paura. Di ragazze e ragazzi che non volevano essere mai soli, e che andavano in cerca di compagnia per trascorrere poche ore di falsa, stanca intimità, rassicurati nel corso della notte dalla vicinanza di un altro corpo, un fragile paravento per difendere da quella grande solitudine.

E, sì, era la faccia del marito della signora Leslie, che riempiva di donne e di liquori una vita vuota. Era l’ansia struggente divenuta abituale, che spingeva la gente a correre nei rifugi psicologici, per difendersi dalle bombe dell’incertezza.

La gaiezza non bastava più, il cinismo si era esaurito, la disinvoltura non era mai stata altro che una difesa temporanea. Perciò adesso la gente cercava la droga della finzione, e ciascuno si identificava con un’altra vita e con un altro tempo e un altro luogo… al cinema o alla televisione o nel movimento Finzionista. Ed erano quelli che erano più forti, quelli che non cercavano un sollievo nella violenza o nella droga vera. Perché, fino a quando eri qualcun altro, non avevi bisogno di essere te stesso.

Ed era spaventosamente difficile, e sconvolgente, essere se stesso.

Vickers finì il caffè, e uscì nella via silenziosa.

In cielo sfrecciò un reattore, a bassa quota: il borbottio degli ugelli rimbalzò contro i muri. Vickers guardò le sue luci tracciare una doppia linea di fuoco sull’orizzonte buio, e poi voltò le spalle all’orizzonte, e andò a fare una passeggiata.

24

Quando Vickers aprì la porta della stanza, vide che la trottola non c’era più. L’aveva lasciata sulla sedia, sgargiante nei suoi nuovi colori, e adesso non era né sulla sedia né sul pavimento. Si mise carponi e guardò sotto il letto, ma non c’era. Non era nell’armadio, e non era fuori, nel corridoio.

Rientrò nella stanza e sedette sull’orlo del letto.

Dopo tutte le preoccupazioni e i progetti, ora la trottola era scomparsa. Chi poteva averla rubata? Che cosa poteva farsene, uno, di una vecchia trottola ammaccata?

Che cosa voleva farsene, lui?

Ora gli pareva un po’ ridicolo, starsene lì seduto sull’orlo del letto, in una stanza d’albergo che gli era estranea, a rivolgere a se stesso quelle domande.

Aveva pensato che la trottola gli avrebbe aperto la via per la terra incantata e adesso, nel chiarore candido della lampada, si meravigliava dell’assurdità della sua preoccupazione.

Alle sue spalle, la porta si aprì; Vickers sentì il rumore, e si girò di scatto.

Sulla soglia c’era Crawford.

Era ancora più massiccio di quanto lui lo ricordasse. Riempiva il vano della porta e stava immobile, senza un fremito: solo le palpebre si alzavano e si abbassavano lentamente.

Crawford disse:

«Buonasera, signor Vickers. Non m’invita a entrare?»

«Certamente,» disse Vickers. «Sì, certamente. Stavo proprio aspettando una sua telefonata. Non avrei mai pensato che si sarebbe preso il disturbo di venire qui personalmente.»

Ed era una bugia, la sua, perché non si era affatto aspettato di ricevere una telefonata.

Crawford avanzò pesantemente nella stanza, come una massiccia montagna di carne che si muoveva ponderosamente, con l’ineluttabilità di un fenomeno naturale.

«Questa sedia mi sembra abbastanza robusta da reggermi. Non le dispiacerà, spero.»

«La sedia non è mia,» disse Vickers. «Può anche sfasciarla.»

La sedia non si sfasciò. Scricchiolò e gemette, ma resse.

Crawford si rilassò, e sospirò.

«Mi sento sempre molto meglio, quando posso sentire sotto di me una bella sedia robusta.»

«Lei teneva sotto controllo il telefono di Ann. Ha intercettato la telefonata,» disse Vickers.

«Certamente. In caso contrario, come avrei potuto rintracciarla? Sapevo che, prima o poi, le avrebbe telefonato.»

«Ho visto arrivare quell’aereo,» disse Vickers. «Se avessi pensato che a bordo c’era lei, sarei venuto a prenderla. Ho una faccenda da chiarire, con lei.»

«Non ne dubito,» disse Crawford.

«Perché ha cercato di farmi linciare?»

«Non vorrei farla linciare per nulla al mondo,» rispose Crawford. «Ho troppo bisogno di lei.»

«Eppure, lei ha cercato di farmi linciare.»

«Non sono stato io. Non si metta in testa una cosa simile, per favore. Le ripeto che ho bisogno di lei.»

«Perché ha bisogno di me?»

«Non lo so,» disse Crawford. «Sinceramente, non lo so. Pensavo che potesse saperlo lei.»

«Io non so niente,» dichiarò in tono neutro Vickers. «Niente di niente. Senta, Crawford, cos’è tutta questa storia? Lei non mi ha detto la verità, il giorno che sono venuto da lei. La storia del libro da pubblicare, e della società in pericolo, e tutte le altre belle chiacchiere, erano menzogne. Perché mi ha mentito, Crawford? Che cosa vuole da me, in realtà?»

«Io le ho detto la verità, quel giorno, almeno in parte. Non le ho detto tutto quello che sapevamo.»

«Perché no?»

«Perché, vede, io non sapevo chi era lei.»

«Ma adesso lo sa?»

«Sì, adesso lo so,» rispose Crawford.

Vickers rimase in silenzio, per un istante, e fissò negli occhi Crawford.

«E chi sono io, signor Crawford?»

«Lei è uno di loro.»

«Uno di quali?»

«Di coloro che fabbricano quegli aggeggi eterni.»

«E cosa diavolo le fa pensare una cosa simile?»

«Gli analizzatori. È così che li chiamano gli specialisti di psicologia. Analizzatori. Sono cose maledettamente strane. Non pretendo di capirle.»

«Aspetti un momento. Lei mi ha fatto… osservare da uno di questi analizzatori, e gli analizzatori le hanno detto che in me c’era qualcosa di strano? Ho capito bene?»

«Sì,» disse Crawford. «Più o meno.»

«Se sono uno di coloro che teme, perché è venuto da me?» chiese Vickers. «Se sono uno di loro, lei mi combatte. Ricorda? Un mondo con le spalle al muro, ha detto. Lo ricorderà, senza dubbio.»

«Non dica ’se’,» fece Crawford. «Lei è uno di loro, sicuro, ma smetta di comportarsi come se fossi un nemico.»

«Perché, non lo è?» chiese Vickers. «Se io sono quello che lei dice, lei è un mio nemico.»